La violenza dell’Impero del Bene

Car* tutt*, a giorni uscirà per le Edizioni Bordeaux il nostro ultimo libro. Vi anticipiamo un testo sulla situazione internazionale, contenuto nella pubblicazione, scritto nel dicembre 2017  che  ci sembra quanto mai attuale.

FEMMINISMO: PARADIGMA DELLA VIOLENZA/ NON VIOLENZA

ATTI del Ciclo di incontri 2017/2021

[…] Oggi, / il mio corpo tornato normale, / siedo e imparo / il mio corpo di donna / come il tuo /bersagliato per strada, / rubatomi a dodici anni / come il petrolio venezuelano / con la stessa spiegazione. / Sei ignorante / ti insegno io / poi ridatomi indietro goccia a goccia… / Guardo una donna osare / oso guardare una donna / osiamo alzare la voce / rompere le bottiglie / imparare[…]
Jean Tepperman

La violenza dell’Impero del Bene

Siamo immerse in scenari di guerra. Dovunque volgiamo il nostro sguardo la guerra e la militarizzazione sono diventate paesaggio urbano e dimensione internazionale. Ma tutto questo non è dovuto al Fato, ad una particolare congiuntura, a personaggi particolarmente malvagi… bensì non è altro che lo stadio di maturazione del Capitale. Il neoliberismo è la dimensione politico-ideologica a cui è giunto il capitalismo nella sua necessità di espandersi e di distruggere ogni altra configurazione economica, marginale nei paesi occidentali, di sussistenza nei paesi del terzo mondo che ostacoli il suo processo di crescita. La così detta crisi non è altro che lo strumento per la ridefinizione dei rapporti di forza tra Stati e multinazionali e con le oppresse e gli oppressi tutte/i.

