Ascoltate questa sera Zardins Magnetics/ giovedì 30 novembre 2023

Zardins Magnetics di giovedì 30 novembre 2023

Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.

Gli argomenti:

✓ Alcune storie di prigioniere palestinesi

✓ Patriarcato e Capitale alleanza criminale! Su OMS, ONU e stupri colonialisti

Ascolta la diretta:
FM 90.0 MHz
https://radioondefurlane.eu/

Riascolta le trasmissioni passate:
https://zardinsmagneticsradio.noblogs.org/

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Opponiamoci al prelievo del DNA!

Riceviamo e pubblichiamo

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3 dicembre a Milano/ Controllo,disciplinamento,militarizzazione

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La variante dell’indisciplina a Torino!

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Non lasciamoli in pace !!

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Finalmente libera?

Non appena questa mattina ho letto, sul canale Palestina Hoy, la notizia – attesa da giorni – della scarcerazione di Israa Jaabis, l’ho inoltrata ad alcune compagne commentandola con Finalmente libera!.

Ma, col passare delle ore, mi sto chiedendo se Israa si possa davvero considerare libera: è tornata nell’apartheid di una città da decenni spaccata in due, occupata e militarizzata, vi è tornata con un corpo devastato anche grazie alla sadica e sistematica negligenza della canaglia sionista che, dopo averla incarcerata, ha sempre respinto ogni sua richiesta di cure.

Su Infopal potete leggere la vicenda del suo arresto. Una campagna e vari appelli sono stati fatti negli anni scorsi per la sua scarcerazione, ma tutto è, ovviamente, caduto nel vuoto.

Ieri sera i militari occupanti sono andati a casa della sua famiglia minacciando che Israa non sarebbe stata liberata se lì fosse rimasta la stampa ad attenderla (quanto avrebbero voluto che nell’incendio della sua auto le si fosse bruciata anche la lingua!!!), come se non bastasse il fatto che il governo isaeliano sta cercando di imporre il divieto di festeggiare chi viene rilasciato/a dal carcere, con la minaccia di riportarli/e in carcere.

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Sabato 25 novembre WOMEN IN STRUGGLE/ Vi aspettiamo!

Sabato 25 novembre 2023 la coordinamenta femminista e lesbica invita alla proiezione di <WOMEN IN STRUGGLE> (2004) della regista palestinese Buthina Canaan Koury, film documentario basato su interviste a militanti palestinesi sopravvissute all’apparato repressivo israeliano. Donne in lotta, donne imprigionate, donne torturate, donne che con forza e semplicità cercano ancora giustizia e felicità per se stesse come per la loro terra.

Sweet Bunch, via Casilina 283/A ore 20 e 30.

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L’ultimo 25 Novembre

L’ultimo 25 Novembre

Questo per noi sarà l’ultimo 25 novembre. Non ne possiamo più di date inventate a tavolino dall’Onu o dai suoi collaterali e consorziati strumentalizzando l’assassinio delle sorelle Mirabal, non ne possiamo più di date e ricorrenze propagandate dalle varie istituzioni pubbliche false, ipocrite, utilitaristiche e prezzolate. Non ne possiamo più delle processioni, dei teatrini, dei pulpiti e delle scarpe rosse che il potere allinea nelle piazze, delle coccarde e delle panchine rosse nei parchi, dell’associazionismo e dei corsi di educazione per i tutori dell’ordine costituito, i magistrati, i carcerieri…annessi, connessi e collaterali.

Non ne possiamo più delle lacrime utilitaristiche delle patriarche che pontificano contro la violenza sulle donne e fanno leggi securitarie, liberticide, di povertà e ristrettezze economiche, che gettano tutte le altre donne nella miseria, nell’impossibilità di tutelarsi e autodeterminarsi, che costringono tutte le donne alla guerra fra povere, che sfornano legislazione repressiva e di controllo con la scusa dei femminicidi…braccialetti digitali, Mobil  Angel, territori disseminati di telecamere, codici rossi, inasprimenti delle pene.

Non ne possiamo più di quelle che si dicono femministe e che ficcano la testa sotto la sabbia e continuano a rapportarsi con lo Stato, per convenienza o per abitudine, a pensare che la violenza sulle donne si risolva con la presa di coscienza degli uomini e delle istituzioni e non si accorgono o fanno finta di non accorgersi che il potere sta pesantemente strumentalizzando le donne e le diversità e le sta usando per una trasformazione profonda della società dalle fondamenta.

