La coordinamenta verso l’8 marzo
PREMESSA/1
Un anno fa, all’inizio dell’emergenza-pandemia, avevamo scritto un contributo per <Continuare a pensare/Continuare a lottare…> . Dopo questo tempo trascorso sarebbe importante e utile rileggerlo come premessa necessaria proprio per continuare a lottare anche perché quello che è stato messo in campo da parte del sistema di potere in questi mesi non ha avuto risposta adeguata, a parte eccezioni che si contano sulle dita di una mano, da parte del movimento antagonista nel suo complesso e tanto meno da parte del movimento femminista, anzi l’atteggiamento dominante è stato l’adeguarsi alle imposizioni e disposizioni governative stigmatizzando addirittura chi la pensava diversamente. Con tutto questo è indispensabile fare i conti perché sicuramente l’emergenza creata intorno alla così detta pandemia un risultato l’ha prodotto anche se drammatico sia per quanto riguarda la chiarezza di quello che il potere si propone sia per quanto riguarda il posizionamento antagonista: il re è nudo.
“Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”.*
[…] È in atto una pandemia da Coronavirus. Non riteniamo utile entrare nei dettagli di tipo scientifico e tecnico. Non servirebbe perché scienza e ricerca non sono affatto neutrali. Ci interessa piuttosto indagare a capire le cause e gli effetti, attuali e futuri, di quello che sta succedendo.
Punto in comune tra le molteplici teorie: la pandemia è prodotto del modo di produzione capitalistico (v. https://jacobinitalia.it/la-pandemia-del-tardo-capitalismo/ + altri riferimenti in bibliografia).
L’emergenza sanitaria, d’altra parte, è il risultato delle politiche neoliberiste, ossia della deregulation, delle privatizzazioni e dello smantellamento dello stato sociale.
Tutti lo dicono, ma ben attenti a occultare il fatto che tutte/i quelle/i che negli ultimi decenni hanno opposto le loro idee, le loro azioni e il loro corpo (sì, perché per fare politica c’è bisogno di metterci anche il corpo) a queste politiche sono state/i criminalizzate/i, represse/i, marginalizzate/i. Nel periodo “prepandemico” erano loro, eravamo noi, gli irresponsabili: quelle/i che resistevano agli appelli al senso del sacrificio imposto dalle politiche dell’austerità.
Le crepe nella normalità.
Già in numerose occasioni ci siamo confrontate su quello che significa oggi l’azione politica e sui numerosi ostacoli che si frappongono, in una società neoliberista, alla costruzione di un discorso e di percorsi realmente antagonisti.
Abbiamo ad esempio più volte discusso le trasformazioni che attraversano il campo giuridico. Il doppio binario, repressivo e premiale (https://coordinamenta.noblogs.org/post/2018/05/27/podcast-delliniziativa-la-norma-e-la-legalita-del-25-maggio-2018/), che caratterizza il nostro presente, nel senso di attribuire sempre più spazio – accanto a misure prettamente coercitive e sanzionatorie (siano penali o, sempre più, amministrative) riservate a chi sciopera, a chi manifesta, alle donne che si difendono da sole dalla violenza, a chi, in generale, si oppone al sistema o a singoli suoi aspetti – a strumenti “incentivanti”, atti comunicativi e retorici (di cui i decreti emergenziali di questa fase rappresentano l’ennesimo esempio, v. ad es. https://jacobinitalia.it/lemergenza-per-decreto/) e varie misure di tipo premiale, volte a creare e diffondere, anche mediante l’estorsione del nostro coinvolgimento affettivo, un’ adesione “spontanea” a determinati modelli di comportamento “standard” (https://coordinamenta.noblogs.org/post/2019/10/20/autovalorizzazione-etica-della-devozione-profilazione/). Una diffusione sempre più capillare di norme, normette, codici di comportamento e prassi istituzionali mirate a creare e alimentare la cultura della gerarchia, della valutazione ossessiva, della meritocrazia, del politicamente corretto e quindi della colpa, della vergogna e della delazione.
L’egemonia culturale del pensiero neoliberista – alla quale hanno ampiamente contribuito tutti i movimenti “riformisti”, cresciuti infatti in gran numero negli ultimi anni – si è insediata nel senso comune che ha oggi perso ogni connessione con il buon senso.
In tempi di Corona Virus risuona tutta l’attualità di quel passaggio dei Promessi Sposi: “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune” …
Questa pandemia rappresenta, però, un momento di alterazione della “normalità neoliberista” e le “rotture”, le “crepe” del tessuto di quella che ci presentano come normalità sono spazi di possibilità per l’azione politica… come, ad esempio, lo è stata la prima guerra mondiale per la rivoluzione d’ottobre.
Ma quante/i di noi vogliono davvero uscire da questo sistema?
Ci sarà sicuramente un salto di qualità nella normalità imposta, perché, come insegna l’esperienza storica, le misure di governo adottate in momenti emergenziali difficilmente decadono con il passare dell’emergenza, tendendo invece a stabilizzarsi e a instaurare una «nuova normalità».
Per questo, la critica e l’attivazione politica (sebbene in modalità tutte da immaginare) non possono essere procrastinate al “post-pandemia”. Per questo, occorre respingere con forza la retorica individualizzante e spoliticizzata del “qui si muore” (brillantemente identificata e criticata in questo articolo: https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/03/la-viralita-del-decoro/#more-42374), e rivendicare lo spazio pubblico della riflessione critica e politica.
Contro la normalizzazione di questo momento emergenziale, con questo contributo collettivo vorremmo contribuire alla costruzione di discorso in duplice senso: Continuare a pensare/Continuare a lottare[…]