Le notizie censurate dal regime e da suoi media!!

E’ stata invasa nel pomeriggio di lunedì ad Atene la sede dell’ambasciata italiana nel quartiere di Kolonaki per protestare contro la richiesta di estradizione dei cinque studenti greci indagati per la manifestazione No Expo del primo maggio a Milano

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Palinsesto del 2/12/2015

ANNO IV-2015/2016 I NOMI DELLE COSE la trasmissione della Coordinamenta femminista e lesbica tutti i mercoledì dalle 20.00 alle 21.00 sugli 87.9 di Radio Onda Rossa

PALINSESTO di mercoledì 2 dicembre 2015


ore 20.00 Apertura ”  Si può andare, venire, discorrere, scrivere, partire, ritornare, senza dare troppi conti a nessuno; si può amministrare la propria sostanza, grande o piccola, come si vuole(..) Maritarsi è bene, ma è anche male; non maritarsi, è male, ma è anche bene.”

ore 20.10 PARTE PRIMA
” Welfare fai da te/ la costruzione della nonnità/ genere e di classeChiacchierata con Elena De Marchi

le età della donna

ore 20.30 La Parentesi di Elisabetta ” Impero e aristocrazia”
ore 20.35PARTE SECONDA
“La trasmissione tra generazioni “ collegamento con le studentesse del Liceo Virgilio occupato

Ciao a tutte, le coordinamente coordinamenta@autistiche.or

per riascoltarci e per leggere i documenti
per ascoltarci in streaming
www.ondarossa.info cliccando “ascolta la diretta”
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Le leggi del PD producono mostri

Le leggi del PD producono mostri 

Silvia Ferrante una mamma attivista #NoElettrodotto  è stata citata 24 volte in giudizio da Terna e chiesto un maxi risarcimento di 16 milioni di euro per la sua partecipazione alla mobilitazione contro l’elettrodotto Villanova-Gissi

Una cifra immensa, 16 milioni di euro, è il totale delle richieste che Terna SpA ha inviato a Silvia Ferrante, attivista dei comitati contro l’elettrodotto Villanova-Gissi.
Un’opera, insieme all’analoga infrastruttura che collegherà il Montenegro a Pescara, contestatissima da tanti. Silvia è tra le più attive nei comitati, impegnati ormai da mesi a cercare di opporsi alle immissioni nei terreni dove sono stati collocati i cantieri dell’elettrodotto.
Rende noto il comitato No Elettrodotto Villanova-Gissi che Silvia Ferrante è stata raggiunta da “24 Citazioni nelle quali si chiedono da 630.000 euro a 900.000 euro, ma solo per le immissioni sui terreni in cui è previsto il passaggio aereo dei cavi. Tra queste mai nessuna citazione per le manifestazioni avvenute su terreni in cui dovrebbero sorgere i piloni, mai nessuna citazione insieme a proprietari importanti.

Deve valere molto la semplice esistenza di questa singola cittadina, di questa singola mamma, se Terna è pronta a spendere 1.680 euro circa, solo per l’avvio di ogni causa, vale davvero molto, anche se non possiede nemmeno una striscetta di terra su cui passerà l’opera. Vale davvero molto. Forse perché dietro quella mamma si intravede un’intera comunità che quest’opera non la vuole, forse perché la semplice presenza di quella mamma racchiude la vita di una comunità che anche se non si vedrà togliere un pezzo di terra si vedrà togliere la serenità: perchè vivere all’ombra di un’opera che genera elettromagnetismo, a cui l’OMS raccomanda di esporsi il meno possibile, che lo IARC dice capace di aumentare notevolmente la possibilità di insorgenza di leucemie infantili; anche se ti lascia la terra ti toglierà per sempre la serenità”.
Secondo gli attivisti, la colpa di Silvia Ferrante è stata di difendere “la salute di suo figlio e il suo territorio da un’opera inutile e a rischio idrogeologico”, un’opera “contestatissima non solo dai cittadini ma anche da alcuni Comuni e da diversi uffici della Regione Abruzzo, come il servizio difesa del suolo e l’autorità di bacino, hanno sollevato enormi criticità. Diversi i ricorsi ancora pendenti davanti a TAR e Consiglio di Stato”.
Il comitato sottolinea poi di aver presentato nei mesi 3 dossier sulle “enormi criticità” della costruzione dell’elettrodotto “ai quali TERNA e i Ministeri per ora non hanno saputo o potuto rispondere” e il Ministero “non solo non risponde ai rilievi tecnici di attivisti e Comuni, ma nemmeno ad una nota del Corpo Forestale di maggio che sollevava dubbi sulle tipologie di traliccio utilizzati, difformi da quelli del progetto autorizzato”.
Mercoledì prossimo Silvia Ferrante, Luca Cicerchia e Libero racconteranno la loro storia in una conferenza stampa convocata alle 10 presso l’ex sala di conversazione a Lanciano. In queste ore, soprattutto sui social network, sta crescendo la mobilitazione per essere presenti in tantissimi ed esprimere solidarietà e vicinanza.

da www.popoffquotidiano.it

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Comunicato Rete No War

Riceviamo da Marinella
 

COMUNICATO STAMPA

30 NOVEMBRE, ROMA. RETE NO WAR IN PRESIDIO DAVANTI ALLA RAI PER LA FINE DELL’EXPORT DI ARMI ITALIANE AI SAUD E AGLI ALTRI PADRINI DI GRUPPI JIHADISTI

Un gruppo di attivisti di Rete No War Roma ha tenuto oggi un presidio a viale Mazzini, Roma, per chiedere che la Rai, servizio pubblico, informi gli italiani a) sullo scandalo delle ingenti forniture di armi da parte dell’Italia all’Arabia saudita e b) sulla catastrofe che i bombardamenti della coalizione a guida saudita stanno provocando da mesi in Yemen.

