Patti Smith/ Because The Night

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La Parentesi di Elisabetta del 25/01/2017

“Ultima barricata”

Il movimento si sta ponendo il problema reale di come muoversi dopo la vittoria del NO al referendum costituzionale. Le lotte sono sempre più variegate: da quelle contro licenziamenti, precarietà, condizioni di lavoro, a quelle contro una scuola sempre più gerarchizzata, meritocratica, autoritaria, privatistica, da quelle per il diritto all’abitare, alla sanità, alla pensione, a quelle contro la devastazione dei territori, contro le installazioni militari…. un elenco senza fine, specchio di una devastazione sociale a tutto campo……..ma c’è una necessità imprescindibile perché tutto questo abbia una possibilità di incidere. Le lotte devono avere connotati, da subito e immediatamente, politici.

Il neoliberismo tende alla spoliticizzazione delle lotte, a ridurle a rivendicazioni corporative e categoriali. Il conflitto capitale lavoro, la strutturale oppressione patriarcale, l’irriducibile conflitto di genere e di classe che si dispiega nella società capitalista/neoliberista, viene spostato in una rivendicazione di diritti lesi, di patrocini da ricercare delegando quindi la propria tutela alle associazioni dei consumatori, alla class action, ai centri antiviolenza…

Esempio di come non può e non deve essere una lotta è lo sciopero delle donne chiamato per l’8 marzo.

E’ interclassista e spoliticizzato…..non individua l’aggredita e l’aggressore, l’oppresso e l’oppressore, e quindi non individua il nemico…il problema che si pone è il riconoscimento, la tutela da parte dello Stato e il collaborazionismo  per la stesura di un fantomatico Piano Nazionale contro la violenza di genere. Come il Piano Nazionale contro la povertà di cui si sbandiera tanto in questi giorni, come se la povertà fosse un evento ineluttabile a cui lo Stato con la sua proverbiale sensibilità cercherebbe di porre rimedio.

Ci sarebbe da ridere, se la consapevolezza della devastazione politica che comporta tutto ciò non ci soffocasse la risata in gola.

Che la scelta dello sciopero delle donne non sia un errore o una svista in buona fede, ma faccia parte di un progetto più ampio in cui veniamo strumentalizzate e piegate ai fini del potere ce lo dicono una serie di iniziative similari: la Lobby Europea delle Donne con le sue strategie quinquennali, le manifestazioni delle femministe, chiamiamole così per semplificazione, con le orecchiette rosa contro Donald Trump… Non sono altro che parte di una manovra che serve ad accerchiare e soffocare le ultime resistenze di chi ancora si ostina a ragionare in termini politici e, soprattutto, con la sua testa.

Le Patriarche hanno fatto propri i valori di questa società, sono adepte della cultura neoliberista, svuotano di contenuto le parole femministe recitando rosari di belle parole e supportano invece lotte corporative a difesa dei loro privilegi. Vivono solo nel presente, propagandano la necessità di un realismo che è invece manipolazione e occultamento dei veri obiettivi del neoliberismo in tutte le sue articolazioni.

Per fare questo lo strumento privilegiato è la grancassa e la diffusione mediatica del loro pensiero e delle loro iniziative. Bisognerebbe fermarsi a riflettere su quanto sia forte l’egemonia del sistema, tanto forte da essere in grado di mobilitare il movimento attraverso strutture, associazioni, gruppi culturali e/o politici creati ad hoc. Non dovrebbe essere difficile smascherarli e smascherarne i veri obiettivi che sono inscritti in maniera molto chiara nella trama politica che portano avanti. Eppure non è così.

Infatti, una nuova griglia oggi ricostruisce la dimensione simbolica, politica, sociale del patriarcato, nascosta dietro l’attenzione alla nostra oppressione. E’ in questo contesto che nascono e prosperano le Patriarche, nuova parte della classe dirigente, che condanna al silenzio e all’oblio chi non si intruppa, mentre estende sempre di più la fascia delle donne impoverite, intimidite, disoccupate, precarie, emarginate.

