Perché abbiamo deciso di presentare “Calibano e la strega”
La scelta di presentare l’ultimo libro di Silvia Federici, “Calibano e la Strega”, insieme all’autrice, non deriva solo dal piacere e dal desiderio di averla con noi, ma è per quello che gli scritti di Silvia Federici rappresentano nella costruzione del pensiero non solo femminista, ma di comprensione dei meccanismi che determinano la struttura sociale e le sue trasformazioni.
Uno dei nodi del nostro impegno è lo scardinamento dei ruoli, sessuati e non. Lottare solo contro la mentalità, la cultura patriarcale senza mettere in discussione i meccanismi che la producono, è insufficiente se non fuorviante. Non trasformando i rapporti di produzione capitalistici iscritti nei processi di lavoro, questi riproducono continuamente tutti i ruoli della divisione sociale capitalistica, tutti i ruoli degli apparati politici e ideologici patriarcali. Disoccupazione, inquinamento, controllo, lavoro sempre più monotono, noioso, sempre più disumano … qualsiasi condizione, situazione, fisica, mentale, affettiva … trasformata in occasione di profitto, è qui il carattere propriamente tragico degli anni che viviamo. Ma, questa condizione non si realizza a partire dall’automatismo in sé, non dipende dalle nostre possibilità o capacità, ma ha le radici dentro le condizioni sociali cioè nella struttura della società e può essere dissolta soltanto dalla prassi consapevole di soggetti che intendono liberarsi.
Pertanto, la liberazione di noi tutte e tutti non è un programma per il futuro ma l’inventario del presente, l’insieme delle potenzialità incorporate nel sapere sociale. Nell’inventario del presente bisogna scrivere la possibilità di una grande trasformazione nei rapporti di produzione e di scambio fra gli esseri umani e, questo, a dispetto di tutte le culture che danno per scontata ed inevitabile questa società, sia che lo facciano per interesse, sia che lo facciano per ignoranza, perché l’uno e l’altra non comportano innocenza. Infatti, hanno ripudiato, oltre al materialismo storico e quello dialettico, anche la lotta di classe che è diventata monopolio dell’iper-borghesia e sono approdate al “liberalismo umanitario” che è una spietata apologia del darwinismo politico-sociale e, attraverso questo, santificano lo stato delle cose presenti.
Il concetto e la definizione di femminile non ci appartengono nella misura in cui sono strutturazioni fittizie del patriarcato, in funzione dell’asservimento e della riduzione delle soggettività alla subalternità. Femminile è una categoria socialmente e culturalmente costruita, un termine tutto interno al sistema patriarcale. É l’oppressione stessa che definisce l’insieme delle oppresse.
Non ci riconosciamo a partire da presupposti identitari, men che meno dall’identità biologica, ma a partire dalla nostra capacità di riconoscere l’oppressione patriarcale in tutte le forme in cui viene declinata all’interno del sistema sociale, politico e privato.
Crediamo infatti fermamente che né la lotta di genere, né quella di classe siano sufficienti da sole. Vanno invece coniugate in una visione più ampia che intrecci le oppressioni di “razza”, genere e classe e ne distingua i meccanismi di riproduzione all’interno del neoliberismo e del patriarcato. Informare la nostra riflessione e la nostra pratica di autodeterminazione di una critica radicale al sistema capitalistico, e alla sua versione neoliberista, risulta indifferibile per smascherare i dispositivi che favoriscono la divisione gerarchica e sessuata della società, i rapporti di subordinazione in genere e quelli di mercificazione, relegando in limiti sempre più angusti la donna in quanto soggetto subalterno, caricandola di funzioni produttive e riproduttive funzionali al profitto.
Fondante in questo percorso di analisi e di conoscenza è il ruolo della storia come leva dei cambiamenti sociali e della consapevolezza di base di un comune patrimonio di lotte da cui partire in contrapposizione alla chiave di lettura “culturale”, “neutra” e tutt’al più sociologica che il capitalismo neoliberista ci vorrebbe imporre togliendo la valenza politica alle lotte dei popoli del terzo mondo riducendole ad una dimensione di arretratezza culturale, strumentalizzando le lotte delle donne e delle diversità imbrigliandole nella dimensione corporativa e tentando di vanificare la lotta di classe riconducendola a delinquenza comune.
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