Il regno dei Saud è, insieme alle altre petromonarchie, uno dei paesi padrini accertati di gruppi jihadisti in Siria, Iraq, Libia e Yemen e ormai in molti paesi…
Il regno dei Saud bombarda lo Yemen dallo scorso marzo, con migliaia i civili uccisi, impone un blocco navale che ostacola gli aiuti, distrugge infrastrutture civili in un paese poverissimo e annienta patrimoni dell’umanità. Il mondo dovrebbe indignarsi!
Il regno dei Saud, serial killer, decapita, lapida, mozza le mani. La legge 185/90 vieta l’esport di armi ai paesi in guerra e che violano i diritti umani.
Da mesi Rete No War protesta contro la guerra in Yemen, contro l’appoggio al terrorismo da parte del Golfo (e fino a poco fa da parte degli stessi paesi occidentali, e contro le decapitazioni nel regno dei Saud.

L’Italia imperterrita continua a vedere armi e a intrattenere graziosi rapporti con Riad.

Sui cartelli di Rete No War, esibiti davanti al cavallo simbolo della Rai, si leggeva: “L’Italia arma la jihad saudita? Rai: informaci!”; “Basta tacere i crimini sauditi: Isis,  guerra in Yemen, decapitazioni“; “Renzi piazzista di armi dai Saud“, “L’Italia rispetti la legge 185“.
Gli attivisti hanno chiesto di incontrare qualche dirigente della Rai ma non sono stati ricevuti. 
Le manifestazioni di Rete No War proseguiranno.
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Emergenza di Stato

Emergenza di Stato

di Alessandra Daniele

they_live (3)Mentre la Francia entrava in Stato d’Emergenza permanente, anche la capitale amministrativa e politica dell’Unione Europea è stata militarizzata e messa in totale stato d’assedio.
Uffici e scuole chiuse, strade deserte, metropolitana bloccata, pattuglie armate e mezzi blindati ovunque, rastrellamenti, perquisizioni, retate.
Ai cittadini è stato prescritto di non affacciarsi alle finestre, e se l’avessero fatto, di non comunicare a nessuno ciò che avrebbero visto.
Non è la trama d’un episodio di Black Mirror, né del prequel di The Walking Dead, è successo a Bruxelles, sta in gran parte ancora succedendo, ed è stato giustificato con la caccia a un singolo presunto terrorista, del quale non si sa bene neanche se sia ancora affiliato o già dissociato e in fuga anche dall’ISIS, e che comunque non è stato trovato.
Nessuno ha protestato più di tanto per la clamorosa sospensione della democrazia e dello stato di diritto, seguita ai roboanti proclami sull’imperativo categorico di difendere a ogni costo le conquiste della Civiltà Occidentale come la democrazia e lo stato di diritto.
Le prove tecniche di golpe sono perfettamente riuscite.
Non che le classi dirigenti abbiano davvero urgente bisogno d’un golpe militare vecchio stile, ormai la democrazia in Europa è appena un sipario, e neanche di velluto pesante, è una tendina della doccia di plastica trasparente.
Comunque adesso sappiamo per certo che in nome d’una sicurezza impossibile gli europei sono prontissimi a buttare nel cesso anche questa tendina, e consegnarsi a una dittatura militare che, nel loro interesse, gli vieta anche di affacciarsi alle finestre
Intanto in Italia, Renzi promette di controbilanciare il giro di vite poliziesco con qualche elemosina alla “Cultura”.
“Per ogni telecamera nuova che viene installata vogliamo un nuovo regista teatrale che sperimenti” ha detto testualmente il nostro Cazzaro in Capo. Magari un nuovo regista che metta in scena una versione sperimentale di “1984” durante la quale tutti gli spettatori vengano schedati.
Non ci resta che aspettare che le telecamere di controllo riprendano uno scambio di bustarelle, perché le classi dirigenti italiche riscoprano la sacralità del garantismo, e l’inviolabilità della privacy. La loro.
Dopo il teatro sperimentale, quale altro baluardo della nostra Cultura il governo s’impegnerà a sostenere in funzione antiterrorismo? In questi giorni Salvini e Sallusti hanno molto insistito nel dire che il crollo della Civiltà Occidentale cominci nelle scuole che non fanno il presepe. “Uno dei principali Valori dell’Occidente” l’ha testualmente definito Sallusti di fronte a un’accigliata Gruber in giubbotto di pelle steampunk. Renzi potrebbe quindi decretare il presepe obbligatorio in tutti gli edifici pubblici e privati. Il decreto Cupiello.
A sostenere il vero principale Valore dell’Occidente, lo shopping più o meno natalizio, ci penserà l’indotto del giro d’affari bellico.
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Gudrun Ensslin