Giulia, ammazzata pochi giorni fa dall’ex perché voleva studiare, se ne voleva andare, voleva scegliere la sua vita, è l’ennesima di una lista senza fine e abbiamo ascoltato da tutti i pulpiti le solite esternazioni aberranti…il problema è culturale, bisogna insegnare il rispetto dell’altro, soprattutto nelle scuole, bisogna educare alla tolleranza, alla civiltà nei rapporti, al riconoscimento della libertà degli individui, al rispetto dei desideri e dei pensieri altrui, al rispetto delle diversità, bisogna introdurre nelle scuole l’educazione all’ affettività.

E quale sarebbe questo rispetto dell’altro? Quale sarebbe il rispetto dei desideri e dei pensieri altrui? Mettere in galera quelli che osano dissentire da questo sistema o anche solo pensare di costruire un’altra società? Escludere dal consesso lavorativo e civile tutte e tutti quelli che erano contro il green pass? Che volevano autodeterminarsi e rifiutare una terapia sperimentale? Dividere la gente in persone di serie A e di serie B a seconda dell’adeguamento al sistema di potere? Demonizzare tutti quelli/e che sono contro la Nato e contro le armi all’Ucraina? Che sono contro il controllo totale della nostra vita attraverso la digitalizzazione forzata, le sperimentazioni genetiche, i nuovi OGM, le smart cities o le ZTL? E quale sarebbe l’educazione alla tolleranza? Le guardie che si fanno forti di una divisa e sono armate anche in borghese? La tolleranza zero contro i diversi, i/le migranti, i nuovi Cpr, le periferie trattate come zone delinquenziali, la guerra ai poveri/e? e quale sarebbe la civiltà nei rapporti? Quella di spingere allo spionaggio di vicinato, alla delazione sul posto di lavoro, trasformare ogni cittadino/a in gendarme? E quale sarebbe il riconoscimento della libertà altrui? Quello delle guerre di aggressione degli Usa e della Nato, Italia compresa o il genocidio del popolo palestinese da parte di Israele?

La società neoliberista è una società violentissima che pratica sistematicamente la legge del più forte in ogni ambito nascondendosi dietro parole ipocrite, che esalta il dominio e il possesso, che mette in atto prevaricazione, stigma e controllo sui subalterni/e, esclusione sociale e morte civile quando non direttamente fisica. Perché non dovrebbero farlo gli uomini con le donne? I meccanismi patriarcali infatti sono gli stessi che ha usato e sta usando l’attuale fase del capitale per la trasformazione della società dalle fondamenta.

Il neoliberismo ha patriarcalizzato la società tutta, ha imperniato l’assoggettamento di tutti i subalterni su principi che il modello patriarcale ha usato per l’assoggettamento delle donne:

