Il nostro silenzio, le loro menzogne

Roma – Sul presidio al CPR di Ponte Galeria di sabato 13 maggio  Posted on by hurriya

Il nostro silenzio, le loro menzogne

Sabato 13 maggio, in poco più di dieci siamo tornatx sotto le mura del CPR di Ponte Galeria per portare solidarietà alle recluse ed esprimere ancora una volta il nostro odio per quel lager e chi lo gestisce e ne legittima la presenza. Ad aspettarci una folta schiera di soliti noti stalker, in divisa e non, che evidentemente smaniavano dalla voglia di trovare la prossima preda da dare in pasto allo stato.
La comunicazione con le donne detenute è stata purtroppo unidirezionale, nonostante le nostre speranze di trovarle fuori in cortile dopo l’ora di pranzo. Supponiamo quindi che, come al solito, per spezzare il già fragile legame di solidarietà che cerchiamo di stabilire durante i presidi, i gestori del lager abbiano nuovamente costretto le recluse a rimanere dentro le celle impedendo loro di rispondere ai nostri saluti e cori.
Abbiamo provato per due ore a raccontare alle detenute chi siamo e cosa succede fuori da quelle mura, delle lotte portate avanti dai/dalle migranti, dello stato fascista che uccide.
Sappiamo poco di quello che sta accadendo all’interno del CPR in questo momento, poiché le ultime donne recluse con cui eravamo in contatto, Olga e R.  (che intanto ha passato le scorse settimane a Rebibbia), hanno finalmente riconquistato la libertà e siamo felici di poterle riabbracciare entrambe fuori da quell’inferno che è Ponte Galeria.

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NO TAV! 22 maggio a Torino

C’ERAVAMO, CI SIAMO E CI SAREMO….ANCHE AL VOSTRO SHOW /22 MAGGIO 2017 h.9 – Unione Industriale – Via Vela 17, Torino

TELT ha intenzione di organizzare un ciclo d’incontri informativi per presentare le FANTASTICHE opportunità che avranno le imprese con “le possibilità che si aprono con l’apertura dei cantieri del Tunnel di base del Moncenisio.” (citazione loro)

Lo chiamano roadshow perchè sarà un pò come uno spettacolo, dove c’è molta finzione, ci sono bravi attori che recitano e qualche comico che fa ridere.

A Torino Lunedì 22 Maggio, insieme a Confindustria Piemonte, Transpadana e Unione Industriale organizzano la prima tappa dello show “dedicato alle imprese sui prossimi lavori della nuova linea ferroviaria Torino-Lione” dal titolo: “Telt at Work”. 

POSSIAMO MANCARE? Certo che NO!

C’ERAVAMO, CI SIAMO E CI SAREMO….ANCHE AL VOSTRO SHOW

22 MAGGIO 2017 h.9 – Unione Industriale – Via Vela 17, Torino

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NAKBA/Diaspora di un popolo e diritto al ritorno

Questa sera al Centro di documentazione palestinese incontro con la regista Monica Maurer

“Tu che chiedi della nostra primavera, di quella che fu e di quella che sarà: la primavera tornerà all’aranceto, è questo il dono delle stagioni”

Centro Documentazione Palestinese
Via dei Savorgnan 40 – Roma

Tel: 06-89524504
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La solidarietà è un delitto

A Torino il PM Rinaudo ha disposto perquisizioni contro compagne e compagni anarchiche/ci come leggiamo nel comunicato della Fai

“Nella notte tra venerdì e sabato la Digos ha perquisito le abitazioni di quattro compagni e compagne della Federazione Anarchica Torinese. Sono stati sequestrati cellulari, computer, abiti.
Le perquisizioni sono state disposte dal PM Rinaudo, che sta indagando per diffamazione e imbrattamento. Nel mirino di Rinaudo le scritte comparse a fine marzo in solidarietà a “Laura”, una donna stuprata due volte, la prima da un collega di lavoro, Massimo Raccuia, la seconda dal tribunale che lo ha assolto. Un collegio di sole donne, presieduto dalla giudice Diamante Minucci, ha stabilito che Laura non è credibile. Non è credibile perché ha detto solo “no”, “no, basta”, per fermare l’uomo che la stuprava. Per il tribunale di Torino dire “Basta” non è sufficiente. La donna stuprata deve avere sul corpo i segni della violenza, deve urlare, deve essere disposta a morire per essere creduta[…]

La solidarietà è un delitto!