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Impero e aristocrazia

Impero e aristocrazia

di Elisabetta Teghil

Impero   E’ evidente che ci sono tensioni fortissime nel mondo occidentale che scaturiscono dal tentativo, per molti versi riuscito, di costituire un’aristocrazia multinazionale che si propone di imporsi come soggetto contrattuale con la super potenza statunitense. In Europa l’iperborghesia annidata nelle multinazionali sta smantellando le forze sindacali e partitiche che si oppongono al neoliberismo e, quest’ultimo, significa disoccupazione, povertà, annullamento dello Stato sociale, venuta meno della sanità pubblica, del pensionamento generalizzato, della contrattualizzazione del salario. Tutto questo passa anche, necessariamente, attraverso la repressione e una cultura securitaria che colpiscono particolarmente i gruppi politici e le forze sociali che più contrastano il neoliberismo. La repressione, in tutte le sue articolazioni, sottolinea e caratterizza questo momento storico dell’autoespansione del capitale. E la repressione si colloca nello squilibrio fra strutture nazionali statuali e la ricomposizione capitalistica di fondo che è permeata dallo scontro fra multinazionali e Stati per la ricollocazione delle gerarchie capitalistiche che vedono gli Stati Uniti con il loro alleato inglese, all’offensiva e l’unico interlocutore è l’aristocrazia sovranazionale, l’iperborghesia, che vuole portare in dote al matrimonio la “testa” del mondo del lavoro. Il programma di classe oggi passa, oltre che su obiettivi e scadenze di lotta, anche su una valutazione degli equilibri, degli scontri, dei rapporti di forza che lo sviluppo globale presenta. Questa attenzione non è secondaria perché ne scaturisce la possibilità di porre qualche ostacolo alla voracità con cui l’iperborghesia si serve della socialdemocrazia come arma politica. Oggi, ci troviamo di fronte ad una situazione che non è più il lavoro in fabbrica a determinare i rapporti sociali bensì la messa al lavoro della società e, quindi, lo sfruttamento di tutti coloro che nella società sono attivi.

La classe operaia non ha mai amato il lavoro salariato in fabbrica, lavorare in fabbrica era ed è una terribile oppressione, un’esasperazione della sofferenza e dello sfruttamento della vita. Oggi, questo si è dilatato ed è uscito dalla fabbrica e si è generalizzato nella società tutta. Il blocco sociale che ha dominato l’Italia e i paesi occidentali finora si è rotto per scelta unilaterale dell’iperborghesia. Il capitalismo nella stagione neoliberista e la sovranità imperiale nella sua accezione più compiuta, cioè gli Usa come Stato del capitale, hanno bisogno di controllare la nostra intera esistenza a tutto campo anche con riferimento ai desideri e ai modi di vita e questo si sviluppa attraverso determinazioni gerarchizzanti sempre più forti. Pertanto, le guerre umanitarie sono sempre più insistenti e pesanti e non sono altro che modalità di intervento politico.

C’è una diretta correlazione tra la sottomissione dei lavoratori all’interno dei singoli paesi occidentali, tra le politiche di ristrutturazione interna e l’imposizione e la transizione nei paesi del terzo mondo da regimi “totalitari” a regimi così detti “democratici”.

Paradossalmente, ma purtroppo è così, lo scontro è solo nell’ambito del capitale. Si tratta di sapere chi sarà alla guida dell’Impero, se saranno gli americani in quanto nazione o l’aristocrazia sovranazionale. Pertanto, viviamo all’interno di un interregno capitalistico nel quale si svolge una guerra per comprendere chi dovrà governare, quali sono le trasformazioni delle filiere del comando e di ridefinizione delle classi sociali.

Dobbiamo nuovamente dire e riconoscere che cosa sia il potere e che cosa sia lo sfruttamento e su questo versante, possiamo capire chi è il nostro nemico e chi il nostro compagno.

Dobbiamo leggere che cosa sono divenuti i concetti di guerra e pace, di Stato-Nazione, di cittadinanza e diritti, di privato e di pubblico, ed ancora Nazioni Unite e diritto internazionale. E intorno alla consapevolezza di questi nodi, da come prendiamo posizione all’interno del passaggio storico nel quale viviamo, noi siamo in grado di scegliere amici e compagni/e di lotta, noi per i quali la libertà politica, l’amore per l’uguaglianza sociale, la resistenza contro il potere e il rifiuto della povertà camminano insieme. Continua a leggere

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A proposito di un ignobile articolo