L’asservimento delle donne è stato praticato e perpetuato estorcendo la nostra partecipazione emotiva ai dispositivi dello sfruttamento […] E una volta dentro, non esiste distinzione tra tempo del lavoro e tempo libero, dobbiamo essere disponibili ventiquattro ore su ventiquattro, dobbiamo riconoscere il nostro ruolo ed esserne appagate poiché solo così potremo essere felici, potremo dare un senso, un senso pieno, alla nostra esistenza. Lo sfruttamento patriarcale ci espropria alla fine anche della nostra emotività: dobbiamo provare solo i sentimenti che sono stabiliti. Il neoliberismo ha esteso questi dispositivi di sfruttamento oltre la famiglia, oltre il lavoro riproduttivo. Ha femminilizzato il lavoro salariato. L’azienda neoliberista pretende da lavoratori e lavoratrici una dedizione assoluta, e spesso e volentieri gratuita, una partecipazione emotiva alle sorti della stessa, una continua reperibilità. Sempre più spesso, sempre più diffusamente, “portiamo a casa” il lavoro e non riusciamo più a godere del, poco, tempo libero che ci viene lasciato. Ma il neoliberismo vuole anche altro. Un mettersi in gioco continuamente per dimostrare quanto si è bravi/e, un’attesa continua del riconoscimento del merito e quindi una continua dipendenza dal giudizio. L’ossessione valutativa, portato dell’ideologia meritocratica, viene naturalizzata spingendo uomini e donne a riconoscere “affettivamente” la filiera gerarchica. Accettazione supina della propria inadeguatezza e quindi dei rimproveri che ci vengono mossi, delle umiliazioni a cui siamo tutte e tutti quotidianamente costretti, della concorrenzialità con i propri simili; una disponibilità ad assumere la scala di valori vincente e quindi a stigmatizzare tutti quelli che si comportano in maniera deviante. Ma anche questo, come donne, è un meccanismo che conosciamo bene. Da sempre noi donne dobbiamo dimostrare di essere brave, di essere all’altezza. Il giudizio altrui ha sempre contato moltissimo; lo “sguardo maschile”, sicuramente, ma anche quello delle altre donne a cui è stato attribuito il compito di “cani da guardia” del sistema, portato a termine stigmatizzando tutte le altre donne che non accettano la norma, la normalità, che non vogliono rientrare nei ranghi della scala di valori codificata. Nel mondo del lavoro salariato, poi, il nostro impegno nel dimostrare quanto valiamo si è addirittura centuplicato. Come in famiglia, anche negli altri luoghi di lavoro, dobbiamo accettare rimproveri e rimbrotti perché chi li fa sa meglio di noi qual è il nostro bene. Ci costringono a interiorizzare il senso della nostra inadeguatezza: è un nostro difetto, atavico, proprio perché, in fondo, non siamo in grado di scegliere il “meglio” per noi. E come hanno potuto ottenere da noi tutto questo? Attraverso la costruzione dei ruoli sessuati e non, la santificazione dell’autorità, la continua affermazione della logica del possesso, la retorica della responsabilità e del sacrificio, spingendoci ad introiettare la legalità con la minaccia dello stigma sociale, del ricatto affettivo ed economico, della repressione poliziesca.

In altri termini: hanno normalizzato e naturalizzato lo sfruttamento, l’oppressione, la mortificazione, la degradazione. La descrizione del nostro presente, costruito sulle gerarchie di genere, classe e razza, è diventata prescrizione del presente. (Quattro Passi/Note sul femminismo nella fase neoliberista del capitale pp.53,54)

La violenza patriarcale sotto mentite e negate spoglie intride le nostre società occidentali in profondità. Se c’è un movimento che in questo momento dovrebbe battersi contro le dichiarazioni emergenziali, la sperimentazione sui corpi attraverso il ricatto di un <bene comune e superiore> o attraverso il miraggio di una salute perfetta, di figli perfetti e per tutti, che dovrebbe battersi contro le leggi e i processi di interiorizzazione delle ideologie dominanti vecchie e nuove, contro i processi di asservimento che si concretizzano nel controllo sociale e territoriale serrato, nella digitalizzazione a tutto campo, nella guerra sul fronte esterno ed interno, questo dovrebbe essere proprio il movimento femminista.

Invece la ricerca della felicità  individuale e collettiva è stata capovolta in una realizzazione personale totalmente dimentica dell’originaria azione creativa e dialettica del femminismo.

Ogni riflessione e pratica eterodiretta rispetto al pensiero unico viene rinchiusa dal potere nella logica del negativo e del patologico, da reprimere, utilizzando da un lato le componenti socialdemocratiche riformiste come agenti controrivoluzionari, dall’altro le componenti dichiaratamente fasciste con la repressione diretta. Le une e le altre sono complementari.

Tutto questo ha portato ad un incremento della violenza. Da quella tradizionale che si manifestava nello sfruttamento all’interno del sistema organizzato di fabbrica o di impresa capitalistica, da quella che veniva esercitata nei confronti di chi aveva un orientamento ideologico diverso, da quella secolare di genere, oggi il potere è passato alla pretesa di piegare ai suoi obiettivi  tutta la nostra vita.

In questa società, “realizzazione della civiltà”, la violenza non è più qualcosa di esterno ma è immanente, è causa e principio e, perciò, è legalizzata e istituzionalizzata.

A questo sporco gioco non ci stiamo, ci troverete ovunque ci siano crepe per poter uscire da questa società e per smontarla.

