Sorridiamo, donne: arrivano le bombe!!

Sorridiamo, donne: arrivano le bombe!!

http://www.nicolettapoidimani.it/?p=1037
Da che la Francia, per vendicarsi degli attentati di Parigi, ha cominciato a bombardare Raqqa, “capitale” del cosiddetto stato islamico, sui media on line compaiono articoli che raccontano di donne che “sorridono alle bombe”, perché finalmente possono scoprirsi il volto e i capelli, mentre i Daesh fuggono per salvarsi la pelle.

Un giornale scrive: «Le incursioni degli aerei da guerra rappresentano per loro un momento di pace, di gioia: mentre gli uomini di Al Baghdadi fuggono, atterriti dagli attacchi, loro, le donne dei civili, corrono a prendere una boccata d’aria. Il velo però lo lasciano nel buio delle loro case semidistrutte: la libertà merita di essere assaporata a volto scoperto».

«Le donne dei civili», avete letto bene! Non «le donne» e punto, perché anche alle nostrane latitudini proliferano la mentalità da sultani e la cultura dello stupro, e una donna è sempre “la donna di qualcuno”.

Ma, al di là di ciò, che le bombe rappresentino un momento di pace, di gioia e di libertà non riusciranno mai a farmelo credere.

Di fondo, stanno riciclando la stessa formula con cui, nel 2001, hanno provato a renderci complici della guerra in Afghanistan: usare la retorica della liberazione delle donne dal burqa per accattivarsi le simpatie femministe…

All’epoca, una vignetta di Pat Carra distrusse con amara ironia il perverso dispositivo narrativo:

patOggi dovremmo, tutte insieme, ribadire alcuni dati di fatto:
1. le donne (così come gli uomini, i/le bambini/e, i cani, i gatti, l’ambiente naturale, ecc.) sotto le bombe non sono affatto felici;
2. le donne di Raqqa sono state blindate nelle loro case da bande di tagliagole e stupratori armate – direttamente o indirettamente – dall’occidente e dai suoi partner economici arabi;
3. tutto il mondo ha taciuto davanti alla devastazione di Kobane, al genocidio del popolo yezida a Shengal, alla riduzione in schiavitù delle bambine e delle giovani donne yezide e allo sterminio di quelle troppo attempate per poter essere vendute a dei sadici torturatori, all’occupazione di Raqqa come di buona parte della Siria e dell’Iraq;
4. chi dall’inizio non ha taciuto e, anzi, ha preso le armi per liberarsi di Daesh/Isis sono quei guerriglieri e quelle guerrigliere del Kurdistan che l’occidente considera “terroristi” perché si vogliano autodeterminare, quei guerriglieri e quelle guerrigliere che fanno attenzione a non creare vittime tra la popolazione civile, e che hanno insegnato alle donne – e non solo – le basi dell’autodifesa armata per proteggersi in caso di ulteriori incursioni o attacchi di Daesh;
5. chi continua a liberare le città siriane e iraqene dalla peste Daesh sono, ancora una volta, quei guerriglieri e quelle guerrigliere, anche se i media nostrani vedono bene di ignorarli – e di ignorare il genocidio del popolo kurdo che la Turchia ha ricominciato con ritmo serrato – parlando invece dei peshmerga di Barzani, cioè di coloro che all’inizio dell’agosto 2014 fuggirono a gambe levate consegnando, di fatto, Shengal e la sua popolazione, nonché le proprie armi, alle bande di fondamentalisti…

6. in nome della maledetta lista dei gruppi “terroristici”, pochi giorni fa in Inghilterra è stata condannata una giovane donna, Shilan Ozcelik, accusata di voler partire ed unirsi a coloro che combattono contro Daesh/Isis.

sorridiamo donne!

Ci sarebbe ancora molto altro da aggiungere, ma poco mi importa, ora, completare il quadro dell’ipocrisia di chi arma certi gruppi per i propri interessi economici e poi li chiama “nemici” quando non servono più o quando si lascia, spesso volutamente, sfuggire di mano la situazione per continuare ad ingrassare l’industria bellica, questa volta combattendoli.

In occasione del 25 novembre si moltiplicano i piagnistei e i buoni propositi per debellare la violenza maschile sulle donne. Non oso immaginare cosa sarà quest’anno! Soprattutto se penso alla “strana” (?!?) coincidenza col vertice Nato a Firenze…

Cercheranno di convincerci che, a differenza dei fondamentalisti, gli stati “democratici” ci stanno chiedendo di rinunciare alle nostre “libertà” in nome della sicurezza – quindi “per il nostro bene” – così come hanno riempito le strade delle nostre città di militari armati, sempre “per il nostro bene”.

Perché la donna è minus habens e non può che essere protetta, deve convincersene e  sorridere agli uomini in divisa, alle bombe che le piombano sulla testa, ai mariti/fidanzati/compagni che le dicono quanto è fortunata ad essere nata in questa o quell’altra parte del mondo –  sempre talmente civilizzata che se lei reagisce alla violenza maschile, verrà poi condannata dai tribunali dello stato! Sempre “per il suo bene”, naturalmente…

Se quest’anno vogliamo scendere in piazza contro la violenza maschile, facciamolo al fianco delle tante Vincenzina Ingrassia e Fatma Salbehi, a cui lo stato fa pagare la scelta di liberarsi dei mariti violenti, privandole della libertà o della vita.
Facciamolo al fianco delle combattenti yezide, che si sono armate per autodifendersi da torturatori e stupratori, e al fianco delle donne kurde – combattenti e non –  la cui potenza etica è già una rivoluzione in atto.
Facciamolo al fianco di tutte quelle che, in tutto il mondo, mettono in gioco la propria vita senza mediazioni, per difendere l’autodeterminazione.