A proposito  di un ignobile articolo

Barbara Balzerani

da baruda.net

In questi ultimi giorni, dopo gli attentati di Parigi, abbiamo dovuto misurare il livello raggiunto dai media, dai commentatori, dai politici, nella gara di mistificazione dello stato di salute delle “relazioni internazionali”. Naturalmente i nostri illustri maître à penser non si sono lasciati scappare l’occasione per sbandierare il parallelo tra l’Isis e le Brigate Rosse, con relativo pannicello caldo dei rimedi democratici già sperimentati negli anni ’70. Tra i tanti spicca un articolo comparso su Il Secolo XIX a firma Marco Peschiera. Qui si passa di livello e l’attenzione si accentra sul fenotipo del terrorista: dal brigatista Dura ad Abaaoud, il terrore fa rima con kalashnikov, recita il titolo dell’articolo.11146616_863831070373438_5944984602612390121_n Ho dovuto aspettare prima di poterlo commentare per non farmi travolgere dalla furia e dalla tentazione di difendere la memoria di Roberto, perché Marco Peschiera non è all’altezza di un nemico e perché Roberto non ha bisogno di essere difeso. La miseria che ha guidato tanta penna è difficilmente raggiungibile, dalla sottolineatura lombrosiana della somiglianza fisica, gli occhi, la barbetta, il sorriso, dei due psicopatici serial killer, fino a informarci di altre strabilianti similitudini: stessa età e stessa ora in cui sono stati ammazzati. Il giornalista ci dice che Riccardo Dura è stato un bambino abbandonato dal padre, cresciuto da una madre con cui aveva un rapporto difficile. Un disadattato cresciuto in una periferia di emarginati. Fino ad incontrare le Brigate Rosse. E’ vero, Roberto non è venuto fuori da una famigliola con la gallina e il mulino bianco, faceva parte di una generazione che ha buttato all’aria convenzioni e istituzioni, come la famiglia, ma ha trovato il modo di ricostruirsene una, facendosi amare dai compagni che l’hanno conosciuto e farsi “adottare” da nonna Caterina, la cui altezza mette ancora più in evidenza l’evidente nanismo del signor Peschiera. E’ vero Roberto non si era adattato, e che difetto sarebbe? Roberto non era un borghese, più o meno piccolo, adattato al sistema più ingiusto nella storia dell’umanità e neanche un emarginato conformato agli ingranaggi dell’esclusione delle nostre periferie. Roberto era un comunista, un rivoluzionario ed era in numerosa compagnia nella sua disaffezione ad adattarsi. Non ancora pago l’articolista ci dice che, nonostante i suoi titoli da killer esperto, non aveva partecipato al sequestro di Aldo Moro perché neanche Mario Moretti, “l’enigmatico capo delle Br ricco di contatti con ambienti massonici e di spionaggio”, si fidava di lui, nonostante l’avesse “usato” anche per i rifornimenti in medio oriente di carichi di armi, soprattutto i famosi Kalashnikov. Armi usate non solo dall’Isis ma soprattutto a via Fani! E qui la professionalità del signor Peschiera raggiunge il culmine, visto che ormai anche i bambini sanno la marca e l’efficienza dei mitra usati quel 16 marzo. Ma non è certo la corrispondenza ai fatti che preoccupa il giornalista. Gli basta il fango per esporre le sue tesi.

28mar3

Siamo alla fine del racconto. Roberto muore ammazzato insieme agli altri compagni “crivellato di colpi in un covo, in mutande e maglietta” con “tre buchi nella testa”. E’ vero Roberto era in mutande e non solo perché stava dormendo ma anche perché i comunisti come lui, per straordinaria simbologia, non hanno tasche, né conti all’estero. Disadatti al grande affare della politica. A Roberto hanno sparato in testa Sono entrati di notte, mentre dormiva e non con l’intenzione di neutralizzarlo. Come è stato per altri e altre. A quei tempi sarebbe stato strano il contrario. E allora perché non si dice invece di straparlare di sistemi democratici per combatterci? Ma è giusto così, perché con gli strumenti della democrazia un pugno di potenti ha saccheggiato, compiuto assassinii e genocidi, affamato e depredato risorse, scatenato guerre, comprato e corrotto…

Di recente sono andata sulla tomba di Roberto, a Staglieno. Ho carezzato la lapide, la foto, la dedica dei suoi compagni, ho risentito per intero lo stesso dolore. Se ne faccia una ragione signor Peschiera. Per tanti non adatti Roberto è stato un fratello, un compagno fidato, amato, rispettato, mai dimenticato. Si auguri di meritare la stessa fortuna.

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Podcast della trasmissione del 25/11/2015

“I Nomi delle Cose” /Puntata del 25/11/2015

“Il valore politico della rottura”

 “Quale valore hanno il nostro vissuto e le nostre azioni, la nostra storia anche, in un mondo che non ci riconosce e che non accettiamo? Come fare a essere quel qualcosa che illumina la notte con delle fiammelle così deboli?/DESMONAUTICA, la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese ” Una volta per tutte, la tecnologia non ci rende asociali”

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Una volta per tutte, la tecnologia non ci rende asociali.

Da “I Nomi delle Cose” del 25/11/2015 “Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.

Una volta per tutte, la tecnologia non ci rende asociali.                              

La tecnologia ci rende asociali. Questo è il ritornello di un mito culturale di questo secolo, proposto e riproposto in forme varie.

Immagini virali da condividere sui social media, nella nostalgia dei famosi bei tempi andati, privi di computer ma densi di genitori severi e pallone sotto casa, che però forse se sono andati così belli non erano. E con esse la considerevole ironia di fondo di accusare la tecnologia di depauperamento sociale non rendendosi conto che senza di essa simili frecciatine incasellate in un flusso di bit non potrebbero nemmeno essere recapitate. Articoli sensazionalisti sul pericolo delle mancanze umane delle nuove generazioni, presunte native digitali. Vignette prodotte in serie con gente al bar o in metropolitana che scrive sulla tastiera, parla al telefono e col vicino di caffè o di sedile. In un impeto di panico morale che si chiede dove andrà a finire l’insostituibile e intoccabile fisicità dei rapporti umani, la tecnologia sarebbe artefice del restringimento e della superficializzazione degli spazi e dei contenuti della socialità e della comunicazione interpersonale.