Sono artefici delle “rivoluzioni colorate al femminile”. Come le rivoluzione colorate sono state e sono lo strumento di destabilizzazione di intere aree geografiche, governi, Stati, asimmetrici agli interessi neoliberisti, così le Patriarche mobilitano le donne quando gli interessi neoliberisti chiamano e si fanno organizzatrici di manifestazioni davanti alle ambasciate dei paesi da aggredire o di marce contro soggettività sgradite all’iper borghesia, sventolando in piazza diritti delle donne, delle minoranze, delle diversità sessuali, tutela dalla violenza maschile, necessità di “democrazia”. Ora scendono in piazza contro Trump, ma dove erano quando è venuto a Roma Obama? Donald Trump è l’esponente della destra reazionaria e isolazionista, Barack Obama della destra interventista che ha caratterizzato le presidenze americane nell’ultimo dopoguerra e di quella neoliberista nel solco dei presidenti americani da Reagan in poi. Una “destra moderna” che si maschera dietro un linguaggio e un abito di sinistra e usa a man bassa il politicamente corretto. Trump è il prodotto avvelenato scaturito dalla reazione all’interventismo e al neoliberismo.

Se non vogliamo che si produca un Trump anche in Italia, il movimento tutto, compreso quello femminista, ha la necessità impellente di dire le cose come stanno e, sottraendosi all’egemonia neoliberista dominante,  rendere le lotte direttamente politiche.

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La memoria/27-01-2017

Che cos’è la memoria?

“…Le singolarità e i corpi non ubbidiscono a giudizi di valore a prescindere, possono rendersi complici della missione di sottomettere  con ogni mezzo le molteplici culture, diversità e inclinazioni o rifiutarsi di piegarsi al pensiero unico e dominante  senza neanche essere, a loro volta, un contropensiero unico, inventando il proprio gioco, le proprie regole del gioco, conservando un’irriducibile alterità e, in questo, realizzandosi…”

 https://drawingsbynina.wordpress.com/  

“…riappropriazione di una cultura conflittuale, di cui sono portatori i movimenti femministi e antagonisti in genere, che viene sempre più marginalizzata e criminalizzata. Riappropriazione che passa per la lotta contro i deliri securitari e il controllo sociale, contro la devastazione dei territori, la medicalizzazione, la gerarchia, l’espropriazione costante di tempi e modi di vita, contro lo sfruttamento e, in generale, contro l’oppressione e la violenza di razza, genere e classe; riappropriazione che deve anche confrontarsi con l’enorme patrimonio che abbiamo ricevuto in eredità dal pensiero e dall’azione femminista. Vorremo trovare insieme forme di autodifesa e autorganizzazione che rifiutino la logica della vittimizzazione e della delega, mettere a valore l’esperienza accumulata in anni di lotte e farci noi stesse luogo di trasmissione di tale sapere. Riscoprire ciò che fu il movimento femminista rivoluzionario e saper rideclinare i suoi principi sulle nuove forme che il potere ha assunto all’interno della società pacificata e neoliberista, che procede frammentando il processo di soggettivazione per rendere sempre più problematico il riconoscimento di classe e di genere ed erodere spazi di autonomia e alterità. La trasmissione del sapere tra generazioni e all’interno della stessa è una grande forza, l’unica forse in grado di confrontare esperienze di lotta in ottica sincronica e diacronica, in modo da poter estrapolare elementi di continuità e invece di discontinuità tra ciò che combattevano le nostre madri e ciò che dobbiamo difendere e combattere oggi…”

“…L’esperienza passata condiziona quella futura, per questo è necessario conquistare una memoria autonoma e collettiva del movimento femminista. La memoria è l’occasione per produrre nuove possibilità e dare un senso agli eventi presenti e futuri. Il femminismo è nato dalla prassi consapevole di soggetti che intendevano liberarsi e la liberazione di noi tutte è il programma del passato, del presente e del futuro.[…] Il femminismo, oggi, viene percepito nel comune sentire come qualcosa di opportunistico, con connotazioni negative e corporative, con lo stesso meccanismo con cui la sinistra socialdemocratica ha consegnato i giovani della periferia al fascismo.

La grande vittoria del patriarcato è di aver stravolto il carattere originario e originale del femminismo e lo ha fatto attraverso la componente socialdemocratica.

E la vittoria della componente socialdemocratica  è passata attraverso l’area della comunicazione sociale, attraverso la produzione di falsificazioni, la manipolazione e l’intossicazione della memoria femminista con il controllo preventivo e la condanna dei comportamenti potenzialmente antagonistici.