A questo proposito, fuori dal coro dei piagnistei, una manifestazione di spirito postvittimista a cui abbia senso partecipare quest’anno, portando contenuti etici e politici, è quella che si terrà a Milano il 28 novembre, per gridare tutte insieme che La rivoluzione delle donne comincia in Rojava e non ha confini, e, soprattutto, che da qui non torneremo mai più indietro!

Manifesto-28-NOV

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Palinsesto del 25/11/2015

ANNO IV-2015/2016 I NOMI DELLE COSE la trasmissione della Coordinamenta femminista e lesbica tutti i mercoledì dalle 20.00 alle 21.00 sugli 87.9 di Radio Onda Rossa
S.O.S. SOSTIENI ROR!!! LA RADIO PER CONTINUARE A TRASMETTERE HA BISOGNO
DI UN AIUTO CONCRETO e IMMEDIATO! 
http://www.ondarossa.info/node/2

QUESTA SERA 25 NOVEMBRE LA COORDINAMENTA VI ASPETTA TUTTE E TUTTI AL 3SERRANDE OCCUPATO, MA PER CHI NON POTRA’ VENIRE ABBIAMO REGISTRATO UGUALMENTE LA TRASMISSIONE!

PALINSESTO di mercoledì 25 novembre 2015


ore 20.00 Apertura ” IL VALORE POLITICO DELLA ROTTURA”

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ore 20.10
Riflessioni  sull’incontro del 14 dicembre/ Quale valore hanno il nostro vissuto e le nostre azioni, la nostra storia anche, in un mondo che non ci riconosce e che non accettiamo? Come fare a essere quel qualcosa che illumina la notte con delle fiammelle così deboli?” 

ore 20.40 PARTE SECONDA

DESMONAUTICA, la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese
” Una volta per tutte, la tecnologia non ci rende asociali”

Ciao a tutte, le coordinamente coordinamenta@autistiche.or

per riascoltarci e per leggere i documenti
per ascoltarci in streaming
www.ondarossa.info cliccando “ascolta la diretta”
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La notte del 24 novembre a Barcellona

24 novembre
L’Assemblea de Dones Feministes de Gràcia i dones d’altres col•lectius i espais de la Vila us convoquem a una marxa nocturna prèvia al 25N (dia mundial contra la violència cap a les dones i les nenes) per a Dones, Lesbianes i Trans el vespre del 24N pels carrers de la Vila.

Perquè ENS VOLEM VIVES I AMB VIDES DIGNES, el 24 de novembre a les 21h a la pl. Virreina

“Serem cinc-centes, serem mil.
Perdrem el compte a la tombada.
Juntes farem nostra la nit”
(Maria Mercè Marçal)

 

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25 novembre a Barcellona!

No morim Ens maten 25N 19h Canaletes

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 Contra la violència masclista, AUTODEFENSA FEMINISTA

NO MORIM, ENS MATEN. Contra la violència masclista, AUTODEFENSA FEMINISTA

Avui, Dia Internacional per a la No violència contra les Dones i les Nenes, som aquí per manifestar de nou el rebuig contra la violència masclista, el rebuig contra una violència que segueix volent sotmetre les dones, lesbianes i trans, envaint tots els àmbits de la nostra vida.
Denunciem la pervivència del sistema heteropatriarcal i capitalista, origen i nucli de totes les violències.

Denunciem la cultura masclista que encoratja, estimula, consent i atia l’ús de la violència contra les dones com exercici de poder i domini. Una cultura que legitima i perpetua aquesta violència a partir de diversos sistemes i espais: la militarització de les societats, la categorització dels cossos i les vides, l’apropiació del cos i la sexualitat femenina, els vincles amorosos subordinats, la feminització de la pobresa, la imposició de normes estètiques impossibles, els mandats heteronormatius, els racismes, els classismes, la normativitat funcional, i tants d’altres.

Denunciem totes aquelles violències que se sumen i interseccionen en la diversitat que acull el ser dones. 

Manifestem que les violències masclistes no són aïllades i particulars, no són allò que succeeix a una dona concreta sinó que les vivim totes i s’inscriuen en les nostres vides i els nostres cossos.

Manifestem que totes nosaltres, totes les que som aquí, som expertes en l’experiència de la violència masclista. En un àmbit o en diversos; en nosaltres mateixes o en dones properes: amigues, col·legues, germanes, mares, filles, àvies, nebodes, netes, cunyades, ties… D’una manera o de diverses, totes coneixem la violència pel fet de ser dones.

Manifestem que estem fartes del silenci entorn els perpetradors de la violència, de la no responsabilització dels agressors, de l’absència de reconeixement i de resposta institucional.

Denunciem que la violència contra les dones és la més greu, sistemàtica i impune vulneració dels drets humans de la meitat de la població de la nostra cultura occidental.