Coordinamenta femminista e lesbica

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Ascoltate questa sera Zardins Magnetics/ giovedì 23 novembre 2023

Zardins Magnetics di giovedì 23 novembre 2023

Questa sera ascolta Zardins Magnetics su Radio Onde Furlane, dalle ore 20 alle 21 e 30 circa.

Gli argomenti:

✓ No al pacchetto sicurezza. Contro la violenza del patriarcato e dello Stato, autodifesa femminista

✓ Presentazione delle serate in solidarietà a Georges Ibrahim Abdallah

✓ Aggiornamenti dalla società carceraria

Ascolta la diretta:
FM 90.0 MHz
https://radioondefurlane.eu/

Riascolta le trasmissioni passate:
https://zardinsmagneticsradio.noblogs.org/

 

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La coordinamenta verso L’ultimo 25 novembre/ Premessa 3

La coordinamenta verso L’ultimo 25 novembre/ Premessa 3  

Questo è il testo che abbiamo scritto lo scorso anno

Uscire dal pensiero del nemico

25 novembre 2022

La giornata della gentilezza, la giornata mondiale dei diritti del bambino, la giornata della pace, la giornata della memoria, la giornata della terra, la giornata della disabilità…perfino la giornata mondiale del povero, la giornata internazionale contro la guerra, la giornata mondiale del migrante e del rifugiato… e poi la giornata internazionale contro la violenza sulle donne…Tutte giornate e ricorrenze create a tavolino da quello stesso sistema di potere che poi si arroga il diritto di decidere della nostra vita e delle nostre scelte.

Ce n‘è per tutti i gusti, per tutte le occasioni e per tutte le ragioni. Peccato che la gentilezza il neoliberismo non sappia neanche dove stia di casa dato che propaganda arrivismo e carrierismo spietato, che l’attenzione ai bambini sia un grande business che riguarda pannolini, vestitini, giocattoli…oppure indottrinamento attraverso libri per l’infanzia per abituare all’obbedienza e alla delega, psicologi e farmaci, vaccini obbligatori e scuole-parcheggio. E’ addirittura destabilizzante ascoltare i discorsi pelosi di tutela che questo sistema porta avanti verso di loro messi a confronto con la violenza che attuerà su questi esseri umani quando saranno adulti: potranno morire di fame e dormire sotto i ponti e sarà comunque colpa loro. Vogliamo parlare della giornata della memoria che significa stravolgimento della storia e propaganda del pensiero unico? O della giornata internazionale contro la guerra che significa invece legge del più forte e inneggiare alla Nato e all’occidente portatore di pace e di tutela di diritti mentre l’industria delle armi è un asse portante delle nostre così dette democrazie?

Vogliamo parlare della giornata internazionale contro la violenza sulle donne?

Il 25 novembre assisteremo a kermesse, rappresentazioni istituzionali, lacrime di coccodrillo, patriarche in vesti di gala che pontificheranno su quanto bene hanno fatto alle donne con leggi, leggine, centri di supporto psicologico, centri antiviolenza, associazionismo vario, teatranti e maschere, commedianti e commedie. Ma si dimenticheranno di dire che sono sempre loro a fare leggi di sfruttamento spietato e precarietà, leggi di guerra e di controllo che impediscono qualsiasi autodeterminazione, che negano la possibilità di una casa dignitosa o di un lavoro decente, che costringono tutte le altre donne a lottare per la sopravvivenza, strette tra violenza domestica e mancanza di vie di fuga. Assisteremo a manifestazioni rituali che dietro ad una parvenza trasgressiva (perché il significato delle parole ormai è stato stravolto) dimenticano quello che è successo in questi due anni. Fanno finta di scordare che hanno chiuso le donne in casa, che le hanno divise in donne di serie A e donne di serie B, che hanno supportato le scelte di Stato in tutti i modi possibili, che hanno fatto i cani da guardia del potere.

Nulla è più come prima, nulla potrà essere più come prima. Le maschere sono cadute e i volti si presentano per quello che sono.

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La coordinamenta verso L’ultimo 25 novembre/ Premessa 2

La coordinamenta verso L’ultimo 25 novembre/ Premessa 2  

Lo Stato: carnefice, giudice, tutore e samaritano. 