Qui potete leggere il nostro testo su quella sentenza A proposito di Torino

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La Parentesi di Elisabetta del 10/5/2017

“L’inganno e le bugie”

 L’esperienza neoliberista oggi può dirsi compiuta. Sono alcuni decenni almeno che si sta realizzando ed attuando e dal colpo di Stato in Cile in cui è stata sperimentata sono passati più di quarant’anni. Ha rivelato di essere il risultato di un voluto e devastante inganno imperniato su delle bugie grossolane che parlavano di crescita economica della società e di esaltazione delle capacità dell’individuo che si sarebbero realizzate con il riconoscimento del primato del mercato, inganno a cui ha chiesto di sacrificare tutto, da un minimo di giustizia sociale alla tutela dell’ambiente, ai contratti nazionali, ad una equa retribuzione, alla sanità e all’istruzione pubblica e gratuita….

Ma, malgrado tutto ciò, l’ideologia neoliberista sulle virtù del libero scambio continua ad imporsi grazie ad un apparato economico e politico che viene presentato come un dogma.

Il centro della nuova religione sono gli Usa e il Regno Unito che impongono alle istituzioni multilaterali il bello e il cattivo tempo, che manipolano i dati e le informazioni scomode in particolare riguardo all’occupazione e al potere d’acquisto delle popolazioni. E fanno questo non solo e non soltanto nei riguardi dei paesi che una volta si chiamavano in via di sviluppo, ma anche dei paesi occidentali utilizzando il grimaldello dei partiti così detti di sinistra.

Il neoliberismo ha ottenuto il pieno controllo dell’agenda politica e intellettuale accusando chi lo critica di essere populista, di avere uno sguardo limitato al solo breve periodo e di dimenticare che il riconoscimento della necessità delle disuguaglianze, nel lungo termine, porterà a tutti grande ricchezza. E’ la variante del racconto sulle tragedie provocate ai popoli dell’Afghanistan, della Jugoslavia, della Libia e via dicendo secondo cui queste devastazioni sono mali passeggeri e comunque dei passaggi necessari che prefigurano per loro un radioso avvenire.

L’ultima chicca di queste teorizzazioni presunte obiettive è la scoperta che la libertà di scambio tra paesi con livello di produttività molto diverso può favorirne alcuni a scapito di altri, ma, guarda caso, viene ricordata solo e soltanto per il disavanzo commerciale degli Stati Uniti nei confronti della Cina e viene omesso che questo avviene di solito e quasi sempre a vantaggio degli Usa.

Gli Stati Uniti attraverso i loro ascari/esperti economici, che si autodefiniscono tutti rigorosamente di sinistra e sono ospitati sistematicamente nei giornali e nei blog sempre di sinistra, gridano allo scandalo e ritengono immorale e da affrontare con misure energiche il disavanzo statunitense nei confronti della Cina e invocano forme di protezione doganale. Si dimenticano che, appena nel 2015, gli Usa hanno proposto di sopprimere tutte le forme di protezione per le industrie nei paesi in via di sviluppo nell’ambito del WTO ed oggi vogliono far passare questo anche nell’ambito dei paesi ad economia così detta avanzata promuovendo a tutto campo gli accordi di libero scambio spaziando dai settori tradizionali alla proprietà intellettuale, dall’ambito pubblico fino agli investimenti e al cibo. Non solo ma gli Usa esercitano direttamente pressioni unilaterali sia nei confronti dei paesi occidentali che nei paesi in via di sviluppo a favore della liberalizzazione degli scambi.

La teoria del libero scambio è nata in Gran Bretagna, ma questa è stata assunta solo quando l’Inghilterra aveva acquisito una posizione di forza grazie alle barriere tariffarie mantenute per un lungo periodo. La teoria del libero scambio non era altro che un atto di imperialismo destinato a bloccare i progressi dell’industrializzazione del resto dell’Europa e che coincideva con il vantaggio tecnologico della Gran Bretagna che, prima, aveva utilizzato per tanti anni protezioni doganali per le merci straniere e riduzioni tariffarie per le esportazioni nazionali.

Se la Gran Bretagna fu il primo paese ad avviare con successo la promozione delle proprie industrie passando dal protezionismo al libero scambio, la seguirono, buoni secondi, gli Stati Uniti dove i dazi doganali sulle importazioni sono stati tra i più alti del mondo tra il 1830 e la fine della seconda guerra mondiale.

La consapevolezza che il libero scambio corrispondeva agli interessi britannici è stato il motivo vero della guerra civile negli Stati Uniti, non una scelta dettata da motivi etici o morali ma una strategia tesa a tutelare gli interessi nazionali.