Denunciem la violència estructural que opera a través de l’àmbit jurídic i policial culpabilitzant les dones i estigmatitzant-les quan no confien en els recursos legals que se’ls hi ofereixen; desprotegint-les en exigir la seva adequació als sistemes jurídico-penals enlloc d’adequar els sistemes a la diversitat de les necessitats de les dones. Responsabilitzant-les a la fi de la violència viscuda.

Denunciem la violència estructural que opera a través de l’àmbit laboral amb feines precàries, sous baixos, atur elevat. La que obeeix al capitalisme acarnissat dels tractats de lliure comerç que s’apropia del capital femení en el seu benefici.

Denunciem la violència estructural que opera a través de les retallades en l’àmbit social, deixant les dones que pateixen violència directa en situació de desempar i victimitzant-les doblement. La violència que col·loca les persones dels serveis d’atenció a límits d’explotació amb l’excusa de la crisi i les retallades.

Denunciem la violència estructural que opera a través de l’àmbit de la salut coaccionant la llibertat dels cossos de les dones legislant-los, cancel·lant-los i violentant-los.

Denunciem la violència estructural que opera en l’àmbit d’ensenyament obviant models coeducatius i cooperatius mantenint currículums escolars i plans d’estudi que vehiculen la cultura de la violència.

Denunciem que som davant d’una greu problemàtica de salut pública, on les estadístiques oficials només assenyalen la punta visible de l’iceberg d’una xacra molt estesa i d’arrel profunda.

Denunciem la violència institucional que sosté i manté aquestes estructures sense reconèixer i assumir la responsabilitat cabal en l’eradicació o la perpetuació de la violència vers les dones. Denunciem les polítiques de maquillatge que ens esgoten i ens espremen.

Denunciem la violència institucional que no intervé en l’enculturació neomasclista de la nostra societat; que s’apropia el discurs feminista obviant el fons i les pràctiques que implica; que es limita a gestionar minsos recursos que de cap manera arriben al fons d’una problemàtica que pot anomenar-se feminicidi; que incompleix els propis compromisos legislatius en no desplegar els efectes que haurien d’emanar de les normes.

Denunciem la violència institucional que minimitza, aïlla, dispersa i oculta, la magnitud de la violència contra les dones no abordant-la des de les dimensions simbòliques i estructurals que la legitimen i sustenten, actuant així com a còmplice d’aquesta violència.

Manifestem i recordem: a qui calla, que el silenci el fa còmplice de la violència; a qui no escolta, que triar la ignorància el fa responsable; i a qui pot fer-ho i no actua, que no prendre mesura és una forma més de violència. 
Com cada any, seguim i seguirem denunciant i recordant, avui i sempre, que la violència és responsabilitat de qui l’exerceix, no de qui la pateix. I per la construcció d’una societat digna, lliure de violències per a totes i per a tots: 

ESCOLTEU-NOS. La saviesa femenina i el moviment feminista són la clau de la transformació cultural i social. Sense les dones no hi ha revolució.

MIREU-NOS. Som milions de dones sostenint la vida i construint relacions lliures de violència. Les pràctiques de llibertat femenina són mediació universal per la transformació de la feminitat i la masculinitat.

VEIEU-NOS. El reconeixement a la diversitat és el principi de la llibertat. Sense dones lliures no hi ha països lliures

RECONEGUEU-NOS. Les dones teixim xarxes i sense xarxes no es pot abordar el canvi social. Les organitzacions de dones feministes som referents de voluntat i acció política per la llibertat, la vida, l’equitat, la pau i la sostenibilitat.

El nostre saber feminista és imprescindible per acompanyar i guiar la transformació social que nosaltres fem cada dia, amb el nostre dia a dia.

Les unes al costat de les altres, practicant l’autodefensa feminista, diem PROU a les violències masclistes i ens donem suport per gaudir de vides i relaciones lliures perquè

PERQUÈ ENS HI VA LA VIDA.

PERQUÈ VOLEM UNA VIDA LLIURE, I LLIURE DE VIOLÈNCIES.

PERQUÈ ENS VOLEM VIVES, I ALEGRES, I SANES, I FORTES, I JUNTES!!!

Novembre feminista   https://novembrefeminista.wordpress.com/

Ca la Dona. Ripoll 25 08002 Barcelona

MANIFESTACIÓ 25 DE NOVEMBRE DE 2015: Trobada 19h a Canaletes (Bcn) 
Porta una espelma !!!

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7 novembre Madrid

7 n

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Lettera aperta al Movimento

 Lettera aperta al Movimento dall’Assemblea antisessista di Torino

dalla mailing list femminista Sommosse

Nel corso dell’anno come assemblea antisessista ci siamo trovate/i a ragionare sul tema della violenza di genere nelle sue più svariate forme, a partire da episodi concreti che accadono con frequenza quotidiana nei diversi contesti in cui viviamo: famiglia, lavoro, scuola, le relazioni sessuali e/o affettive, i luoghi pubblici in generale. La discriminazione delle donne e la conseguente scia di violenza che ne deriva attraversa la società senza distinzioni di provenienza, estrazione sociale o appartenenza politica. Il fatto che la violenza di genere si manifesti anche in contesti politici militanti è la dimostrazione che nessuna realtà è esente da questo tipo di problematiche. Tutte e tutti siamo fortemente contaminate/i dalle dinamiche sociali e culturali in merito alla violenza contro le donne. E purtroppo nei posti occupati come nel movimento, spesso si riproducono gli stessi atteggiamenti sessisti e machisti del resto della società.
Da qui siamo partite/i per ragionare sullo stupro di gruppo di Parma, sulla violenza sessuale all’ExMoi di Torino e al Presidio no Borders di Ventimiglia.
 
