Legno o croccantini

“Legno o croccantini”

Trovo veramente ridicolo il dibattito sulle ragazze che si fanno i selfie alle tette per sponsorizzare l’affiliazione alla propria università. Mi fanno orrore quei poveri dementi che, aiutati dall’infrastruttura dei social network, non trovano nulla di meglio che sfogare il loro sessismo da operetta bollando le studentesse che “escono” le tette come cagne senza cervello quando magari hanno scritto ‪#‎escile‬ fino a due secondi prima. Insomma, il doppio standard per cui se non sei disinibita ce l’hai di legno, ma se esponi il tuo corpo e lo usi come meglio credi sei una a cui tirare i croccantini.
Trovo anche abbastanza stucchevoli quelle che, per rimarcare la loro intelligenza, si scrivono il nome dell’istituzione sulla fronte, come a dire che chi mette le tette in bella vista è scema, mentre dentro una fronte dovrebbe esserci per forza un cervello funzionante e in grado di pensare. Detto ciò, trovo altrettanto stucchevoli le femministe che, in nome della libertà di autodeterminare il proprio corpo, difendono il gesto in opposizione allo slut shaming come se fosse un atto liberatorio, di rivendicazione e di fuga alla norma.
Io sinceramente trovo che ci siano poche cose più normative e normanti del pubblicare le proprie tette o qualsivoglia parte anatomica (potrebbe anche essere un tallone) per rivendicare con orgoglio la propria affiliazione all’istituzione universitaria, e quindi farle pubblicità come se fosse una cosa di cui poter andare tremendamente fieri o un prodotto da vendere. 
A parte il fatto che ancora una volta è la moda, un imperativo digitale, uno stupido hashtag che ti chiede di farlo in un contesto prestabilito e già dato (nonché probabilmente ideato da qualche maschietto), e che se si diffonde l’hashtag #escile non vedo per quale motivo io dovrei uscirle quando dicono loro. Il punto è proprio il concetto di affiliazione: oramai si sta completando la transizione verso un modello anglosassone di università. Il che significa tasse inarrivabili , merito che corrisponde con il proprio censo, brandizzazione degli atenei che diventano dei service providers (pure scarsi, oltretutto), veri e propri mercifici di nozioni spendibili sul mercato del lavoro (dove, per definizione, qualcuno deve vendere le proprie capacità umane in un modo attrattivo, e quindi non certamente critico o che crei problemi al sistema),dove il pensiero critico è un demerito perchè disturba la formazione dei quadri votati a perpetuare la sopravvivenza del sistema capitalista di stampo neoliberista. 
L’università è quindi diventata la quintessenza della precarietà dal banco fino al posto di ricercatore, dove per avere un minimo di libertà accademica bisogna avere pletore di santi in paradiso, un posto svuotato di eguaglianza, dove la critica viene messa alla berlina e dove ormai guardie e politici possono entrare a loro piacimento e fare il bello e il cattivo tempo. Pertanto, di cosa ci sarebbe da essere fieri esattamente???Quale sarebbe la caratteristica di cui andare orgogliosi??Mettersi una felpa col nome della propria università, scriverselo in fronte o fare il tifo acriticamente per un’istituzione che dequalifica il sapere e fomenta la precarietà in quale modo dovrebbe essere un atto rivendicabile??Per quale motivo oltre ad essere consumatori di un servizio costoso e scarso volete anche diventare proattivi pubblicitari dello stesso prodotto mettendo in gioco anche il vostro corpo??
Anzichè guardare il dito (o meglio,la tetta), forse anche in questo caso sarebbe il caso di concentrarsi sulla luna…Che ultimamente sta mostrando il suo volto più scuro..

@policeonmyback

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