Questo tipo di rappresentazione è a dir poco capziosa, ma sociologicamente interessante, poiché inquadra a perfezione un malumore condiviso circa i cambiamenti sociali di questa epoca. Disagio che molti definirebbero, a torto, generazionale; e se statisticamente in buona parte potrebbe esserlo, in realtà bisogna osservare che anche una parte non ignorabile di cosiddetti giovani d’oggi custodisce gelosamente l’invidia del ritorno al passato e alle sue certezze. Anche di questo dovrebbero tenere conto questi baldi antimodernisti, quando creano ad hoc generalizzazioni anagrafiche. Coerenti nel loro rigetto dell’attualità, si rifanno a mediocrità con origini tutto fuorché recenti. Sia Platone che Socrate già criticavano la scrittura come forma di impedimento della saggezza: la scrittura avrebbe eliminato il bisogno di memorizzazione tipico dell’oralità, sarebbe potuta essere fraintesa e altre amenità. Entrambi erano, a ben vedere, precursori della lamentela imperitura che accompagna ogni dirompente novità nelle società umane.

Non è mai esistito un tempo in cui, dal nulla, le persone spontaneamente inciampavano in altre persone in luoghi pubblici e per magia davano i natali a mirabili conversazioni filosofiche. In realtà, la gente è sempre uscita di casa per andare a bere in osteria, a leggere i giornali sul treno e relativi esempi di genuina umanità media. Se è vero che gli umani sono animali sociali, è anche vero che sono sociali in modalità e tempi differenti tra loro. Esistono persone introverse, persone con ansia sociale, persone estroverse ma molto timide, persone nello spettro autistico e molte altre persone ancora che esistono da sempre e hanno tutte le ragioni possibili per voler evitare contatti spurii privi di criterio.  Tuttavia, qualcosa in effetti il web l’ha cambiata: ha reso possibile un ampliamento e un elevamento del livello qualitativo della propria rete sociale.

In questa epoca, una persona con accesso a Internet di fatto può accedere a livelli di calore umano e solidarietà a cui potrebbe non avere accesso nella sua rete sociale in carne ed ossa. Nella presunzione di asocialità, non si tiene infatti in considerazione il potenziale plausibile livello indignitoso di chi circonda il cosiddetto asociale. Non è chiaro per quale ragione una persona dovrebbe preferire conversare con un perfetto sconosciuto, magari palesemente inadatto rispetto ai bisogni di relazionamento della persona in questione in quanto già manifestatosi come cretino, carogna e altre sgradevolezze, quando può alzare la cornetta metaforica e comunicare con una rete di individui ed individue dove esiste una collaudata sintonia relazionale e reciprocità d’affetti. Le congetture sulla maggiore autenticità e profondità del vis à vis sono quelle che sono, congetture, e invero tradiscono l’elitarismo di ritenere culturalmente legittime solo forme comunicative adatte alle esigenze della maggioranza. Nutrirei sincero interesse nel rilevare quante persone, seguaci di questo mito, si siano mai commosse di fronte a una conversazione del sabato mattina piuttosto che di fronte a una lettera, tecnologia a base di cellulosa e non di silicio, ma pur sempre tale, e solo temporaneamente sostitutiva di un’interazione fisica, esattamente come un contatto virtuale. Bisogna poi notare che la percezione del fenomeno è statisticamente deviata. Poiché navigando si vedono perlopiù persone che si compiacciono legittimamente delle loro presenze virtuali, si dà per scontato che simili posizioni siano rappresentative della popolazione generale. Questo pensiero è inconsistente: se non esiste una tendenza oppositiva quasi militare rispetto alla presunta asocialità digitale, non è perché non esiste affatto. È perché chi razzola ciò che predica si situa già al di fuori del mezzo, rendendosi invisibile. Se questo tipo di opposizione non esistesse affatto, non ci sarebbero in primo luogo le manifestazioni di sottile, piccata critica che loro stesse espongono con orgoglio.

La distinzione fra il digitale e il reale è del tutto artificiosa. Il digitale è il reale. A meno che non si voglia dire che reale è soltanto ciò di cui nella nostra limitata esperienza sociogeografica possiamo fare esperienza, e qui emerge l’egocentrica contraddittorietà di volere, dalla propria posizione di viandante del mondo globalizzato, fare di casa propria l’unico mondo esistente.