Il femminismo è scardinamento dei ruoli e, proprio perché il personale è politico, è scardinamento dell’organizzazione sessuata della società.

Ma, dato che nessun ambito sociale vive di sé e per sé, è scardinamento e rifiuto dei ruoli organizzativi della società tutta.

La socialdemocrazia è impostata per conservare, mentre il femminismo è un programma che fa della memoria uno strumento di consapevolezza e di forza per uscire da questa società.

Il nostro impegno è piccolo e grande allo stesso tempo e non è merce di contrattazione.

L’obiettivo è la nostra liberazione.

L’inganno parte dall’idea, volutamente falsificata, che questa società abbia nel DNA la possibilità di potersi rinnovare e che il patriarcato sia qualcosa di altro rispetto all’involucro capitalista in cui in questa stagione si perpetua. Continua a leggere

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Solidali con le donne in CARCERE e nei CIE

Roma – Sul presidio al CIE di Ponte Galeria del 21/01

Hurrya.noblogs.org

Roma – Sul presidio al CIE di Ponte Galeria del 21/01

Sabato 21 Gennaio siamo tornatx, come ogni mese, di fronte alle mura del centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria.

Anche stavolta il dispiegamento di forze poliziesche è stato ingombrante già da stazione Ostiense, dove controllori allertati dagli sbirri presidiavano le scale per obbligarci a fare i biglietti – aspettandoci poi per il ritorno da Fiera di Roma – mentre di fronte alle mura del CIE ancora una volta hanno inutilmente provato a costringerci su un marciapiede, mobilitando la celere a ogni tentativo di fare dei passi avanti per riappropriarci della strada.

Nonostante i clamori mediatici, difficilmente qualcunx raggiunge queste mura, perciò come solidali cerchiamo di mantenere le comunicazioni fra dentro e fuori quel lager. Il nostro intento non è quello di entrare in delegazioni o chiedere condizioni “più umane”, ma piuttosto portare solidarietà e supporto a quelle donne che continuano a vivere sulla propria pelle la detenzione e le deportazioni. Lo facciamo per rompere il silenzio dei soprusi quotidiani che ogni gabbia porta con sé. Il presidio non ha visto invece la  partecipazione di chi crede che le inchieste, le riforme più umane e  l’impiego di fondi più importanti possano migliorare la situazione di chi è privatx della propria libertà.Una trentina di solidali ha rotto la quotidianità obbligata con grida, cori, interventi dal microfono e musica, raccontando di altre proteste portate avanti dalle persone migranti in Italia e non solo, ma anche portando messaggi di solidarietà in diverse lingue. Sul finale, poi, qualche abile tennista ha fatto sì che il numero di telefono scritto nelle palline raggiungesse l’altra parte delle mura.

La comunicazione con le donne recluse, possibile solo attraverso cellulare questa volta, ci ha fatto sapere che la nostra rabbia è arrivata all’interno, spezzando la routine dell’isolamento.
Se da dentro continuano a raccontare di pasti farciti di tranquillanti, per sedare la rabbia di chi vuol vivere libera, e riscaldamenti rotti; di lavoratori che, con fare amichevole, promettono e illudono le recluse, fino a portare allo strenuo della sopportazione, da fuori abbiamo scelto da che parte stare e continueremo a batterci perché delle prigioni non restino che macerie. Perché ognunx sia liberx di scegliere dove vivere.

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“Uteroghiamoci”, il terzo ciclo di Cose Nostre

Dalla Consultoria  Autogestita

Care tutte

finalmente abbiamo pubblicato il calendario definitivo di
“Uteroghiamoci”, il terzo ciclo di Cose Nostre.

Gli incontri saranno:
martedì 7 febbraio
martedì 28 febbraio
martedì 21 marzo
martedì 11 aprile
sempre dalle 20.30 alle 22.30, presso la Consultoria Autogestita – via
dei Transiti 28, Milano.

 Vi aspettiamo!

La Consultoria
Consultoria Autogestita
via dei Transiti 28, Milano
https://consultoriautogestita.wordpress.com/

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Las Migas

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I Nomi delle Cose del 18/01/2017

 I Nomi delle Cose, lo spazio di riflessione della Coordinamenta femminista e lesbica/Anno 2016/2017-Nuova Stagione 

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Puntata del 18/01/2017

“La storia politica del pantalone”

“Che cos’è un pantalone? Noi sappiamo che è un capo di abbigliamento che ci veste dalla vita fino ai piedi separando le due gambe. Questa cosa a prima vista molto banale, ha tuttavia una storia che non è banale affatto perché piuttosto che un capo di vestiario, i pantaloni sono un simbolo. “Chi ha la culotte ha il potere” si diceva prima che i pantaloni rimpiazzassero la culotte che si arresta all’incavo del ginocchio.

