La Parentesi di Elisabetta del 5/9/2018

“A proposito di…”

 

[…] La socialdemocrazia non va
a caccia di farfalle.
Il nemico marcia in testa a te
ma anche alle tue spalle.
Il nemico marcia con i piedi
nelle tue stesse scarpe.
Quindi anche se le tracce non le vedi
è sempre dalla tua parte[…]

Claudio Lolli-La socialdemocrazia- da “Disoccupate le strade dai sogni”

 

Gli appelli all’unità antifascista e antirazzista che si sono moltiplicati recentemente dopo la formazione del nuovo governo concentrano la loro attenzione su aspetti emotivi, specifici e circoscritti omettendo che la mentalità e la visione del mondo di stampo nazifascista è veicolata proprio dal neoliberismo che in Italia trova il suo referente nel PD che si è proposto e lavora per naturalizzare qui da noi la società neoliberista improntata per quanto si proclami “moderna”, a valori feudali, ottocenteschi e nazisti.

Definire la società impostata e voluta dal Pd in questi anni come fascista, definire il PD come fascista non è un insulto banalmente usato nelle situazioni più disparate, e dallo stesso PD tra l’altro, quando si vuole tacitare un avversario politico, ma risponde all’analisi di quello che il Pd ha messo in atto, di come ha trasformato il sociale, di come ha costruito un comune sentire improntato a valori corrispondenti ai principi dell’ideologia fascista. Naturalizzare un pensiero fondato sull’individualismo più sfrenato e sulla meritocrazia per cui non esistono problemi sociali ma solo colpe personali e, allo stesso tempo, sulla soggezione autoritaria ad uno Stato che attraverso il politicamente corretto si è configurato sempre più come stato etico, infantilizzare la popolazione con la divinizzazione della legalità, con il culto della delega, con la santificazione dell’Impero del Bene, indurre nelle menti della cittadinanza un bisogno securitario per poter dilagare con un controllo serrato e capillare che ha moltiplicato a dismisura le varie polizie e ha fatto dei servizi sociali delle vere e proprie strutture poliziesche, propagandare l’occidente come portatore di democrazia e di civiltà significa instillare nella cittadinanza tutta un profondo razzismo sia sul fronte esterno nei confronti delle popolazioni del terzo mondo e quindi dei migranti e delle migranti, sia sul fronte interno nei confronti dei poveri e degli emarginati. Lo Stato ha assunto connotati di padre padrone paternalista e allo stesso tempo severo e inflessibile a cui tutti/e si dovrebbero rivolgere consapevoli della propria pochezza e inettitudine, dimentichi delle oppressioni di classe e contenti della propria collocazione sociale. Per portare a termine tutto ciò la socialdemocrazia ha usato strumenti e lessico della sinistra addossando quindi nel comune sentire alla sinistra stessa la responsabilità del suo operato. Ha costruito così un’egemonia culturale profondamente reazionaria e razzista, dove dio, patria e famiglia ritornano prepotentemente se pur rivisitati e corretti. Dio non è più quello cattolico che ormai non serve a granché per il controllo della popolazione, ma si incarna nel mercato che decide il Bene per tutti, dove la patria assume connotati di coesione attorno all’idea della tutela dagli attacchi esterni terroristici ed economici e attorno al principio dell’esportazione della democrazia con le guerre “umanitarie”, dove la famiglia non è più e necessariamente quella eterosessuale, le varianti sono previste ed accettate a garanzia della “modernità” del nuovo pensiero, ma rimane immutato e granitico il senso del nucleo familiare come catena di trasmissione del pensiero dominante. Chiaramente se questo non dovesse succedere ci penserebbero i servizi sociali a far rientrare ogni tentativo di allontanarsi dalla strada tracciata. La memoria di Ravensbruck è stata volutamente travisata, ma il fantasma di Ravensbruck aleggia nella nostra società.

Lo scenario in cui oggi siamo immersi è molto simile a quello degli anni che hanno preceduto la seconda guerra mondiale.