Tre storie, diverse tra loro, che ci interrogano sui meccanismi di giudizio, colpevolizzazione e rimozione nella gestione e comunicazione dei fatti.
 
“NON ERA UNA DI NOI!”
Identificare la donna che ha subito la violenza, come soggetto estraneo al gruppo politico in cui la violenza è accaduta, come a dire che se fosse stata realmente ” una di noi” questo non sarebbe successo. Colpevolizzare la donna nella ricerca di “sue” responsabilità che possano “giustificare” e/o sminuire la violenza subita.
Era ubriaca? Era sotto l’effetto di qualche sostanza ? Era in condizioni di fragilità psichica o fisica? Era sola? Ha avuto atteggiamenti ambigui che in qualche modo possono aver provocato la violenza?
E se anche la risposta a queste domande fosse affermativa, non sono certo delle aggravanti per chi la violenza l’ha subita, ma per chi l’ha compiuta poiché si è approfittato di uno stato di abbassamento delle difese della donna.
 
LA NEGAZIONE E LA RIMOZIONE
Il fatto che uno stupro (tanto quanto una violenza, una molestia o un atteggiamento sessista) possa accadere all’interno dei contesti politici in cui lottiamo, è una realtà che viene spesso negata, anche perchè ci pone di fronte a serie contraddizioni. Questa indesiderata e possibile realtà, inoltre, mette in discussione le relazioni amicali e politiche che abbiamo, magari da anni, e sappiamo che è molto doloroso e difficile, per tutte/i. Pur di non riconoscere quanto successo, in alcuni comunicati scritti in merito ai fatti accaduti, si invita addirittura ad attendere il giudizio della magistratura per poter accertare “la verità”.
La stessa magistratura costantemente vilipesa e derisa!
 
LA RICERCA DELLA “VERITA'”
Si parte quasi sempre dall’ipotesi che quanto raccontato dalla donna non sia vero ed abbia bisogno di essere dimostrato con prove concrete, come se l’imputata fosse lei. Si dà più peso e legittimità ai pettegolezzi e alle testimonianze di persone più o meno coinvolte che alla parola della donna che ha subito la violenza.
Frequentemente non si è nemmeno in grado di ascoltare e accogliere la testimonianza della donna rispettandone il vissuto, senza vivisezionarlo con mille domande. E perchè le domande non vengono invece rivolte a chi la violenza l’ha agita?
Accade anche che si consigli alla donna di sporgere denuncia formale indipendentemente dalla sua volontà, come se questo atto di per sé avvalorasse la veridicità di quanto subito.
STRUMENTALIZZAZIONE
Una volta che l’episodio di violenza è di dominio pubblico e non si può più tacere, i mass media non si lasciano sfuggire l’occasione per strumentalizzarlo e gettare fango in modo generalizzato su centri sociali, occupazioni , collettivi politici, migranti, rifugiati, rom, etc…Questo non dovrebbe però distogliere l’attenzione dal problema della violenza per occuparsi invece solo della propria immagine.
Spesso si richiede l’intervento di gruppi femministi o di reti di donne per affrontare a posteriori la gestione degli avvenimenti. Ciò significa delegare ad altrE riflessioni e pratiche che dovrebbero essere invece collettive e condivise. La priorità è ancora una volta la pulizia della propria immagine e “l’autoconservazione”, piuttosto che la critica (de)costruttiva di dinamiche ben presenti all’interno del nostro movimento.
 
***
 
La riflessione che stiamo portando avanti su questi temi non vuol essere una critica sterile e distruttiva al movimento, ma mira ad aprire una discussione collettiva su sessismo e violenza maschile contro le donne, per costruire pratiche quotidiane consolidate e per non affannarsi ad intervenire sull’emergenza, sempre in modo confuso ed ottuso.
Il confronto sulla violenza di genere e sulle relazioni che costruiamo nei nostri spazi è, a nostro giudizio, prioritario per un movimento che dice di lottare per una società differente, anticapitalista e rivoluzionaria.
Se non partiamo da noi stesse/i e dalle contraddizioni che ci pervadono, come possiamo pensare di trasformare ciò che ci circonda e di sovvertire l’ordine imposto da questo sistema?
Non assumersi tutte/i questa responsabilità significa essere complici e agire in prima persona sessismo e violenza
Pensiamo l’antisessismo come una pratica militante al pari dell’antifascismo o dell’antirazzismo. Essere compagne e compagni significa prima di tutto essere antisessisti
Tollerare o non riconoscere atteggiamenti sessisti significa concimare con tanta merda il terreno su cui la violenza può nascere e proliferare.
Elaboriamo strategie di prevenzione e gestione rispetto alle violenze e alle discriminazioni che si verificano nei nostri ambiti, apriamo discussioni collettive e rriconosciamo legittimità a questi temi.
Mettiamoci in gioco, confrontiamoci, creiamo cultura e reti di solidarietà per sostenere le donne che fanno emergere le storie di violenze vissute, condividiamo pensieri, pratiche e strumenti.
 