Intorno al XVIII° e XIX° secolo , il pantalone, di origine popolare, viene adottato dagli uomini delle classi superiori. Questo costruisce la loro mascolinità mentre è interdetto alle donne. La ragione della storia straordinaria della sua universalità risiede proprio in questo, in questa sovrapposizione tra genere e potere. A suo modo questo libro racconta la conquista da parte delle donne dei pantaloni, ma allo stesso tempo analizza ciò che fa resistenza a questa conquista.

Il costume riflette l’ordine sociale e lo crea, permettendo chiaramente il controllo degli individui. Fornisce un genere, perfino un “cattivo genere”Si può disfare questo genere?”

Christine Bard <Une histoire politique du pantalon>Seuil,2010 

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20 gennaio alla Panetteria Occupata!

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Assemblea Nazionale alla Sapienza 22 gennaio 2017

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Siamo quelli che hanno detto NO in piazza alla Leopolda di Firenze il 5 novembre, il 27 novembre a Roma e il 4 dicembre nelle urne. Siamo scesi in piazza in decine di migliaia di persone a Roma, venendo dalle grandi città e dalla province, dai territori devastati dalle grandi opere, dalle periferie e dalle zone terremotate. Siamo le stesse persone che, tra milioni di altre, hanno respinto la riforma costituzionale: i giovani e giovanissimi, gli abitanti del Sud Italia e tutti coloro per cui la povertà è un certezza e il futuro un dubbio.

La partecipazione al voto è stata un segnale di rifiuto all’arrogante progetto di Renzi e del Partito Democratico sull’immiserimento dell’Italia. Un progetto fatto da abbassamento del costo del lavoro con il Jobs Act, speculazione sui territori con lo Sblocca Italia, la negazione dei più basilari diritti con il Piano Casa, la privatizzazioni dei beni e dei servizi pubblici a causa del pareggio di bilancio, la trasformazione delle scuole in aziende con la Buona Scuola.

Sappiamo bene che tanti partiti politici, anche xenofobi e razzisti, hanno rivendicato la vittoria del NO, ma non possiamo non notare come nelle città in cui le lotte territoriali hanno prodotto una partecipazione popolare la delegittimazione della riforma abbia raggiunto percentuali di voto importanti: dalla Val Susa alle assemblee dei quartieri di Napoli, dalla Laguna veneziana alle coste trivellati dei nostri mari.
Pochi minuti dopo l’esito del referendum abbiamo visto gli sconfitti riciclarsi ai posti di governo, mostrando arroganza e disprezzo nei confronti delle volontà di chi è andato alle urne.
Renzi prima ha messo in atto l’ultimo show con le sue dimissioni, poi si è trasformato in Gentiloni, personaggi come la Boschi venivano addirittura promossi mentre i ministri delle riforme mantenevano le loro poltrone e difendevano il loro operato, disposti a tutto pur di garantire la continuità clientelare del Partito Democratico.

Sapevamo da subito che il 4 dicembre non sarebbe stato il punto di arrivo, ma l’inizio di una nuova fase di mobilitazione che si opponga, al di là di Renzi, a chi pensa di mantenere lo status quo, ovvero la generalizzazione della miseria per i molti e dell’arricchimento di pochi. Gentiloni non è altro che la continuità delle misure di austerità e impoverimento imposte dall’Unione Europea, e sono queste le politiche che dobbiamo contrastare.
E’ questo governo che rappresenterà l’Italia nei prossimi mesi in chiave internazionale, attraversando passerelle di autocelebrazione delle virtù dell’Unione Europea come quella prevista per il 25 Marzo a Roma. La stessa Europa che mentre smantella i diritti, indirizza le responsabilità della sua gestione fallimentare della crisi contro i più poveri, soprattutto i migranti. Per questo motivo la data dell’anniversario dei Trattati di Roma rappresenta una possibilità di mobilitazione per ridare corpo e voce al NO sociale. Capiamo insieme come.
I tanti temi delle realtà e dei comitati che hanno animato la campagna “C’è chi dice NO” hanno trovato negli scorsi mesi dei momenti di condivisione. La loro mobilitazione allude ad un cambiamento radicale delle condizioni di vita del presente e non si limita ad opporsi alle riforme strutturali dei governi della crisi.

