da scateniamotempeste.wordpress.com in storie di tutti i giorni
Cara amica,
quando torni? Lo sai che ho bisogno di te e so che tu hai bisogno di me. Ti sei esiliata in cerca di una vita nuova perché fare la cameriera a Parigi era sempre meglio che fare la precaria in biblioteca in un paesino della provincia. Nel tuo immaginario. Nel mio immaginario. Era esotico. Era nuovo. Era libertà.
E proprio per questo ti ho pensata mentre servivi dei turisti americani un po’ volgarotti e una signora col cane, che storceva il naso per la tua pronuncia stentata e, infine, degli studenti dell’Erasmus, che tentavano di portati a letto. Ho visto che ti sei tagliata i capelli cortissimi e che hai il tuo solito sorriso discreto, forse un po’ triste. La tua fuga ti sta servendo? Ti prego, dimmi di sì, anche se l’altra sera mi hai detto con una voce indecisa che non sapevi se restavi. E non sapevi se tornavi. Forse avresti cambiato città ma qui non ritornavi.
Io ti vedo come la Amélie del film di Jeunet, che sogni, cammini, ti innamori, per le vie della città o nel cuore del tuo minuscolo appartamento. E mi figuro Parigi come una stupenda vetrina sul mondo dove stare leggeri e sentirsi in pace con tutti, con i suoi bistrot, il lungo Senna, i tavolini all’aperto, un vento che quando soffia porta via tutti i pensieri, anche quelli brutti.
Dimmi che non sei stata sconfitta.
Qui la sera oramai fa buio presto e io mi sforzo di uscire, perché stare in casa mi fa quello stesso effetto che a te faceva stare in Italia, mi viene un groppo alla gola, fatto di pensieri che non mi colmano e mi lasciano un vuoto allo stomaco. Così, se esco e faccio tardi e mi sveglio rincoglionita il mattino per andare al lavoro, dove faccio tardi e da cui esco tardi, incastrando mille altri impegni, così, ecco, ti dicevo che non penso. E il “fare” mi fa l’effetto che a te fa il vento freddo di Parigi.
Quando penso, mi piace invece pensare alle cose che abbiamo fatto assieme, soprattutto a quelle più stupide e mi viene da sorridere. Ho ritrovato il ritaglio della foto sul giornale locale di quel corteo dove avevamo la faccia coperta e nell’articolo parlavano dei giovani violenti, e noi c’eravamo coperte solo per non essere riconoscibili nel caso delle fotografie dei giornalisti (che appunto furono scattate).
Cortei così partecipati non se ne vedono più. Nessuno si incazza più in massa. Ognuno per sé. Gli operai per sé, gli studenti per sé, i lavoratori della cooperativa sotto casa tua per sé, i precari della scuola per sé, pure la macellaia del corso dietro l’appartamento di tuo padre è incazzata per sé, perché dice che da quando c’è l’area C, i fornitori fanno storie a portarle la carne una volta in più. Divide et impera! E ognuno si narcotizza nelle sue disperazioni/solitudini/disagi e nei suoi umori neri.
Vorrei che tornassi e che stessi lì nello stesso tempo. Qui non sei felice, lì non sei felice. Qui non c’è molto da essere felici, lì non so.
Forse dovrebbero inventare una medicina omeopatica per la felicità.
Io non credo sia solo la crisi, i sogni smantellati, le verità e le bugie che oramai sappiamo, credo ci sia qualcosa di più in questo nostro tempo. Siamo state riempite di cose, ci dicono di avere degli obiettivi, se vogliamo essere brave e ci sentiamo intelligenti, e poi ci dicono che dobbiamo raggiungerli con le unghie, col sudore con i denti, salvo poi svelarci che ciò è impossibile, che non c’è posto per noi e non è il momento per noi. Forse dovremmo ribaltare le cose. Gli obiettivi non sono la casella d’arrivo del gioco dell’oca, sono il nostro percorso quotidiano. Ogni piccolo passo. Dovremmo capire cosa davvero ci potrebbe rendere, se non felici, almeno serene, che cosa è realizzabile oggi o domani o dopodomani. Dovremmo non smettere mai di lottare nel nostro piccolo per le cose che possiamo cambiare. Anche se ci sembrano piccolissime, come contrariare le signore razziste sulla 67 e sentirci delle soldatesse dell’antirazzismo. Fare dei sorrisi. Magari a caso. Così ci ricordiamo come si fa. A noi le risate sguaiate per motivi futili non sono mai piaciute. Ci sembrano finte. Abbiamo smesso di farle.
Abbiamo anche smesso di cercare i grandi amori perché ci bastano quelli piccoli di un giorno, di due, adeguati a questi tempi.
Ma non possiamo smettere di cercarci e di vederci sorelle, per il nostro vissuto e per quello che siamo. E a chilometri e chilometri, è come se fossi qui