Assemblea Antisessista di Torino
 
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Groundhog War

Groundhog War

Pubblicato il 22 novembre 2015 · in Schegge taglienti ·

di Alessandra Daniele

TwinPeaks25

Dieci giorni dopo il sanguinoso raid di Parigi, è difficile trovare qualcosa da dire su questa guerra che non sia già stato detto. Venticinque anni fa. Sono infatti già passati un quarto di secolo e almeno mezza dozzina di crisi analoghe dall’operazione Desert Storm, ufficialmente organizzata  per “liberare il Kuwait”, che oggi è fra i principali finanziatori dell’ISIS.

E ancora una volta tutti i commenti sono identici.

Da una parte si continua a fomentare la paranoia xenofoba, e ad invocare il fuoco redentore dei bombardamenti, come se non si fosse già mille volte dimostrato prevedibilmente capace solo di diffondere l’incendio che dovrebbe estinguere, sterminando ben più civili degli attentati terroristici, e allargando sempre di più il campo di battaglia.

Dall’altra, quella a me più vicina, si continua pazientemente a denunciare tutte le complicità economico-politiche fra presunti nemici, le strumentalizzazioni repressive e golpiste dello Stato d’Emergenza permanente, e si continua ad evidenziare le differenze nel mondo islamico fra minoranze bellicose e maggioranze pacifiche, benché l’opinione pubblica occidentale abbia già mille volte dimostrato di fottersene totalmente di verità, giustizia, logica, ragionevolezza, ed essere interessata solo alle bufale sulle armi chimiche di Al Baghdadi, e sulle false suore kamikaze in agguato per il Giubileo, che già circolavano nel 2000.

Mentre i media embedded continuano a spacciare ogni attacco terroristico come una Pearl Harbour completamente inattesa, una “dichiarazione di guerra” improvvisa e unilaterale da parte d’una (eterogenea) fazione che l’Occidente sta in realtà direttamente bombardando da venticinque anni, dopo averla direttamente creata in funzione anti URSS.

Alcuni di noi hanno scritto queste cose per la prima volta in un tema scolastico.

Altri di noi non erano ancora nati, e non hanno mai conosciuto un mondo senza Scontro di Civiltà.

Gennaio 1991.

Schillaci giocava in Nazionale.

Il World Wide Web non esisteva, c’era il Televideo. Il presidente del consiglio era Andreotti.

Il presidente degli USA era George Bush. Padre.

Antonio Lubrano spiegava su Raitre come usare una maschera antigas, mentre su Canale 5 arrivava in Italia la prima originale serie di Twin Peaks.

Venticinque anni.

In quale Loggia Nera siamo prigionieri, condannati a rivivere in eterno il debutto del Tg4 di Emilio Fede che esulta “hanno attaccato”? Quale degli inferni paralleli del Bardo Thodol ci siamo meritati, e c’è ancora qualcosa che possiamo fare per uscirne?

È questo che dovremmo chiederci. Non se rischiamo la vita, ma se non siamo in realtà già morti. Da almeno venticinque anni.

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Milano 28 novembre!

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25 novembre a Bologna!

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“Il valore politico della rottura”

25 novembre 2015

contro la violenza maschile sulle donne

“Il valore politico della rottura”

Siamo partite da noi, dal nostro quotidiano, dalle nostre storie e dalle nostre esperienze, come siamo abituate a fare nella nostra pratica femminista, e abbiamo incontrato le compagne che hanno attraversato il periodo della lotta armata negli anni ’70 per discutere sui ruoli sessuati e di come questi si modifichino o meno nelle situazioni emergenziali. Anche loro sono partite dai loro vissuti e dalle loro storie in uno scambio reciproco e fecondo.

Abbiamo preso atto che le nostre vite e il sociale tutto è stretto in una gabbia di sbarre visibili e invisibili in cui siamo costrette a muoverci e che viene chiamata “normalità” e dal confronto è emerso prepotentemente che tutte le volte che questa così detta normalità viene sospesa, casualmente o nelle lotte, per nostra volontà o da fattori esterni, si aprono scenari di presa di coscienza personale e politica, potenzialità di uscita da questa società, si presentano immaginari altri rispetto all’esistente in cui siamo vincolate a vivere.

Abbiamo convenuto sulla necessità di cercare di spezzare questa “normalità” in tutti i momenti della nostra vita, di creare crepe, fessure, squarci nell’esistente e di sfruttare tutte quelle fessure che si creano nelle contraddizioni sociali. E questo è tanto più importante nelle lotte per evitare di ripetere rituali, ma anche controrituali, diventati anch’essi rituali, che il potere ci spinge a percorrere facendoci credere che potremmo cambiare qualcosa, mentre, addirittura, stiamo lottando contro noi stesse.

Ma, mettendo a posto il materiale per pubblicare gli Atti degli Incontri, sbobinando i dibattiti, scegliendo documenti e guardando foto e scritte, abbiamo continuato a discutere e a pensare sull’esistente in cui siamo infilate e sono scaturite una serie di altre riflessioni.

