Differenza e dominazione.*
Noemi Fuscà
*Intervento alla presentazione di “Quattro passi” del 5 ottobre 2019 al Nido di Vespe
Colette Guillaumin, femminista materialista francese, già nel 1980 scriveva che dietro l’idea di differenza si cela la dominazione. Chi è infatti che stabilisce le differenze che siano sessuali o culturali? Chi è l’Altro-a? E poi quali sono le regole per essere integrata/o? Un discorso mascherato da altruista ha occupato tutto il discorso mediatico e sociale diventando parte del pensiero comune. Questo pensiero politicamente corretto ha stravolto non solo l’uso del nostro linguaggio ma le nostre pratiche e il modo con cui guardiamo il mondo. Ha cambiato, appunto, il nostro senso comune. Un esempio per tutti: il concetto di legalità/illegalità è diventato un cappio soffocante e la sua ridefinizione ha agito pesantemente proprio in contesti quali quello dell’integrazione e dell’emancipazione. Se rispetti le regole SEI UNA-O DI NOI. Il ricatto della cittadinanza è uno strumento abbastanza logoro del potere ma che con le dovute modifiche ancora funziona proprio perché ridefinendo il senso comune sono stati ridefiniti i ruoli, i rapporti di forza e soprattutto cosa è lecito e cosa non lo è. La consuetudine finisce per superare la legge e così siamo libere con il guinzaglio a strozzo, se tiri non respiri quindi, se non respiri, è colpa tua. Il sistema ti ha solo messo un guinzaglio, se non lo sai gestire non sai usare il tuo pezzetto di libertà. E così tutte/i vogliono essere integrate/i. E chi tenta di sottrarsi soffre pesantemente l’esclusione perché non ci sono più spazi di mediazione, di contrattazione o di manovra. Una specie di American dream pervade la società, devi dimostrare di meritartelo questo sogno e il merito è peggio della prostituzione perché non c’è neanche remunerazione. Forse prima ancora pagava qualcosa, ora non c’è più un vero scambio c’è solo il miraggio di far parte dei Primi o dei più Saggi. È il paternalismo del genitore che pretende che il figlio gli dimostri il suo valore, che si dia da fare, per il suo bene naturalmente. E chiaramente il valore è anche affossare gli altri che non ce la fanno.
C’è un reciproco rimando all’interno del concetto d’integrazione tra l’oppressione di razza e quella di genere. In tutti e due i casi viene richiesta la partecipazione e l’adesione al pensiero dominante e alla filiera gerarchica, adesione e partecipazione che possiamo quindi definire auto-addomesticamento. Questa sudditanza mascherata da partecipazione è, quindi, una concessione del potere e non una vittoria della controparte. È mangiare dalle mani del padrone e scodinzolare. Questo meccanismo non viene minimamente incrinato nelle contrattazioni, nei tavoli di confronto… integrazione ed emancipazione dovrebbero essere uno strumento non il fine. Cercare accordi non significa solo accettare briciole, perché solo queste si ottengono in un contesto come quello neoliberista in cui unilateralmente il potere ha chiuso gli spazi di contrattazione, ma fondamentalmente riconoscere al sistema nelle sue varie articolazioni la dignità di interlocutore.
La ragione rivoluzionaria dovrebbe smascherare questi meccanismi, non assecondarli.
Bisognerebbe cercare di scardinare le modalità che perpetuano l’asservimento e impostare diverse categorie di valutazione dei comportamenti in un’ottica di classe. Tutte e tutti pensiamo di essere liberi-e, ma chi rifiuta l’integrazione o l’adeguamento alle modalità di vita e di giudizio imperanti viene perseguito e demonizzato. Ne sono un esempio più di ogni altro le popolazioni native d’America e il popolo Rom. La storia di Mary Crow Dog della tribù Sioux e quello che è successo a Wonded Knee oppure al popolo rom in Europa è esemplare. Quando davvero un popolo non si piega, viene perseguitato. Se i rom dichiarano di volersi integrare, che vogliono vivere come “noi” allora va bene, altrimenti vengono etichettati come inferiori. Troppo spesso anche nella sinistra di classe ha preso il sopravvento una visione “umanitaria” per le questioni che riguardano il razzismo e una visione “culturale” per quanto riguarda il sessismo invece di una visione politica. La ricerca di soluzione immediata di problematiche urgenti e magari emergenziali ha una sua dignità, così come è importante tenere sempre presente la visione solidale, ma tutto questo deve essere sempre ricondotto alla visione politica altrimenti si finisce per mettersi al servizio di quel sistema che è la causa diretta dei problemi.
Per quanto riguarda l’emancipazionismo i meccanismi sono gli stessi ma trovo molto irritante che ogni volta che si parla di questo argomento siamo costrette a chiarire che noi non siamo certo contro l’emancipazione perché l’indipendenza economica è fondamentale come è anche importante che una donna faccia e possa fare quello che desidera in ogni ambito. Detto questo penso però che l’emancipazionismo sia un altro tipo di maschera bianca, quella cioè che sono costretti ad indossare i non bianchi per farsi accettare. Ma il sistema usa sempre il meccanismo BUONI VERSUS CATTIVI per affossare ogni spirito critico.