Se però ciò che si problematizza è il disgregamento dei legami in genere, questo non viene da spasmodiche propensioni al clic, bensì da complesse modificazioni della struttura economica. È la filosofia del capitale che glorifica l’individualismo e le sue emanazioni. Infatti, ecco la fissazione per il concetto di responsabilità individuale e di merito, la mitologia del self made man ora rielaborata in chiave geek col movimento dei makers, perlomeno dalle sue componenti più dogmatiche nel loro tecnoutopismo, dove il futuro è sempre e comunque positivamente connotato come entità di intrinseca inclinazione progressista. Ciò che è successo è che abbiamo lasciato che la politica diventasse tecnica senza porci il problema di inventare e adoperare la tecnica in una modalità che rispondesse alle esigenze del nostro attivismo politico, ignorandola a piè pari come un di più, un di più che però costituisce una parte fondamentale della contemporaneità. Non è che si guardi allo schermo per non agire nel mondo, è piuttosto vero il contrario, si guarda allo schermo perché non esiste nessun tentativo organico e razionale di organizzare le forze sociali reali in una direzione utile. Tutto questo a scapito delle comunità, e a questo punto non conta molto che esse siano di carne o di pixel.

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“25 novembre 2015/”Spezzare la normalità dell’esistente”

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Sorridiamo, donne: arrivano le bombe!!

Sorridiamo, donne: arrivano le bombe!!

http://www.nicolettapoidimani.it/?p=1037
Da che la Francia, per vendicarsi degli attentati di Parigi, ha cominciato a bombardare Raqqa, “capitale” del cosiddetto stato islamico, sui media on line compaiono articoli che raccontano di donne che “sorridono alle bombe”, perché finalmente possono scoprirsi il volto e i capelli, mentre i Daesh fuggono per salvarsi la pelle.

Un giornale scrive: «Le incursioni degli aerei da guerra rappresentano per loro un momento di pace, di gioia: mentre gli uomini di Al Baghdadi fuggono, atterriti dagli attacchi, loro, le donne dei civili, corrono a prendere una boccata d’aria. Il velo però lo lasciano nel buio delle loro case semidistrutte: la libertà merita di essere assaporata a volto scoperto».

«Le donne dei civili», avete letto bene! Non «le donne» e punto, perché anche alle nostrane latitudini proliferano la mentalità da sultani e la cultura dello stupro, e una donna è sempre “la donna di qualcuno”.

Ma, al di là di ciò, che le bombe rappresentino un momento di pace, di gioia e di libertà non riusciranno mai a farmelo credere.

Di fondo, stanno riciclando la stessa formula con cui, nel 2001, hanno provato a renderci complici della guerra in Afghanistan: usare la retorica della liberazione delle donne dal burqa per accattivarsi le simpatie femministe…

All’epoca, una vignetta di Pat Carra distrusse con amara ironia il perverso dispositivo narrativo:

patOggi dovremmo, tutte insieme, ribadire alcuni dati di fatto:
1. le donne (così come gli uomini, i/le bambini/e, i cani, i gatti, l’ambiente naturale, ecc.) sotto le bombe non sono affatto felici;
2. le donne di Raqqa sono state blindate nelle loro case da bande di tagliagole e stupratori armate – direttamente o indirettamente – dall’occidente e dai suoi partner economici arabi;
3. tutto il mondo ha taciuto davanti alla devastazione di Kobane, al genocidio del popolo yezida a Shengal, alla riduzione in schiavitù delle bambine e delle giovani donne yezide e allo sterminio di quelle troppo attempate per poter essere vendute a dei sadici torturatori, all’occupazione di Raqqa come di buona parte della Siria e dell’Iraq;
4. chi dall’inizio non ha taciuto e, anzi, ha preso le armi per liberarsi di Daesh/Isis sono quei guerriglieri e quelle guerrigliere del Kurdistan che l’occidente considera “terroristi” perché si vogliano autodeterminare, quei guerriglieri e quelle guerrigliere che fanno attenzione a non creare vittime tra la popolazione civile, e che hanno insegnato alle donne – e non solo – le basi dell’autodifesa armata per proteggersi in caso di ulteriori incursioni o attacchi di Daesh;
5. chi continua a liberare le città siriane e iraqene dalla peste Daesh sono, ancora una volta, quei guerriglieri e quelle guerrigliere, anche se i media nostrani vedono bene di ignorarli – e di ignorare il genocidio del popolo kurdo che la Turchia ha ricominciato con ritmo serrato – parlando invece dei peshmerga di Barzani, cioè di coloro che all’inizio dell’agosto 2014 fuggirono a gambe levate consegnando, di fatto, Shengal e la sua popolazione, nonché le proprie armi, alle bande di fondamentalisti…

6. in nome della maledetta lista dei gruppi “terroristici”, pochi giorni fa in Inghilterra è stata condannata una giovane donna, Shilan Ozcelik, accusata di voler partire ed unirsi a coloro che combattono contro Daesh/Isis.

sorridiamo donne!

Ci sarebbe ancora molto altro da aggiungere, ma poco mi importa, ora, completare il quadro dell’ipocrisia di chi arma certi gruppi per i propri interessi economici e poi li chiama “nemici” quando non servono più o quando si lascia, spesso volutamente, sfuggire di mano la situazione per continuare ad ingrassare l’industria bellica, questa volta combattendoli.

In occasione del 25 novembre si moltiplicano i piagnistei e i buoni propositi per debellare la violenza maschile sulle donne. Non oso immaginare cosa sarà quest’anno! Soprattutto se penso alla “strana” (?!?) coincidenza col vertice Nato a Firenze…

Cercheranno di convincerci che, a differenza dei fondamentalisti, gli stati “democratici” ci stanno chiedendo di rinunciare alle nostre “libertà” in nome della sicurezza – quindi “per il nostro bene” – così come hanno riempito le strade delle nostre città di militari armati, sempre “per il nostro bene”.