Non ci interessa la competizione elettorale tra partiti, ma le ragioni che hanno portato diciannove milioni di cittadini ad esprimersi contrariamente alla riforma costituzionale.
Sono i contenuti reali delle lotte e delle iniziative sociali a dover essere messi al centro di un dibattito collettivo e aperto con una grande occasione di confronto, che proponiamo per domenica 22 gennaio alle ore 13.30 all’Università della Sapienza a Roma.

MOVIMENTI E TERRITORI DEL NO SOCIALE

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21 gennaio 2017 al CIE di Ponte Galeria!

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CIE e deportazioni

CIE e deportazioni – La libertà è il fuoco della rivolta: perché lottiamo contro Cie, frontiere e accoglienza

 https://hurriya.noblogs.org/post/2017/01/16/cie-e-deportazioni-la-liberta-e-il-fuoco-della-rivolta-perche-lottiamo-contro-cie-frontiere-e-accoglienza/

A seguito delle dichiarazioni del ministro dell’Interno Minniti di voler aprire un CIE in ogni regione, puntando a una capienza complessiva di 1600 posti, i Centri di Identificazione ed Espulsione sono tornati al centro dei riflettori mediatici e della pubblica attenzione.

Le dichiarazioni del governo non ci stupiscono. A seguito degli attentati nel cuore d’Europa, dal Bataclan a Nizza sino al recentissimo attentato di Berlino, la paura di “attacchi terroristici” è divenuta parte del quotidiano. Basti pensare all’agghiacciante vicenda del cinema evacuato a Torino perché madre e figlia sordomute, di origine maghrebina, avevano destato sospetti e scatenato il panico solo perché comunicavano su Whatsapp. I governi d’Europa, artefici e complici dei massacri in medioriente, sfruttano il terrore di ritorno per rafforzare il paradigma dello stato di emergenza permanente e rispolverare le solite armi: contenimento degli stranieri irregolari e potenziamento della macchina delle espulsioni.

Ogni anno in Italia 5000 donne e uomini senza documenti vengono prima rinchiusx e poi condottx su un aereo destinato al rimpatrio nel pesantissimo silenzio generale. Non pago, il governo italiano vuole intensificare gli accordi bilaterali tra l’Italia e i Paesi di origine, per rendere più veloci ed efficienti le deportazioni. Ad oggi l’Italia mantiene tali accordi con Egitto, Tunisia, Nigeria e Marocco, Paesi che applicano leggi contro l’omosessualità, che ammettono la tortura di Stato e la condanna a morte e che perseguitano attivisti contrari al regime e giornalisti. Paesi, tra l’altro, che accettano tali accordi in cambio di afflussi di capitale destinati a ristrutturazioni in chiave neoliberista.

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Need for Speed

Need for Speed

Pubblicato il 15 gennaio 2017 · in Schegge taglienti ·

di Alessandra Daniele

padre e figlioLa corsa verso le prossime elezioni sembra essere una gara da vincere rallentando.
Berlusconi, che era stato fra i principali sponsor di Renzi, adesso punta a bollirlo a fuoco lento. Il suo piatto preferito è sempre stato la zuppa di delfino. Come Saturno, Berlusconi è un padre che divora i suoi figli. Sul menù di quest’anno c’è Renzi, col suo bisogno di correre al voto prima che la carrozza dorata che l’ha portato al potere finisca di tornare la zucca marcia trainata da sorci che in realtà è sempre stata.
Sulla partita delle riforme il Cazzaro s’è giocato tutta la posta. E l’ha persa.
Il suo buttarsi disperatamente a pancia in giù sul tavolo verde nel tentativo di recuperare le fiches perdute è patetico.
Renzi rappresentava il tentativo dell’establishment d’intercettare il voto antisistema con un falso rinnovatore.
L’esperimento è fallito.
Per quanto gli piacerebbe, Renzi non può ripresentarsi in scena, e ricominciare a promettere quelle stesse cazzate che sono state appena smascherate, e respinte a calci in culo.