Stiamo attraversando un momento di cambiamento epocale in cui i tradizionali assetti della borghesia si stanno modificando radicalmente. Il neoliberismo, vera e propria ideologia, è una ridefinizione a tutto campo dei rapporti di forza tra multinazionali e Stati e con gli oppressi tutti/e e anche all’interno della stessa classe borghese.

Il neoliberismo ha chiuso ogni spazio di contrattazione e l’ha chiuso in maniera unilaterale e il rapporto con le classi subalterne è affrontato come un problema di ordine pubblico. Se ogni spazio di mediazione è chiuso, e non l’abbiamo chiuso noi, non abbiamo più di fronte una controparte, ma solo un nemico.

L’individuazione del nemico sul fronte interno e sul fronte esterno è fondamentale, qualsiasi tipo di azione si intenda portare avanti. Sul fronte esterno gli Usa si pongono come Stato del capitale e sono all’attacco, con alleati e vassalli, su tutti i fronti, militare con la Nato, economico con il TTIP e l’opzione della guerra viene presa in concreta considerazione come soluzione dei problemi economici e di dominio. Sul fronte interno è il PD a naturalizzare, ormai da molto tempo, il neoliberismo nel nostro paese. E anche il femminismo è attraversato prepotentemente dalla lotta di classe, proprio al suo interno. La strumentalizzazione della violenza sulle donne e sulle diversità, l’emancipazionismo usato come fine e non come mezzo, ha fatto sì che molte femministe e molte donne, in cambio della loro promozione personale, si siano messe al servizio del patriarcato e si prestino alla perpetuazione dell’oppressione di tutte le altre donne e degli oppressi tutti. Anche le “patriarche” sono il nostro nemico.

Abbiamo, però, l’impressione che la maggior parte delle lotte venga portata avanti come se ci trovassimo ancora in una società di tipo keynesiano che, invece, non esiste più. La crisi sociale ed economica è una vera e propria scelta del sistema.

Dovremmo porci il problema di reimpostare completamente il nostro bagaglio di strumenti di lotta per affrontare il neoliberismo.

Il patto sociale è rotto, un patto traballante e strumentale, utilitaristico e quasi sempre disatteso, che la borghesia aveva imbastito soprattutto nell’intento di togliere l’acqua ai pesci che nuotavano in un possibile immaginario rivoluzionario. E se il patto sociale è rotto, perché è rotto, allora non ha più senso un qualsivoglia coinvolgimento neppure ammantato da “nobili motivazioni e “migliori fini”.

L’egemonia culturale del sistema è, però, fortissima. E’ il frutto del “politicamente corretto” portato avanti dalla socialdemocrazia riformista, trasformatasi in destra moderna, PD in testa, in tanti anni di manipolazione delle coscienze attraverso gli strumenti e il lessico della sinistra. E’ un’egemonia fatta di concetti come “legalità”.. “sicurezza”.. “condivisione”… “compartecipazione”… “cittadinanza”… “meritocrazia”.. “convivenza civile”… “demonizzazione della violenza”.. ma anche “demonizzazione della politica”… è vano pensare di riuscire a coinvolgere gli strati sociali colpiti dal neoliberismo e, nel nostro caso, le donne, nelle lotte che portiamo avanti se non ci poniamo il problema di scardinare questi concetti che informano la così detta società civile fin nel midollo. E non è sufficiente una situazione di disagio economico anche forte per indurre le persone a prendere coscienza.

Per tutto questo vorremmo discuterne e confrontarci con tutte e tutti voi

Mercoledì 25 novembre 2015 ore 18.00 nello spazio occupato del 3Serrande, alla Sapienza, viale Regina Elena 336-Roma

Coordinamenta femminista e lesbica coordinamenta.noblogs.org/coordinamenta@autistiche.org

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Perquisizioni nelle abitazioni di chi partecipa alla lotta contro i CIE

Perquisizioni nelle abitazioni di chi partecipa alla lotta contro i CIE!

da femmilistanocie

Ieri mattina a Roma, verso le 6,30 alcuni compagni e compagne sono state
perquisiti nelle proprie case di residenza. A bussare alla porta c’erano
poliziotti e digos che hanno sequestrato oggetti personali e notificato
fogli di via. Le accuse sono manifestazione non autorizzata, con
riferimento ai presidi sotto le mura del CIE di Ponte Galeria di
settembre e ottobre, e oltraggio a pubblico ufficiale. Sul fatto c’è
poco da commentare, la cronaca e le accuse parlano da sè. Non ci
soffermiamo troppo a denunciare questo gesto intimidatorio delle
guardie, ci interessa piuttosto capire quello che ci sta succedendo
intorno, attrezzarci e organizzarci.

Sono molti mesi, ormai, che con cadenza mensile andiamo davanti al lager
di Ponte Galeria con l’intento di rompere il silenzio e l’isolamento in
cui tante persone senza documenti sono costrette, per supportare le
lotte che chi è rinchiuso/a porta avanti con coraggio e determinazione.
Come pochi giorni fa a Torino al CIE di corso Brunelleschi, dove i
detenuti hanno dato fuoco a tre aree del centro rendendole inagibili o
come un mese fa a Ponte Galeria, quando un ragazzo per resistere alla
deportazione si è arrampicato sul tetto.