Perché la donna è minus habens e non può che essere protetta, deve convincersene e  sorridere agli uomini in divisa, alle bombe che le piombano sulla testa, ai mariti/fidanzati/compagni che le dicono quanto è fortunata ad essere nata in questa o quell’altra parte del mondo –  sempre talmente civilizzata che se lei reagisce alla violenza maschile, verrà poi condannata dai tribunali dello stato! Sempre “per il suo bene”, naturalmente…

Se quest’anno vogliamo scendere in piazza contro la violenza maschile, facciamolo al fianco delle tante Vincenzina Ingrassia e Fatma Salbehi, a cui lo stato fa pagare la scelta di liberarsi dei mariti violenti, privandole della libertà o della vita.
Facciamolo al fianco delle combattenti yezide, che si sono armate per autodifendersi da torturatori e stupratori, e al fianco delle donne kurde – combattenti e non –  la cui potenza etica è già una rivoluzione in atto.
Facciamolo al fianco di tutte quelle che, in tutto il mondo, mettono in gioco la propria vita senza mediazioni, per difendere l’autodeterminazione.

A questo proposito, fuori dal coro dei piagnistei, una manifestazione di spirito postvittimista a cui abbia senso partecipare quest’anno, portando contenuti etici e politici, è quella che si terrà a Milano il 28 novembre, per gridare tutte insieme che La rivoluzione delle donne comincia in Rojava e non ha confini, e, soprattutto, che da qui non torneremo mai più indietro!

Manifesto-28-NOV

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Palinsesto del 25/11/2015

ANNO IV-2015/2016 I NOMI DELLE COSE la trasmissione della Coordinamenta femminista e lesbica tutti i mercoledì dalle 20.00 alle 21.00 sugli 87.9 di Radio Onda Rossa
S.O.S. SOSTIENI ROR!!! LA RADIO PER CONTINUARE A TRASMETTERE HA BISOGNO
DI UN AIUTO CONCRETO e IMMEDIATO! 
http://www.ondarossa.info/node/2

QUESTA SERA 25 NOVEMBRE LA COORDINAMENTA VI ASPETTA TUTTE E TUTTI AL 3SERRANDE OCCUPATO, MA PER CHI NON POTRA’ VENIRE ABBIAMO REGISTRATO UGUALMENTE LA TRASMISSIONE!

PALINSESTO di mercoledì 25 novembre 2015


ore 20.00 Apertura ” IL VALORE POLITICO DELLA ROTTURA”

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ore 20.10
Riflessioni  sull’incontro del 14 dicembre/ Quale valore hanno il nostro vissuto e le nostre azioni, la nostra storia anche, in un mondo che non ci riconosce e che non accettiamo? Come fare a essere quel qualcosa che illumina la notte con delle fiammelle così deboli?” 

ore 20.40 PARTE SECONDA

DESMONAUTICA, la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese
” Una volta per tutte, la tecnologia non ci rende asociali”

Ciao a tutte, le coordinamente coordinamenta@autistiche.or

per riascoltarci e per leggere i documenti
per ascoltarci in streaming
www.ondarossa.info cliccando “ascolta la diretta”
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La notte del 24 novembre a Barcellona

24 novembre
L’Assemblea de Dones Feministes de Gràcia i dones d’altres col•lectius i espais de la Vila us convoquem a una marxa nocturna prèvia al 25N (dia mundial contra la violència cap a les dones i les nenes) per a Dones, Lesbianes i Trans el vespre del 24N pels carrers de la Vila.

Perquè ENS VOLEM VIVES I AMB VIDES DIGNES, el 24 de novembre a les 21h a la pl. Virreina

“Serem cinc-centes, serem mil.
Perdrem el compte a la tombada.
Juntes farem nostra la nit”
(Maria Mercè Marçal)

 

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25 novembre a Barcellona!

No morim Ens maten 25N 19h Canaletes

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 Contra la violència masclista, AUTODEFENSA FEMINISTA

NO MORIM, ENS MATEN. Contra la violència masclista, AUTODEFENSA FEMINISTA

Avui, Dia Internacional per a la No violència contra les Dones i les Nenes, som aquí per manifestar de nou el rebuig contra la violència masclista, el rebuig contra una violència que segueix volent sotmetre les dones, lesbianes i trans, envaint tots els àmbits de la nostra vida.
Denunciem la pervivència del sistema heteropatriarcal i capitalista, origen i nucli de totes les violències.

Denunciem la cultura masclista que encoratja, estimula, consent i atia l’ús de la violència contra les dones com exercici de poder i domini. Una cultura que legitima i perpetua aquesta violència a partir de diversos sistemes i espais: la militarització de les societats, la categorització dels cossos i les vides, l’apropiació del cos i la sexualitat femenina, els vincles amorosos subordinats, la feminització de la pobresa, la imposició de normes estètiques impossibles, els mandats heteronormatius, els racismes, els classismes, la normativitat funcional, i tants d’altres.

Denunciem totes aquelles violències que se sumen i interseccionen en la diversitat que acull el ser dones. 