Se Renzi ha fretta, a Berlusconi serve invece che il governo Gentiloni duri il più possibile, gli cucini una legge elettorale proporzionale che spunti le zanne a Salvini, e soprattutto gli salvi le aziende.
Tira una brutta aria per le aziende degli sponsor di Renzi, come la FCA.
Ironia della sorte che la scalata di Vivendi a Mediaset somigli tanto a una trama di Dinasty.
Sulla stessa barca di Berlusconi ci sono ovviamente tutti i centristi, e la minoranza PD.
Anche la sentenza della Consulta, che con un cavillo depotenzia il referendum contro il Jobs Act, fa il gioco degli attendisti.

Cosa sia meglio per il Movimento 5 Stelle non è così scontato. Alcuni pensano gli convenga allontanare il voto il più possibile dal meltdown della giunta Raggi e dalla porta in faccia ricevuta dall’ALDE, benché in realtà non sembrino eroderne il consenso elettorale più di tanto.
Chi spera che qualche figura di merda possa danneggiare seriamente il M5S non ha ancora capito la lezione del voto USA.
Il raccapricciante Donald Trump, col suo ciuffo placcato oro e la sua corte di nerd neonazisti, è campione mondiale di figure di merda, eppure è stato preferito all’imperatrice bizantina Hillary Clinton da un numero di americani sufficiente a portarlo alla presidenza degli Stati Uniti, accompagnato dalla maggioranza parlamentare più ampia del secolo. Per le fabbriche USA sarà più difficile delocalizzare all’estero? Agli operai che l’hanno votato basta questo.
Anche se Grillo diventasse biondo e raccapricciante quanto Trump, anche se a Bruxelles lasciasse il gruppo Farage e si unisse al Circo Togni, anche se si scoprisse che a Roma fra gli infiltrati nella squadra Raggi c’era pure Filippo De Silva, comunque abbastanza italiani continuerebbero a preferire il M5S a quel PD ormai giustamente considerato il ferale maggiordomo dei peggiori vampiri della finanza nazionale e internazionale.

Nel 2012 la Lega era moribonda. A salvarla dal baratro dell’irrilevanza non è stato solo l’opportunismo di Salvini, che l’ha spostata dall’ormai sputtanato federalismo a più astute posizioni lepeniste, è stato anche il fatto che la semplice esistenza della Lega rispondesse a un bisogno degli elettori italiani creato dal tradimento del centrosinistra dimostratosi il più servile garante del grande Capitale.
A questo stesso bisogno, senza i limiti territoriali e i trascorsi berlusconiani della Lega, risponde il Movimento 5 Stelle. Il suo rifiuto di connotarsi a destra o a sinistra gli serve a rastrellare voti in entrambi i campi, ma anche a differenziarsi il più possibile sia dalle fetide frattaglie berlusconiane, che da quel centrosinistra meschino e corrotto diventato sinonimo di sanguisuga.
Al coro mediatico che incessantemente denuncia qualunquismo, complottismo, pressapochismo e doppiopesismo grillini, la reazione degli elettori è lo sticazzismo.
I grillini sono cialtroni? Sticazzi.
Gli esperti, i professionisti, i progressisti, i democratici ci stanno portando al macello, facendoci pure pagare lo scarrozzo.
Il salvataggio del Monte dei Paschi di Renzi ci costerà 100€ a testa. A tutti noi.
Compresi i malati che in ospedale finiscono sdraiati a terra per mancanza di letti e barelle.
I pensionati che dovranno restituire parte della loro pensione minima perché secondo il governo è stata sopravvalutata, mentre tutte le bollette aumentano.
I licenziati dai call center che hanno scoperto di non essere ancora abbastanza economici, perché altrove c’è sempre qualcuno più disperato di loro da sfruttare.
Di tutte le porcate infami riuscite al governo Renzi il Jobs Act è la peggiore. Per questo tutto l’establishment lo difenderà fino all’ultimo.
Per questo dobbiamo cancellarlo.