Certamente non ci stupisce l’accanimento verso persone che portano
avanti percorsi di lotta concreti, ma è importante segnalare l’utilizzo
massivo e indiscriminato di diverse misure repressive. Da un pò di tempo
a Roma, come in altre città, si stanno moltiplicando misure e sanzioni,
che vanno dai fogli di via alle firme, dalle multe agli avvisi orali.
Una strategia complessiva che mira a controllare e gestire la città in
modo capillare e preciso. Una città commissariata, in cui c’è una sorta
di stato di polizia, e in attesa del grande evento del Giubileo, grande
prova d’esame dal punto di vista del controllo, della sicurezza e della
gestione.
Le perquisizioni di ieri mattina non ci spaventano e non ci scoraggiano.
Ne cogliamo però il significato complessivo perché non sono un atto
isolato.

Andare e tornare dai presidi a Ponte Galeria sta diventando sempre più
complicato. Durante gli ultimi appuntamenti, infatti, molti solidali che
volevano raggiungere il CIE sono stati fermati da polizia e controllori,
che non facevano ripartire il treno o bloccavano gli ingressi,
dispiegandosi in forza dentro le stazioni e minacciando i presenti.

Dentro il CIE Ponte Galeria la situazione è come al solito
insopportabile. Le celle sono stracolme di persone e le deportazioni
all’ordine del giorno. I presidi, non ci stancheremo mai di dirlo, sono
momenti importanti per tenere viva non solo la solidarietà con chi è
dentro, ma per dare costanza alla comunicazione con i detenuti e le
detenute, per contiuare a supportare chi lotta dentro e per organizzare
al meglio la risposta fuori.

Chiamiamo quindi tutti e tutte a partecipare in tanti e tante al
prossimo presidio, che sarà il prossimo 12 dicembre. Sarà fondamentale
essere numerosi/e, determinati/e e con la rabbia di sempre.

Complici e solidali con chi lotta
contro ogni gabbia e frontiera

Alcuni nemici e nemiche delle frontiere

Pubblicato in Cie/CPR, Repressione | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Perquisizioni nelle abitazioni di chi partecipa alla lotta contro i CIE

La vostra guerra, i nostri morti

La vostra guerra, i nostri morti

Presidio venerdì 20 Novembre
h.18.00 Piazza di Santa Maria in Trastevere.

In seguito agli attacchi terroristici attuati dall’ISIS a Parigi, Bourj,
Ankara e in tante zone della terra. Riteniamo sia necessario non restare in
silenzio di fronte alla risposta pronta e violenta dei bombardamenti
francesi su Raqqa. Intendiamo far sentire la nostra voce contro una guerra
che non ci appartiene, contro fondamentalismi e strumentalizzazioni
razziste!
Infatti, mentre i popoli piangono le vittime delle guerre, i potenti del
mondo al G20 di Antalya, fingendo cordoglio per l’attentato di Parigi,
stringono le mani al presidente Erdogan -complice degli attentati ad Ankara
e della guerra dell’Isis contro il popolo curdo- e si preparano per nuovi
attacchi e nuove incursioni in medioriente. Questa mattina arriva la
conferma definitiva dell’appoggio unanime dei paesi dell’Unione Europea
alla guerra all’Isis in Siria portata avanti dalla Francia. Riteniamo,
tuttavia, che l’unica vera opposizione militare all’Isis sia quella portata
avanti dal popolo curdo che ogni giorno combatte contro e si difende tanto
dalle truppe del’Isis, quanto dalle minacce delle democrazie occidentali,
costruendo una società dove si pratica il rispetto e l’uguaglianza.
I nostri governi pretendono di esportare la “democrazie occidentali”,
oramai profondamente in crisi e pronte a destinare le risorse pubbliche per
guerre e armamenti. Tutto ciò avviene in nome della sicurezza, ma come
tragicamente è emerso a Parigi nessuna efficacia nel difendere i cittadini,
gli unici effetti sono controllo e pacificazione sociali nei quartieri
popolari. Pensiamo che le risorse pubbliche debbano servire per finanziare
la sanità, l’istruzione, le abitazioni e per garantire una vita dignitosa a
tutti e tutte. Una vita dignitosa anche per i migranti che arrivano nei
nostri paesi a causa delle guerre che i nostri governi decidono di
intraprendere e portare avanti. In Italia, in cui i partiti collusi hanno
sperperato migliaia di euro alle nostre spalle, imponendo un modello di
sviluppo che amplifica le disuguaglianza sociali, pretendiamo che le
risorse vengano redistribuite e destinate a un miglioramento delle
condizioni di vita della popolazione.
Per questo Venerdì 20 Novembre ci incontreremo in un presidio a Piazza di
Santa Maria in Trastevere in solidarietà di tutte le vittime di una guerra
voluta dall’alto e per dimostrare che c’è un opposizione reale a questo
sistema che genera violenza, sfruttamento e guerra. Un’opposizione che
rifiuta fermamente i razzisti e i fascisti che, sciacallando su una
tragedia, portano acqua al loro mulino, alimentando volutamente una guerra
tra poveri sempre più rischiosa.
Di fronte a tutto ciò non possiamo rimanere in silenzio
TUTTI IN PIAZZA!