Manifestem que les violències masclistes no són aïllades i particulars, no són allò que succeeix a una dona concreta sinó que les vivim totes i s’inscriuen en les nostres vides i els nostres cossos.

Manifestem que totes nosaltres, totes les que som aquí, som expertes en l’experiència de la violència masclista. En un àmbit o en diversos; en nosaltres mateixes o en dones properes: amigues, col·legues, germanes, mares, filles, àvies, nebodes, netes, cunyades, ties… D’una manera o de diverses, totes coneixem la violència pel fet de ser dones.

Manifestem que estem fartes del silenci entorn els perpetradors de la violència, de la no responsabilització dels agressors, de l’absència de reconeixement i de resposta institucional.

Denunciem que la violència contra les dones és la més greu, sistemàtica i impune vulneració dels drets humans de la meitat de la població de la nostra cultura occidental.

Denunciem la violència estructural que opera a través de l’àmbit jurídic i policial culpabilitzant les dones i estigmatitzant-les quan no confien en els recursos legals que se’ls hi ofereixen; desprotegint-les en exigir la seva adequació als sistemes jurídico-penals enlloc d’adequar els sistemes a la diversitat de les necessitats de les dones. Responsabilitzant-les a la fi de la violència viscuda.

Denunciem la violència estructural que opera a través de l’àmbit laboral amb feines precàries, sous baixos, atur elevat. La que obeeix al capitalisme acarnissat dels tractats de lliure comerç que s’apropia del capital femení en el seu benefici.

Denunciem la violència estructural que opera a través de les retallades en l’àmbit social, deixant les dones que pateixen violència directa en situació de desempar i victimitzant-les doblement. La violència que col·loca les persones dels serveis d’atenció a límits d’explotació amb l’excusa de la crisi i les retallades.

Denunciem la violència estructural que opera a través de l’àmbit de la salut coaccionant la llibertat dels cossos de les dones legislant-los, cancel·lant-los i violentant-los.

Denunciem la violència estructural que opera en l’àmbit d’ensenyament obviant models coeducatius i cooperatius mantenint currículums escolars i plans d’estudi que vehiculen la cultura de la violència.

Denunciem que som davant d’una greu problemàtica de salut pública, on les estadístiques oficials només assenyalen la punta visible de l’iceberg d’una xacra molt estesa i d’arrel profunda.

Denunciem la violència institucional que sosté i manté aquestes estructures sense reconèixer i assumir la responsabilitat cabal en l’eradicació o la perpetuació de la violència vers les dones. Denunciem les polítiques de maquillatge que ens esgoten i ens espremen.

Denunciem la violència institucional que no intervé en l’enculturació neomasclista de la nostra societat; que s’apropia el discurs feminista obviant el fons i les pràctiques que implica; que es limita a gestionar minsos recursos que de cap manera arriben al fons d’una problemàtica que pot anomenar-se feminicidi; que incompleix els propis compromisos legislatius en no desplegar els efectes que haurien d’emanar de les normes.

Denunciem la violència institucional que minimitza, aïlla, dispersa i oculta, la magnitud de la violència contra les dones no abordant-la des de les dimensions simbòliques i estructurals que la legitimen i sustenten, actuant així com a còmplice d’aquesta violència.

Manifestem i recordem: a qui calla, que el silenci el fa còmplice de la violència; a qui no escolta, que triar la ignorància el fa responsable; i a qui pot fer-ho i no actua, que no prendre mesura és una forma més de violència. 
Com cada any, seguim i seguirem denunciant i recordant, avui i sempre, que la violència és responsabilitat de qui l’exerceix, no de qui la pateix. I per la construcció d’una societat digna, lliure de violències per a totes i per a tots: 

ESCOLTEU-NOS. La saviesa femenina i el moviment feminista són la clau de la transformació cultural i social. Sense les dones no hi ha revolució.

MIREU-NOS. Som milions de dones sostenint la vida i construint relacions lliures de violència. Les pràctiques de llibertat femenina són mediació universal per la transformació de la feminitat i la masculinitat.

VEIEU-NOS. El reconeixement a la diversitat és el principi de la llibertat. Sense dones lliures no hi ha països lliures

RECONEGUEU-NOS. Les dones teixim xarxes i sense xarxes no es pot abordar el canvi social. Les organitzacions de dones feministes som referents de voluntat i acció política per la llibertat, la vida, l’equitat, la pau i la sostenibilitat.

El nostre saber feminista és imprescindible per acompanyar i guiar la transformació social que nosaltres fem cada dia, amb el nostre dia a dia.

Les unes al costat de les altres, practicant l’autodefensa feminista, diem PROU a les violències masclistes i ens donem suport per gaudir de vides i relaciones lliures perquè

PERQUÈ ENS HI VA LA VIDA.

PERQUÈ VOLEM UNA VIDA LLIURE, I LLIURE DE VIOLÈNCIES.

PERQUÈ ENS VOLEM VIVES, I ALEGRES, I SANES, I FORTES, I JUNTES!!!

Novembre feminista   https://novembrefeminista.wordpress.com/

Ca la Dona. Ripoll 25 08002 Barcelona

MANIFESTACIÓ 25 DE NOVEMBRE DE 2015: Trobada 19h a Canaletes (Bcn) 
Porta una espelma !!!

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