In questo contesto il richiamo all’alleanza delle componenti che si oppongono al fascismo facendo riferimento all’alleanza delle forze che lo hanno combattuto proprio durante la seconda guerra mondiale è completamente infondato. Per inciso, è vero che l’America ha partecipato in maniera attiva alla lotta contro la Germania nazista ma le motivazioni di fondo al di là delle belle parole sono che gli Usa hanno risolto con quella guerra i problemi della grande grande depressione e della crisi del 29. E gli Usa adesso puntano la barra dritta verso l’esplosione della terza guerra mondiale e gli avversari saranno Russia, Cina e alleati.

Paradossalmente, ma non tanto, questi appelli odierni che richiamano situazione passate di unità antifascista vengono sbandierati proprio dai naturalizzatori del fascismo, del razzismo, delle guerre neocoloniali ammantate dalla parola umanitarie e si risolvono in un’accelerazione ed un contributo agli scenari di guerra che il grande capitale a guida Usa sta portando avanti.

La strada maestra per praticare oggi e qui l’antifascismo e l’antirazzismo è quella di combattere il PD, alleati e connessi, in riferimento soprattutto al mondo dei media, delle banche, dei poteri forti, delle multinazionali che sono il coacervo di forze improntate ad una politica criminale che fa strame della popolazione tutta.

La militarizzazione del territorio, le strade sicure, la buona scuola, la legge Fornero, il Jobs Act, lo smantellamento dello stato sociale, la privatizzazione dei servizi pubblici fanno parte di un unico progetto e chi vi si oppone è perseguitato calunniato, oggetto di linciaggio politico e mediatico.

L’internazionale comunista nella stagione leninista parlava di socialfascismo con riferimento ai socialdemocratici. Questi avevano votato i crediti di guerra, represso gli Spartachisti, ucciso Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht ed avevano spianato la strada al nazismo. L’insegnamento leninista sempre valido va attualizzato. Oggi è la stessa socialdemocrazia, che costituisce il vettore più importante nell’attuazione della società neoliberista, ad essere diventata nazifascista.

Anche la lettura dell’anticomunismo va attualizzata. L’anticomunismo che abbiamo conosciuto finora era viscerale e sgangherato e la stessa stagione keynesiana era improntata dalla paura del comunismo. Oggi l’anticomunismo passa attraverso la rimozione stessa della parola e del progetto. Questo è il senso della teorizzazione della fine delle ideologie, questo è il senso del rigetto e dell’impronunciabilità perfino dello stesso termine. Non ne viene più riconosciuta neanche la dignità, il comunismo non è più vissuto neppure come nemico da combattere, è stato rimosso. Gli anticomunisti tradizionali sono ormai come i fascisti che rivendicano l’orbace. Possono essere utilizzati, ma sono marginali, sono la versione bianca degli ascari nei paesi coloniali.

Però l’anticomunismo fa talmente parte del DNA del neoliberismo e dei partiti socialdemocratici che non hanno più bisogno di proclamarlo ad ogni piè sospinto, lo vivono come una seconda pelle. E Keynes, abbandonato completamente per quanto riguarda lo stato sociale, vive prepotentemente nello Stato che si fa carico ed auspica forze militari, poliziesche e industria delle armi.

Oggi il compito della sinistra antagonista è di unificare tutti quegli strati sociali che tentano di sottrarsi alla vittoria del neoliberismo con uno spirito non gregario, non come somma di forze, ma con l’intento di esercitare egemonia culturale e di condurre le lotte a sintesi di classe.

Durante la guerra del Vietnam, si verificò una sintesi vincente delle lotte antimilitariste quando arrivarono le cartoline di precettazione nei Campus universitari americani e gli studenti e i loro genitori si mobilitarono contro la chiamata alle armi. Il problema è di trarre insegnamento da quell’esperienza proponendosi di non lasciare isolati come fu fatto allora quelli che danno un taglio di classe alla lotta antimperialista. Anche Gramsci quando vide il pericolo del fascismo chiamò all’unità e alla lotta tutti quelli che vi si opponevano. L’insegnamento di Gramsci è ancora attuale, ma va aggiornato. La lotta al fascismo oggi passa attraverso la lotta al PD, del fascismo la configurazione attuale.