LA VOSTRA GUERRA I NOSTRI MORTI!

Presidio in solidarietà alle vittime della guerra: venerdì 20 Novembre h
18:00 Piazza di Santa Maria in Trastevere.
Evento facebook: https://www.facebook.com/events/440982932776186/

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Un abbraccio di solidarietà e di vicinanza ad Asia!

Tutta la nostra solidarietà e vicinanza di donne, di femministe, di compagne ad Asia, che ha subito una gravissima aggressione fascista e sessista nel quartiere Vomero di Napoli!

Il fascismo è un modo di essere e di pensare che attraversa pesantemente la nostra società e si manifesta ed è legato a doppio filo al sessimo e al razzismo , ad una visione della vita fatta di prevaricazione e di violenza, di sopruso e di aggressione.

Combatterlo è una necessità nel nostro impegno quotidiano e politico e la discriminante antifascista è imprescindibile.

Un abbraccio di solidarietà e di vicinanza ad Asia da tutte noi!

le coordinamente

Riportiamo la lettera scritta da Asia perché è un piccolo manifesto di quello che vuol dire la parola compagn*

Ciao, sono Asia. Volevo solo dire grazie a tutte e a tutti..
Quello che mi è successo ieri sera mi ha scosso e non poco. È inevitabile, chiunque lo sarebbe se 4 uomini armati di coltello ti minacciassero di morte semplicemente per una spilletta.
Ma ciò che ho sentito più di qualsiasi altra cosa in queste ore, oltre alla rabbia che spingerà sia me che i compagni a continuare sempre meglio il nostro progetto, è il calore di tutti coloro che stamattina hanno riempito piazza 4 giornate per la conferenza stampa, di chi ha scritto messaggi di solidarietà e di conforto, di chi è uscito prima da scuola, lavoro e università per capire cosa fosse accaduto e venire ad aiutare…
È questo quello che è riuscito a spingermi avanti e a non farmi intimorire, quando mi sono guardata alle spalle e ho capito di non essere sola, di non esserlo mai stata.
È proprio vero che chi ten e’ compagn nun è mai sul!

 
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Podcast della Trasmissione del 18/11/2015

“I Nomi delle Cose” /Puntata del 18/11/2015

” La nuit oubliée- Riflessioni femministe sulla Francia”

“……bisogna se non altro dire che il più grande eccidio civile in Francia nel dopoguerra non è stato quello del 14 novembre di quest’anno, ma quello del 17 ottobre del 1961, quando una manifestazione di algerini francesi che chiedevano indipendenza per il proprio paese fu repressa nel sangue. Manifestazione indipendentista che aveva assunto anche un aspetto sociale: gli invisibili abitanti delle periferie più squallide, che producevano alla Renault e nelle altre fabbriche della Parigi operaia, invasero il centro della “ville lumière”, vetrina del benessere e della “grandeur” francesi. La manifestazione era assolutamente pacifica, la chiamata era contro l’imposizione del coprifuoco alla popolazione algerina e diceva testualmente “ non saranno tollerate armi – “neanche una spina” – né comportamenti violenti” e parteciparono in trentamila comprese famiglie, donne e bambini. Ancora oggi non si sa esattamente quanti siano stati i morti, non è stato neanche mai possibile definirne la cifra, approssimativamente fra i duecento e i trecento. Per settimane la Senna riportò a galla decine di cadaveri……” La coordinamenta, Storia e memoria

“..Noi abbiamo su questo, noi donne del Mali, un ruolo storico da giocare, qui e ora, nella difesa dei nostri diritti umani contro tre forme di fondamentalismo: quello religioso tramite l’islam radicale, quello economico tramite il mercato globale, quello politico tramite la democrazia formale, corrotta e corruttrice (…) Perché i potenti del mondo che si preoccupano tanto della sorte delle donne africane non ci dicono la verità sulle poste in gioco minerarie, petrolifere e geostrategiche delle guerre?….”    Aminata Traorè e altre femministe maliane  contro la strumentalizzazione della violenza contro le donne da parte della comunità internazionale per giustificare l’intervento armato in Mali.

 

“…Il vero scontro di Civiltà che stiamo vivendo è in realtà ortogonale a quello che ci viene raccontato dai media, dai predicatori apocalittici di tutte le religioni, dai califfi rampanti, come dal Front International dei leader che hanno sfilato a Parigi con Hollande.
Non si tratta infatti di “Oriente” contro “Occidente”, ma delle classi dominanti di entrambi i poli contro le classi subalterne, per controllarle attraverso il potere della paura e dell’ostilità reciproche.
Affinché i proletari di tutto il mondo non si uniscano, bisogna che si combattano.” Alessandra Daniele “Da Ferguson a Parigi”.

http://www.carmillaonline.com/2015/01/18/da-ferguson-a-parigi/



“La nuit oubliée” /Riflessioni sulla Francia/ Perchè a Parigi?/
La coordinamenta verso il 25 novembre/LO STRUMENTO DEL PARTIRE DA SE’ E IL VALORE POLITICO DELLA ROTTURA”

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Podcast della Parentesi del 18/11/2015

La Parentesi di Elisabetta del 18/11/2015

”Perché a Parigi?”

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