Questo solo per essere precisa e perché mi sembra il contesto giusto in cui portare alla discussione anche questo aspetto.
Torniamo all’emancipazione. Partiamo dall’inizio, dalle suffragette. L’esempio più chiaro che possiamo portare è quello di Emmeline, Christabel e Sylvia Pankhurst., madre e figlie suffragette e attive politicamente in Inghilterra. Allo scoppio della prima guerra mondiale succede che i politici vicini al movimento delle donne chiedono di interrompere momentaneamente la lotta per il voto per il bene della nazione in guerra. Mentre Emmeline e Christabel, convinte nazionaliste e colonialiste, accettano, Sylvia si dissocia e fonda con altre compagne la Women’s suffrage federation con una visione comunista e anticolonialista.
L’idea, però, che è passata riguardo alle suffragette è che hanno lottato per il diritto al voto e comunque per il voto alle donne e vengono fatte dimenticare le differenze ideologiche e i posizionamenti soprattutto in questi tempi bui dove si sono scoperti tutti femministi, dove si auspica il racconto della storia delle donne, una storia però addomesticata dove tutte le suffragette vengono accomunate dal fatto di aver lottato per gli stessi diritti. Ma il diritto è un’arma a doppio taglio, può essere rivendicato come strumento oppure può essere usato per INTEGRARSI in una società maschile facendo propri i valori patriarcali. E questa è una grande truffa perpetrata ai danni delle donne dalle donne stesse.
Ai tempi delle suffragette si parlava ancora di “questione femminile”, vale a dire che siccome era evidente che le donne erano svantaggiate nella società sotto tutti i punti di vista, uomini e donne, dotati/e di sensibilità, insieme avrebbero dovuto darsi da fare per risolvere questa questione appunto. Certo nella prima fase borghese le donne erano accomunate dall’esclusione dai ruoli attivi nella vita politica e sociale. Con l’apertura del lavoro all’esterno cambia qualcosa anche per noi, ma attenzione a non fare passi falsi, l’esclusione e lo stigma sono sempre dietro l’angolo!
La lettura della condizione femminile cambia radicalmente negli anni 60 e 70 del novecento soprattutto con il femminismo materialista francese. Christine Delphy nel suo articolo “L’ennemi principal” arriva alla conclusione che il nemico è il sistema non l’UOMO in sé. E’ il sistema che costruisce i ruoli sessuati perché questi sono funzionali allo sfruttamento e il patriarcato è un modello economico che il capitalismo ha assunto. Però, allo stesso tempo, i ruoli sessuati sono volutamente gerarchizzati e il maschile è investito di un ruolo di dominio. Da qui il separatismo. Cambiare la concezione che si aveva fino a quel momento della condizione delle donne è stato come ribaltare davvero il mondo. Non si tratta di oppressione culturale, quindi, non è etnografia ma una questione socio-economica fondata sui ruoli sessuati. La visione di classe non può quindi prescindere più da questo, pena fornire un’interpretazione parziale del mondo. Il fatto che ora si stia dimenticando il passaggio fondamentale dell’essenza strutturale dell’oppressione delle donne fornisce un’idea del livello di spoliticizzazione che ha messo in atto il neoliberismo.
Ma il neoliberismo ha fatto di più. Una sua caratteristica è la strumentalizzazione della nostra oppressione attraverso la cooptazione nelle sue file sia delle donne che sono disposte a farlo per la propria promozione sociale sia delle diversità sessuali. Tutti e tutte, gay, lesbiche, trans, bisex, intersex…tutto può essere cooptato attraverso una luccicante forma di emancipazione, purché ci si presti a supportare questo sistema e quindi a diventare ingranaggio dell’oppressione nei confronti di tutti gli altri e le altre. Tutti/e potranno essere uguali, avere accesso agli stessi diritti se…una forma rinnovata e ripulita di patriarcato. Collaborazionismo è la nuova parola d’ordine. E’ imprescindibile recuperare la lettura di classe nel femminismo e l’analisi materialista del femminismo nella lettura di classe.
A questo proposito mi viene in mente quello che abbiamo scritto sulle lotte contro la violenza maschile e per l’aborto in America Latina e in Polonia dove ci si è dimenticate che le scelte politiche generali non possono essere scisse da quelle femministe e mi viene in mente anche il documento scritto da un gruppo di compagne messicane che hanno prodotto delle lotte estremamente interessanti, di cui qui da noi, tra l’altro, non si sa praticamente nulla, opponendosi alla strumentalizzazione del femminismo ed arrivando a mettere un ordigno esplosivo sulla porta della Casa delle donne a Città del Messico. Ma per questo vi rimando alla lettura dei documenti nel nostro libro.