E, in questo procedere, la guerra è strumento di potere e assoggettamento e, allo stesso tempo, momento di crescita economica e di sfruttamento. Non a caso è tornato prepotentemente sullo scenario internazionale il colonialismo, mascherato non più sotto la veste di una superiore civiltà da portare ai popoli del terzo mondo, bensì sotto quella della “democrazia”, della tutela dei diritti umani, di quelli delle donne e delle diversità. In questo processo di ridefinizione degli assetti su fronti interni e fronti esterni, gli Stati Uniti si pongono come Stato del capitale, rivendicando a sé il ruolo guida e mettendolo sistematicamente in atto con la Nato diventata esercito di aggressione e polizia internazionale. Gli Usa, con l’alleata Inghilterra e con gli Stati vassalli, stanno procedendo ad una sistematica destabilizzazione di tutte le aree, i governi, gli stati, che sono asimmetrici rispetto ai loro interessi…dalla Jugoslavia passando per l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria, l’Ucraina… La Francia e la Germania si barcamenano, strette tra la necessità di piegarsi agli interessi statunitensi e quella di tutelare i loro interessi economici. L’Italia è asservita agli Usa, i governi riformisti e a guida PD sono semplicemente dei funzionari statunitensi. In questo quadro il femminismo si trova di fronte alla necessità imprescindibile di fare chiarezza politica, di collocarsi e di scegliere da che parte stare. Le posizioni neutrali non esistono, non esistono più orticelli privati da coltivare o giardini protetti. Si devono necessariamente smascherare i meccanismi che vengono posti in atto per perpetuare la nostra oppressione sotto le mentite spoglie di un’attenzione pelosa e attraverso la promozione sociale di donne che si prestano all’asservimento di tutte le altre donne e degli oppressi tutti/e. Il loro compito è di fornire un paravento dietro il quale la società patriarcale e neoliberista può nascondere i propri obiettivi reali quali l’inasprimento della disoccupazione, la precarizzazione della vita, le crescenti diseguaglianze, le guerre umanitarie, il ruolo di cura da cui dicono di essere affrancate e in cui viene prepotentemente confermata la stragrande maggioranza delle altre donne. Poiché questi obiettivi sono inconfessabili, si veicolano come emancipazione, come transizione, che dovrebbe condurre alla nostra liberazione così come nella società il neoliberismo viene presentato come “moderno” e dovrebbe condurre, secondo loro, alla crescita, alla giustizia sociale e, nei paesi del terzo mondo, alla democrazia. L’uso strumentale della nostra oppressione, qui da noi, e nei riguardi del terzo mondo ci chiama direttamente in causa senza possibilità di appello. Gli Usa nel loro processo di destabilizzazione dei paesi asimmetrici ai loro interessi hanno foraggiato, armato, addestrato, portato al potere… Talebani… integralisti islamici di ogni tipo…Isis… e, allo stesso tempo, usano lo spauracchio del terrorismo, marchio itinerante da affibbiare ad ogni piè sospinto, per avere mano libera negli interventi destabilizzanti, nella loro intromissione in qualsiasi Stato e a qualsiasi titolo ritengano opportuno. Per fare questo hanno distrutto con i mercenari del Qatar, degli Emirati Arabi, del Bahrain, Stati laici dandoli in pasti all’integralismo e ora si pongono come paladini della difesa dell’occidente contro il terrorismo. La strumentalizzazione dei diritti umani, l’uso del pinkwashing per attaccare e aggredire i paesi asimmetrici non lascia spazio a nessuna posizione neutrale. Non prendere posizione, non compiere una scelta, significa in realtà accettare la logica del più forte, la logica dell’arroganza, della prevaricazione e dell’aggressione. E noi donne sappiamo fin troppo bene come funziona questo meccanismo. Sappiamo bene cosa significa confondere aggredita ed aggressore quando veniamo messe sullo stesso piano di chi ci avvilisce, ci umilia e ci opprime perché, ci dicono, anche lei avrà avuto le sue colpe, perché, tutto sommato, se l’è cercata… La nostra pratica femminista ci ha insegnato a partire da noi e noi abbiamo fin troppo chiaro che la strumentalizzazione che viene fatta della nostra oppressione, qui, per introdurre leggi securitarie, per tenerci vincolate in una dipendenza protettiva/coercitiva è la stessa che femminismo: paradigma della violenza / non violenza ruoli viene applicata ai popoli del terzo mondo con la strumentalizzazione dei “diritti umani violati” con la santificazione delle nostre così dette “democrazie” per poter attuare la politica neocoloniale che è parte strutturante dell’ideologia neoliberista. Crediamo, inoltre, che la presunzione di essere super partes, ma sarebbe meglio dire l’indifferenza, sia una diretta conseguenza del sentimento di estraneità alle vicende, il che è a sua volta conseguenza di una grossa miopia politica: non vi sono eventi estranei, ciò che accade all’esterno dei confini nazionali è legato a doppio filo a ciò che si svolge dentro i confini. Stiamo al paradosso per cui i capitali monopolistici fanno dell’internazionalismo una realtà considerando ormai le barriere nazionali le uniche da abbattere, mentre noi non siamo capaci di sentirci legate/i al destino dei popoli oppressi. La logica dell’equidistanza appartiene al privilegio e riduce i/le compagn* del Nord del mondo a semplici croniste/i…come diciamo sempre la Storia non è neutra ma è di parte e noi tutt* non abbiamo forse il dovere di narrare il nostro tempo, non come imperativo morale, ma come quella riappropriazione della vita che è fondante per noi nel percorso di femministe e di compagne? per come stiamo messe/i prendere parola non solo è necessario, ma è anche sufficiente come punto di ripartenza. Il neoliberismo ribadisce prepotentemente la centralità dell’occidente nei confronti dei paesi del terzo mondo perché oltre a cannibalizzare e distruggere le economie di sussistenza e provocare l’inurbamento selvaggio in quei territori e la nascita di immense bidonvilles, spinge le popolazioni alla migrazione verso i paesi occidentali in cerca di una qualsivoglia altra possibilità di vita, vero e proprio miraggio creato ad arte. Ma così facendo il neoliberismo ottiene un altro ottimo risultato qui da noi: spinge alla guerra fra poveri, ricatta lavoratori e lavoratrici con una massa di manovalanza disperata costretta a lavorare in condizioni di semischiavitù. Il buonismo peloso del politicamente corretto, poi, ribadisce fortemente il razzismo perché pone l’occidente come portatore di democrazia, sensibilità e altruismo nei confronti delle popolazioni del terzo mondo e veicola inoltre una sorta di razzismo interno contro i poveri di casa nostra, contro quelli che non ce la fanno, che sono incapaci di mettersi in gioco in questa società e che perciò vengono relegati in una sfera delinquenziale. Ribadisce la bianchezza abbagliante e la ribadisce anche sul fronte interno. E così ci sono associazioni della così detta sinistra che nelle scuole portano i banchetti per raccogliere soldi per i poveri bambini del terzo mondo, per fare scuole, ospedali e pozzi (bè, cent’anni fa facevamo le strade, ora siamo migliori) e insegnano così agli studenti ad essere razzisti proprio perché noi siamo democratici/che, superiori e altruisti/e. L’ipocrisia è il miglior insegnamento, dicevano i gesuiti. E qualcuna/o adotterà qualche orfanello/a la cui famiglia è stata distrutta nei conflitti. Si sa, noi bianche/i siamo buonissimi, generosi e politicamente corretti. Naturalmente, come prima cosa, lo/a porteranno dallo psicologo per fargli superare il trauma della guerra! E il papa predica contro la fame e la violenza nel mondo e i cattolici contenti possono raccogliere vestiti e giocattoli usati. E nei supermercati, alla cassa, ti invitano a lasciare un centesimo per gli aiuti all’ Africa e, nei centri commerciali, gli sfruttati/e del nostro mondo, in cerca di un’impossibile gratificazione con l’acquisto di un capo scontato, si sentono dire nel banchetto di turno, da questa o quella associazione, che possono contribuire a salvare, vaccinare, scolarizzare bambini di paesi poveri e sottosviluppati e si sentono così buoni/e, ricchi/e, bianchi/e e occidentali. E i docenti fanno tavole rotonde e i comuni e le province mostre di solidarietà, e le donne “impegnate” dibattiti sui diritti negati, nei paesi non allineati all’occidente, alle donne, alle lesbiche, ai gay.
È la violenza dell’Impero del Bene
L’ordine patriarcale e la guerra del capitale camminano di pari passo. Non esiste lotta femminista muta, è inutile ingannarla e manipolarla, non rimarremo in silenzio non ci faremo imbavagliare, ricattare, usare. La lotta batte ancora, viva, nelle vene del tempo presente.

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