Lincoln disse “Se potessi salvare l’Unione senza liberare alcuno schiavo lo farei e se potessi salvarla liberandoli tutti lo farei e se potessi farlo liberandone alcuni e lasciando gli altri là dove sono lo farei ugualmente”. Niente nobili motivazioni. Continua a leggere

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Presidio a Ponte Galeria/Variazione di orario

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Questa mattina a Ponte Garibaldi/ 12 maggio 2017

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12 maggio 1977/12 maggio 2017 Per Giorgiana e per noi!

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Terra è Libertà

Critical Wine No Tav 12-13-14 maggio 2017

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Una città da paura!

http://informa-azione.info/mostra_sul_decreto_minniti_e_la_sicurezza_urbana

Una Città da Paura: mostra sul decreto Minniti e la sicurezza urbana

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Ulrike Meinhof/Bambule

In ricordo di Ulrike, 9 maggio 1976/9 maggio 2017

“Bambule” Storie di adolescenti in una casa di correzione femminile tra solitudine e rivolta, 1970

[…] L’educazione sorvegliata riguarda solo i giovani appartenenti alla classe operaia. Le famiglie borghesi hanno raramente a che fare con l’Ufficio assistenza minorenni e con l’intervento sociale nell’ambito familiare. Salari troppo bassi, troppi figli, un appartamento troppo piccolo costituiscono una vera e propria catastrofe per una famiglia operaia […] Per la famiglia operaia l’educazione ha due funzioni: alleviare la famiglia e domare i giovani, senza cambiare in nulla le cause profonde della loro deviazione. Secondo l’Ufficio  assistenza minorenni è esclusa la possibilità che un posto di apprendista non sia adeguato: ciò che realmente conta è che il giovane lo ha lasciato. L’Ufficio assistenza minorenni non prende neppure in considerazione il fatto che un bambino viva in condizioni deplorevoli, ammucchiato con fratelli e sorelle in un appartamento piccolissimo, dove non si possono fare i compiti: ciò che conta è che egli ha marinato la scuola. Poco importa se non ha neppure un soldo, viene considerato solo il fatto che ha rubato. Non è rilevante che una ragazza non abbia nulla da indossare, pur essendo intensamente sollecitata dalla pubblicità, ciò che conta è che batte il marciapiede.

Per i giovani che non vogliono rassegnarsi alla loro condizione di emarginati l’educazione sorvegliata costituisce una minaccia e per coloro che volessero uscirne individualmente, una punizione.

L’educazione sorvegliata non allevia la miseria dei giovani proletari: li costringe a rassegnarvisi. Quando i genitori falliscono in questo compito, che spetta loro in prima istanza, lo stato li sostituisce e, esercitando in prima persona la repressione necessaria, ordina l’educazione sorvegliata.

L’educazione sorvegliata fa rigare diritto: essa è dunque una punizione che serve da ricatto “O rientri nei ranghi o vai in Istituto!” “Se le assenze ingiustificate di vostra figlia si ripetono, saremo costretti a chiedere il suo ritiro in  un istituto”. Nelle famiglie borghesi la minaccia rimane senza conseguenze. Nelle famiglie operaie essa è assolutamente reale e non può essere presa alla leggera.[…] L’educazione sorvegliata è lo sbirro del sistema, è il manganello che inculca nella testa dei giovani che non devono desiderare altro che lavorare tutta la vita alla catena, essere sfruttati, ricevere ordini e tacere.

L’educazione sorvegliata è l’educazione dello stato: i genitori non possono più dire una parola, lo stato fa ciò che gli sembra opportuno. In questo senso l’educazione sorvegliata è esemplare. quando si vede in che condizioni sono ridotti i giovani dell’Assistenza pubblica, ci si può fare un’idea circa la concezione che lo stato ha in materia di educazione. Le vessazioni negli istituti sono un addestramento alla normalità: si può pensare che alla lunga il comportamento ottenuto sarà interiorizzato e diventerà un’abitudine. La reclusione, il divieto di uscire, di avere denaro, sigarette sono tra le vessazioni più normali.[…]

Ulrike Meinhof-“Bambule” 1970/Edizione italiana Savelli Editori “Ammutinamento”Milano 1980

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Nessuna pace per chi vive di guerra!