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Gallo Rojo/Silvia Pérez Cruz

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15 gennaio 1919/15 gennaio 2017

Risultati immagini per rosa luxemburg

“Si rivela qui non soltanto la generale insufficienza del primo immaturo stadio della rivoluzione, ma anche la difficoltà propria di questa rivoluzione proletaria, la peculiarità di questa situazione storica. In tutte  le rivoluzioni precedenti i contendenti entravano in lizza con la visiera alzata: classe contro classe, programma contro programma, stendardo contro stendardo. Nell’attuale rivoluzione i difensori del vecchio ordinamento non entrano in lizza sotto lo stendardo caratteristico delle classi dominanti, ma sotto lo stendardo di un ‘partito socialdemocratico’. Se la questione fondamentale suonasse apertamente e onestamente: capitalismo o socialismo, oggi non sarebbe possibile nessuna esitazione, nessun dubbio, nella grande massa del proletariato.”

Rosa Luxemburg/Rote Fahne, 21 dicembre 1918

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La Parentesi di Elisabetta dell’11/01/2017 e Podcast

Questa è l’ultima Parentesi in podcast, le prossime saranno solo scritte.

“Ci stanno raccontando”

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Ci stanno raccontando della fine delle classi sociali, ma le barriere tra queste sono fatte sempre della stessa materia…soldi, istruzione, famiglia, situazione professionale…e, invece di ridursi, tendono ad aumentare. L’unico elemento nuovo è l’iper borghesia o borghesia imperialista, comunque la si voglia chiamare, che si è organizzata come nuova aristocrazia e ha ridotto la restante borghesia a funzioni di servizio gettando il resto della popolazione nella precarietà, nella disoccupazione e dando ai lavoratori/trici soltanto la speranza di essere arruolati/e come nuovi servi/e. Tutto è accompagnato dal refrain della fine delle ideologie facendo un’opera di stravolgimento nella misura in cui la borghesia transnazionale, mentre esclude tutte le parole che finiscono in ismo, si presenta e si realizza come unica ideologia.

Questo è il quadro nuovo determinato dal neoliberismo che è sì il frutto dell’autoespansione del capitale ma che si pone con connotati diversi da quelli con cui si è manifestata questa autoespansione in passato e che è ora caratterizzata da una ridefinizione profonda dei rapporti di forza, presentata come crisi, che ha allargato a dismisura la platea dei poveri e le differenze sociali, perciò crisi scelta e voluta così come scelto e voluto è l’abbandono da parte del capitale di ogni politica keynesiana e la rottura del patto sociale.

Democrazia politica e democrazia sociale sono indissociabili. Tutto questo che esisteva in effetti solo a livello di racconto è venuto meno. Lo smantellamento del diritto del lavoro avanza inesorabile e paradossalmente il lavoro diventa un oggetto asociale, senza una regolamentazione collettiva rimossa nel nome di una presunta libertà personale. Oggi nella stagione della diffusione della robotizzazione del processo produttivo crolla la richiesta di forza lavoro. Pensare di recuperare non la piena occupazione ma almeno qualcosa di parziale è assolutamente impossibile ed è evidente che la lotta non può essere fatta contro i robot, con una forma attualizzata di luddismo, ma deve essere di natura immediatamente politica. Tanto più che si è approdati all’economia digitale che recupera l’idea di schiavitù e la ripropone sotto forma velata ma non meno dura e violenta.

Il neoliberismo è un’impostazione ideologica che si traduce anche nella dimensione economica per cui il lavoro è stato rimosso nella sua centralità, nella coscienza, nel pensiero, nell’immaginazione di tutti. Siamo tutti precari/e. E’ questo il destino che attende anche quelli che usufruiscono di una momentanea occupazione. Siamo tutti precari perché l’’impresa non è più un collettivo di lavoro, non è un luogo di lavoro, ma si rivolge a prestatori di servizi che utilizzano il tempo strettamente necessario per il servizio stesso. In questo quadro il rapporto con il lavoro va ridefinito, ferma restando la centralità della lettura marxista secondo cui è il lavoro che produce plusvalore ed è il capitalismo che lo espropria. Come leggere e vivere il lavoro in una società dove il capitale ne può fare sempre di più a meno utilizzando la tecnologia? E il tema del reddito di cittadinanza acquista un’importanza come non ha mai avuto in passato.  Evidentemente la risposta è solo nelle scelte politiche ed intorno a queste si devono organizzare le lotte per ridefinire i rapporti di forza.

E’ questa la ragione dell’aumento a dismisura di una pletora di così dette forze dell’ordine, in tutte le variegate accezioni, che si presenta ed è una compagine di novelli pretoriani a difesa del grumo di interessi dell’iper borghesia.