Questo è anche il senso dell’esperienza in Argentina della presidenza Kirchner che aveva chiamato alla lotta contro il neoliberismo e chiedeva che si unissero tutte le forze apertamente anti-neoliberiste. Avere sottovalutato e avvilito, con i se e i con ma, questo appello ha consegnato quel paese a Mauricio Macrì e alle sue scelte neoliberiste con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti/e.

Però il mondo occidentale è più sofisticato e articolato e da noi i personaggi che sono stati e sono utilizzati per attuare politiche neoliberiste si autoproclamano di sinistra e democratici. I pifferai sono Tony Blair, Felipe Gonzales, Hollande, D’Alema, Obama, Javier Solana e le bandiere che vengono sventolate sono quelle  del partito laburista, dell’SPD, del partito socialista francese, del Psoe, del PD…E così succede che anche settori della sinistra di classe si intruppino e partecipino dei disegni della socialdemocrazia facendo tanti distinguo strumentali magari con le motivazioni più svariate… per intersecare…per condizionare…perché la base è buona… perché è il meno peggio…tutte le note dei pifferai di Hamelin vengono suonate e ribadite.

Ma noi non siamo topi. Sappiamo riconoscere il nemico.

Il governo in carica, come del resto tutti i partiti, rappresenta e tutela interessi di classe, di segmenti di classe e strati sociali.

Questo è il governo della piccola e media borghesia e seguirà le sorti perdenti di quest’ultima. La piccola e media borghesia, la piccola e media imprenditoria, il commercio al dettaglio, le libere professioni sono destinate a sparire, hanno già perso e chi si attarda a portarne avanti l’improbabile lotta è destinato a fare la fine di quei giapponesi che quando la guerra era già finita hanno continuato a combattere nella giungla.

Dalla lotta senza esclusioni di colpi e senza prigionieri all’interno della classe borghese è uscita vincitrice l’iper borghesia o borghesia imperialista il cui referente qui da noi è stato ed è il PD e i suoi collaterali che hanno attuato la trasformazione neoliberista del nostro paese. Costoro non sono una sinistra che sbaglia sono il nemico di classe e come tale vanno trattati.

Abbiamo temi importanti da contrapporre al dissennato percorso in atto.

Primo fra tutti, l’opposizione alla guerra e alle guerre neocoloniali. L’antimilitarismo non è un afflato umanitario, non è un tema da cristiani, non è un argomento da persone di buona volontà ma è una necessità per non ridurre il mondo ad un cumulo di macerie. E’ una necessità, è un bisogno impellente, imprescindibile e non procrastinabile e soprattutto in Italia che sarà uno dei paesi più colpiti da un’eventuale conflitto. E non si facciano illusioni i teorici del tengo famiglia perché nella prossima guerra non ci saranno fronti e retrovie, non ci saranno uomini in divisa e civili. Il paese tutto sarà coinvolto, senza eccezioni. E la militarizzazione dei territori e delle città non è altro che la guerra sul fronte interno.

Poi la presa d’atto che il lavoro non c’è e non ci sarà più. L’iper borghesia o borghesia imperialista vincente ha ridotto tutta la restante borghesia ad un ruolo di servizio e ha drasticamente espulso dal lavoro la stragrande maggioranza della popolazione. Il lavoro sarà poco, estremamente specializzato e robotizzato, con uno sfruttamento schiavistico dell’essere umano e la maggior parte delle persone dovrà vivere di espedienti, di lavori saltuari e sottopagati e di miseria. La promozione sociale che, seppure attraverso i sacrifici dei genitori e l’impegno dei giovani un tempo si poteva ottenere, ora come nel medioevo non ci sarà più. Il decoro dei poveri è venuto meno, per loro rimane la condanna sociale come nell’ottocento.

Quindi la constatazione evidente che il patto sociale è rotto per decisione unilaterale presenta la necessità di abbandonare le lotte corporative e categoriali e di impostare lotte direttamente politiche a cominciare dalla disobbedienza civile in qualsiasi ambito.