E’ scattata l’Operazione “Mare Aperto”

https://youtu.be/0iE82CImYfY

https://nobordersard.wordpress.com/   

“Il porto di Cagliari è militarizzato: sono iniziati in sordina i preparativi per la gigantesca esercitazione Mare Aperto 2017 che sta per andare in scena nelle acque della Sardegna. Al largo del poligono di Teulada – dove i militari si alleneranno negli sbarchi – ma non solo. Questo almeno emerge dalla lettura delle ordinanze d’interdizione della navigazione diramate della Guardia costiera cagliaritana e di quella di Sant’Antioco: transito vietato anche davanti alle coste di Santa Margherita, di Terra Mala e di Costa Rei. Il gioco di guerra è grande, anche stavolta”“http://www.youtg.net/v3/index.php/primo-piano/432-grandi-giochi-di-guerrdgdgda-in-mare-porto-di-cagliari-militarizzato-divieti-da-teulada-a-costa-rei-ecco-tutte-le-mappe

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Sabato 13 maggio/Presidio al CPR di Ponte Galeria

Roma – Sabato 13 maggio presidio al CPR di Ponte Galeria

Il 12 maggio 1977 Giorgiana Masi muore assassinata per mano dello Stato. Quarant’anni dopo lo stesso Stato continua ad agire la sua violenza e militarizzare i territori strumentalizzando anche la violenza sulle donne, sulle quali poi riversa invece tutta la sua brutalità; con i rastrellamenti continui per le strade, chi non ha i documenti ogni giorno viene rinchiusa nel CPR (ex CIE) di Ponte Galeria dove, privata della libertà, è costante oggetto di soprusi e minacce. Da Ponte Galeria partono numerosi voli di deportazione verso i Paesi d’origine, che riconsegnano queste donne alla violenza da cui erano scappate.
A Ponte Galeria, l’unico CPR in Italia con una sezione femminile, alcune donne, persino minori, sono recluse anche per aver avuto il coraggio di denunciare il compagno violento o un patrigno che le opprimeva. Per lo Stato la loro condizione di irregolarità o l’impossibilità di dimostrare la minore età ha più valore della loro richiesta di aiuto e necessitá di autodeterminarsi. La sinistra democratica al Governo emana norme di segregazione e discriminazione razziale e concede spazi sempre più ampi alle dimostrazioni di forza dell’estrema destra xenofoba.
A questo Stato democraticamente fascista, razzista e machista e a tutti i lager di Stato noi continuiamo a opporci ogni giorno. Siamo e saremo sempre al fianco delle detenute sostenendo la loro lotta per riconquistare la libertà.
Contro ogni confine, galera e oppressione.

nemiche e nemici delle frontiere

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Una ragazza minorenne reclusa nel CPR di Ponte Galeria

Roma – Una ragazza minorenne reclusa nel CPR di Ponte Galeria

Aggiornamento: Apprendiamo da Olga, da qualche settimana finalmente fuori da quelle maledette mura, che R. è stata trasferita nel carcere di Rebibbia. Al momento non sappiamo i motivi del trasferimento, potremmo fare numerosi supposizioni ma, in attesa di ulteriori novità, quel che è certo è ancora una volta lo Stato infame che non tutela nessunx e non fa che spostare da un carcere all’altro, da un inferno all’altro, chi prova a ribellarsi alla violenza e lottare per la propria libertà.


R. è una ragazza di 17 anni assolutamente consapevole della violenza che lo stato sta agendo su di lei: per questo ha deciso di ribellarsi e raccontare la sua storia.

Ha 10 anni quando scappa con la madre dall’Ucraina e arriva in Italia. Qui frequenta le scuole nonostante i trasferimenti in varie città. A Brescia la madre trova un compagno che negli anni si dimostra autoritario e violento, tanto nei confronti della madre, alla quale impedisce anche di uscire di casa, quanto nei confronti di R. a cui viene anche impedito di vedere la madre.

R. è ancora minorenne, ma decide comunque che questa situazione non è più sopportabile: cerca allora di convincere la madre ad allontanarsi dal compagno e, quando questa si rifiuta, scappa di casa, riprendendosi libertà e indipendenza.

In questo periodo, dopo una rissa in cui lei non era direttamente coinvolta, viene convocata insieme a un’amica in questura per testimoniare ed entrambe vengono recluse in carcere per qualche giorno. L’amica di R. ha il passaporto ed è maggiorenne, ma non ha il permesso di soggiorno e dopo breve viene rimpatriata verso l’Ucraina. R. non ha i documenti con sé, e dopo 4 giorni viene rilasciata con un foglio di via.