E’ evidente che il sistema, data una società articolata e complessa come quella attuale, non può reggersi rispetto ad una prevedibile conflittualità su una repressione continua seppure su larga scala come quella che sta mettendo in atto. Ha bisogno di ottenere un consenso il più largo e diffuso possibile. Perciò, questo quadro per tanti versi eccezionale richiede da parte del capitale multinazionale uno sforzo adeguato. Da qui la proliferazione dei Think Tank che, nati durante la guerra del Vietnam, sono stati perfezionati e a cui oggi si sono aggiunte organizzazioni non governative, blog, fondazioni, case editrici, cattedre universitarie con un’attenzione particolare all’utilizzo di un linguaggio di sinistra stravolgendone contenuti e significati, comunque tutti tesi a salvaguardare attraverso “dotte elucubrazioni” lo status quo. Una nota a parte riguarda i nicodemisti, questi non nuovi, che si distinguono per la capacità di non prendere mai posizione, di non affrontare mai le questioni sostanziali e di rifugiarsi nelle disquisizioni sul sesso degli angeli.

E così tutti questi ci stanno raccontando che le città ed i territori sono invasi dalle telecamere per la nostra sicurezza, che i navigatori satellitari sono necessari così non ci perderemo mai e saremo ritrovati in qualsiasi momento qualunque cosa ci accada, che i tornelli sui luoghi di lavoro servono a eliminare i “lavativi”, che la meritocrazia premia i migliori, che l’eliminazione del contante serve a combattere l’evasione fiscale, che comprare on line ci fa risparmiare tempo e fatica, che le pratiche via internet riducono la burocrazia, che non si può vivere e lavorare senza tablet e cellulari perché non saremmo abbastanza efficienti e connessi, che i bambini non devono più imparare a leggere, scrivere e fare di conto ma ad usare le nuove tecnologie, che i militari nelle metropolitane ci tutelano contro il terrorismo…mentre l’obiettivo è controllarci 24 ore su 24, entrare perfino nei nostri pensieri.

E così, in questo contesto, hanno alzato l’asticella. Ci vorrebbero raccontare che è necessario un organismo “indipendente” di tutela e di controllo della rete internet. Nella stagione delle “bufale”, delle false notizie, della manipolazione della verità, gli stessi che le promuovono e le diffondono si vorrebbero arrogare il diritto di decidere quali siano le notizie vere e quelle false in modo che abbiano corso solo quelle da loro prodotte che, senza tanti giri di parole, sono quelle della televisione di Stato e dei principali quotidiani nazionali. Non basta loro controllarci in ogni momento della vita nei modi più svariati, devono anche impartirci in esclusiva le direttive per i nostri percorsi mentali. Il pensiero in autonomia e la riflessione personale e politica non sono più tollerate.

Tutto quello che sta succedendo non è farina del nostro sacco, ma, ancora una volta, viene dagli USA. Tutto ciò è tanto più grave perché settori degli Stati Uniti che contano e che fino ad ora hanno dettato la linea politica ai presidenti di quel paese, compreso quello uscente, Barack Obama, spingono senza remore verso la terza guerra mondiale.

Di questo dovremmo preoccuparci veramente ed è una sfida non teorica ma concreta perché le conseguenze sarebbero devastanti.

Per questo alcuni, con riferimento ai tentativi di censurare le notizie da parte di chi ha il monopolio delle notizie false, sono ricorsi a esempi quali il Maccartismo, il Grande Fratello, il Ministero della Verità, tutti paragoni validi ma che non danno l’esatta misura della dimensione di questa proposta che è coerente e in sintonia con le caratteristiche precipue della società americana e neoliberista che è la realizzazione del programma nazista.

I paesi che più rischiano da una possibile guerra mondiale sono sei, caratterizzati da una particolare posizione geografica e dalla presenza ingombrante e soffocante della Nato, maniera elegante per dire gli Stati Uniti. Stiamo parlando dei tre paesi baltici, della Polonia, dell’Italia e del Giappone. Abbiamo due impegni pressanti, uscire dalla Nato e mandare a casa il PD.

Pubblicato in La Parentesi di Elisabetta, La Parentesi di Elisabetta, Lavoro, Podcast, Repressione | Contrassegnato , , , , , | Commenti disabilitati su La Parentesi di Elisabetta dell’11/01/2017 e Podcast