E la consapevolezza che la democrazia formale con tutti i suoi limiti è venuta meno, che la mediazione fra i vertici istituzionali e i cittadini è saltata deve portare necessariamente al rifiuto dei riti di mediazione sindacale, alla presa d’atto che gli scioperi, le elezioni, la partecipazione… sono sempre più inutili e svuotati di ogni significato. D’altra parte questo si proponeva l’ideologia nazista, eliminare ogni momento di mediazione tra il potere e i cittadini/e e fare del potere la diretta espressione dei potentati economici.

I soloni della fine della storia, della fine delle ideologie hanno condotto le società occidentali alla perdita totale della lettura di classe della loro stessa storia. La strada da percorrere è lunga e in salita ma come diceva Mao anche il più lungo viaggio comincia dal primo passo. Nel nostro caso è riconoscere il nemico, prendere atto che il patto sociale è stato rotto unilateralmente, che non dobbiamo dare niente a questa società. Se non ci organizziamo politicamente diventeremo una società alla statunitense dove le sconfitte vengono rubricate come disagio mentale e sfociano in forme di individualismo violento che colpisce colleghi, condomini, passanti. E con l’uccisione scontata e preventivata dell’autore.

Cominciamo con l’affermare che le vicende internazionali non sono per addetti ai lavori o comunque marginali ma si intrecciano strettamente con le nostre vicende non solo per le ripercussioni che possono avere ma anche e soprattutto per le chiavi di lettura che utilizziamo per capirle e raccontarle. Guarda caso siamo sempre contro i paesi e i governi asimmetrici agli interessi statunitensi e occidentali, vengono rimbalzate le categorie che loro utilizzano per preparare guerre interetniche, guerre confessionali, aggressioni militari di cui quelle alla Jugoslavia e alla Libia in cui tanta parte ha avuto il PD e i suoi dirigenti istituzionali o di partito, sono le più oscene.

Cominciamo col dire che le lotte corporative non portano da nessuna parte, finché coltiveremo interessi di categoria senza portarli a sintesi cercando di cogliere gli elementi unificanti che li caratterizzano faremo dell’interclassismo e anche di corto respiro. Pensare di avere con le istituzioni un rapporto di qualsivoglia tipo accettandone di volta in volta qualcuna come nostro interlocutore privilegiato ci farà perdere solo tempo e fatica ma soprattutto ci renderà complici nell’accreditare una lettura falsa e fuorviante di cosa sia lo Stato e di cosa rappresenti, lettura che spinge a dimenticare l’analisi di un secolo e mezzo di organizzazione, ribellione, antagonismo, teoria rivoluzionaria e prassi  conseguente perché quello che è stato ottenuto, poco o tanto, è il frutto delle nostre lotte.

La dimensione nazista di questa società nasce proprio dall’aver dimenticato il modo in cui il nazismo è andato al potere e perciò riproponendone i meccanismi. Il neoliberismo abilita le paure e le ansie che lui stesso provoca, la mancanza di sicurezza, la mancanza di lavoro, la paura dell’assenza di prospettive per i figli, la paura del diverso e dello straniero e fornisce risposte che erano già preconfezionate a monte, funzionali ad una precisa scelta ideologica. Una scelta ideologica, questa sì.

L’ideologia nazista, così come il neoliberismo ora, generava ansie e paure rispetto a qualcosa che poi si proponeva come soluzione. La presunta “modernità” della configurazione attuale consiste nel fatto che non c’è un Goebbels ma ce ne sono tanti, volenterosi e diversificati, che si annidano nei Think Tank, nei Centro Studi, negli Osservatori, nelle cattedre universitarie, nelle case editrici, tra gli opinionisti, i giornalisti e gli storici…Tutti costoro hanno mandato indietro le lancette della storia ma c’è già stato qualcuno che ha sparato agli orologi.

Tutto questo richiede risposte adeguate e all’altezza e non può che passare attraverso il rifiuto del comando globale, delle funzioni di gerarchia e di controllo territoriale che ne seguono. La lotta non può essere categoriale, la resistenza non può essere corporativa, ma in qualsiasi ambito deve essere contro le forme di controllo, contro la gerarchia e la meritocrazia, contro le linee guida del dominio.

Sono queste le sfide che dobbiamo raccogliere.

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