Dopo qualche tempo si ritrova nuovamente tra le mani degli sbirri in questura. Lì viene tenuta in cella per due giorni senza che le venga nemmeno comunicato il motivo. Non le vengono dati né cibo né acqua; R. non ha con sé nulla, non un cellulare, non un assorbente, non un cambio, ha solo il certificato di nascita che però senza foto non basta come documento di riconoscimento. Iniziano gli interrogatori durante i quali, ammanettata alla sedia, subisce violenze da parte degli agenti, tanto che alcuni di loro intervengono per evitare che la cosa degeneri. R. non ci sta e nella cella si ribella a gran voce. Viene denunciata per danneggiamento aggravato perché accusata della rottura di una telecamera. Quindi è trasferita al CIE di Ponte Galeria. Solo una volta lì capisce dove è stata portata e cosa comporta e che, in quanto minorenne, in quel posto non ci potrebbe proprio stare. Cerca di contattare la madre in tutti i modi per farsi mandare il passaporto ma, ancora una volta, l’uomo non permette alle due donne di avere contatti e si rifiuta di aiutarla: “sei andata via, mo stai lì, magari quel posto ti raddrizza” le dice al telefono.

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L’esperienza dello “SFASCIATOIO”

L’esperienza dello “SFASCIATOIO”

https://sfasciatoio.noblogs.org/   https://www.facebook.com/Sfasciatoio/

Sfasciatoio è un progetto per organizzare la cura de* bambin* in modo condiviso, non-direttivo, oltre la famiglia tradizionale, i ruoli di genere e le logiche di mercato.

Il parto è un atto politico

13254037_265328790484441_2357533590907854763_nLo Sfasciatoio ha partecipato in collegamento alla trasmissione “Il parto è un atto politico: riflessioni femministe sul lavoro riproduttivo“della Coordinamenta Femminista e Lesbica e ha portato una riflessione su assistenza al parto e autodeterminazione della donna. Di seguito riportiamo uno stralcio dell’intervista.

“Parlare del parto come atto politico significa parlarne come di un atto che ha a che fare con il potere. In questo senso, implica, prima di tutto, interrogarsi sulla libertà della donna di scegliere se, come e dove partorire e sugli strumenti di cui dotarsi per autodeterminarsi in questo campo. Riflettendo in particolare sull’assistenza al parto, pensiamo che la possibilità della donna di autodeterminarsi in tutto il processo nascita sia legata al modo in cui l’assistenza al parto pensa e riconosce la competenza della donna stessa a partorire e a scegliere le modalità in cui preferisce farlo.

Il riconoscimento della competenza della donna a partorire non è da dare per scontato. Un esempio di situazione in cui questo riconoscimento viene meno è il famoso incitamento “signora, spinga, spinga”, come se una donna non fosse in grado di riconoscere autonomamente le contrazioni e assecondarle. Questo tipo di approccio – purtroppo diffuso in molti ospedali – pregiudica la possibilità di vivere il parto come un’opportunità di rafforzamento: infatti, ascoltare i messaggi del proprio corpo per gestire efficacemente situazioni impegnative come quella del parto può rafforzare la fiducia che nutriamo in noi stesse.

Invece, per fare del parto un’esperienza arricchente, può essere utile mettere in discussione quelle pratiche mediche consuetudinarie che sono più favorevoli ai medici piuttosto che alla donna e al processo nascita: per esempio, la posizione litotomica – quella sdraiata a pancia in su – è un classico caso di pratica pensata per facilitare la vita al medico perché permette di osservare con comodità vagina e collo dell’utero, ma rende più complesso tutto il processo del parto alla donna e al bambin*. Dunque per autodeterminarsi nel parto, al di là delle specifiche scelte di ognuna, crediamo sia importante sviluppare consapevolezza rispetto a tutta una serie di violenze ostetriche, in cui è possibile incorrere, per attrezzarsi e capire come evitarle. Parlando di violenze ostetriche pensaimo non solo alla posizione litotomica, ma anche a manovre mediche invasive e non necessarie come spesso è l’episiotomia, a interferenze di vario tipo che non rispettano l’intimità della donna e rallentano il processo del parto, alla mancata assistenza – qualora richiesta – nel parto e nell’avvio dell’allattamento, all’allontanamento forzato dal bambino dopo la nascita, e cosi via.

Infine, vogliamo sottolineare che la libertà di scegliere come partorire ha molto a che fare anche con l’accesso di classe all’assistenza al parto: per esempio, in molte regioni il sistema sanitario nazionale non copre le spese di un parto in casa e questo comporta che non tutte le donne possano accedere a questa opzione”.

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