(Quattro passi/ Note sul femminismo nella fase neoliberista del capitale, Autoproduzione, 2019 pp.47-50)

È uscito da pochi giorni ( agosto 2016 n.d.r.) un appello (Nudm n.d.r.) che chiama tutte le donne ad una manifestazione nazionale “per l’eliminazione della violenza sulle donne”, che dovrebbe tenersi a Roma il prossimo 26 novembre; un appello incentrato, al di là degli slogan e delle belle parole, sulla richiesta allo Stato di diritti e di “presa di coscienza” delle Istituzioni.

Si dimentica e si omette completamente che cosa sia lo Stato cioè il momento organizzativo del potere e, quindi, del sistema socio-economico-politico, in questo momento, capitalista neoliberista.

La violenza maschile sulle donne e il ruolo che a queste è destinato sono costruiti in maniera assolutamente funzionale a questa organizzazione economica basata sulla gerarchia, sul comando, sull’autoritarismo, sulla meritocrazia, sul controllo. Un organismo economico-politico che ci costruisce a suo uso e consumo, che ci usa come riproduttrici, come destinatarie del lavoro di cura, come lavoratrici quando serviamo e quindi come lavoratrici di serie B perché si arroga il diritto di rimandarci “a casa” in qualsiasi momento, può mai essere un interlocutore? Uno Stato che, attraverso l’emancipazionismo, ha cooptato e continuare a cooptare nella struttura di potere le donne che si prestano, in cambio della promozione sociale e della collocazione di classe, a perpetuare l’oppressione su tutte le altre donne – meccanismo usato anche con i/le migranti e le differenze sessuali –, uno Stato che, attraverso le sue istituzioni, dall’istruzione all’informazione, dalla sanità al lavoro, preposte alla trasmissione dei valori dominanti, ribadisce e impone, in ogni ambito della vita, questa divisione del lavoro e dei ruoli basata sulle differenze di classe, genere e razza, può mai essere un interlocutore di qualsivoglia specie?

Nell’appello si legge: ”Non c’è nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione è previsto per il personale socio-sanitario, le forze dell’ordine e la magistratura.” Si pensa davvero, che insegnare la pace nelle scuole, insegni a non fare la guerra?  Questi “brandelli accidentali di formazione” non sembra abbiano impedito o impediscano a giudici e polizie di ogni tipo di reprimerci violentemente nelle piazze quando lottiamo per la casa, contro il massacro sociale, contro la distruzione della scuola pubblica, contro il militarismo – che è cultura dello stupro-  o contro le guerre umanitarie e la distruzione dei territori. Possiamo mai avviare un’interlocuzione con quelli/e, magistrati e forze dell’ordine, che ci condannano nei tribunali e che hanno il compito di soffocare ogni forma di dissenso?

Le donne non sono oche da cortile che starnazzano in luoghi protetti e che non sanno guardare al di là del loro recinto!

In questo momento storico il neoliberismo, in quanto ideologia a tutto campo, ha rotto il vecchio patto sociale e ha chiuso, in modo unilaterale, ogni spazio di mediazione attraverso il PD, annessi e connessi, che si sono assunti l’onere di naturalizzare la società neoliberista nel nostro paese. In questo scenario, qualsiasi lotta corporativa – com’è la lotta delle donne quando è incapace di connettersi alle altre lotte e cerca, al contrario, il dialogo con le istituzioni – perde di senso in termini di antagonismo e di lotta di classe dal basso e purtroppo ne acquista, sempre di più, in termini di lotta di classe dall’alto. Le lotte corporative che hanno successo oggi sono quelle condotte dai lobbisti per conto delle multinazionali.

Il femminismo non è lotta corporativa, è ben altra cosa! Il femminismo è consapevolezza dei meccanismi che informano l’oppressione e la violenza su di noi ed è quindi alterità a questa società; è ricerca di vie di fuga, è riconoscimento del nemico, è autorganizzazione e autodeterminazione al di fuori di ogni rapporto con le Istituzioni. Non è spartizione di soldi pubblici, non è contrattazione né collusione, non è concertazione, non è vertenza sindacale.

L’appello chiede “ la rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza”

E, così, lo Stato diventa carnefice, giudice, tutore e samaritano delle donne tutte attraverso le donne che si sono prestate e che si prestano ancora. Continua a leggere

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NUOVA OCCUPAZIONE IN SAPIENZA,NASCE “ZONA 1”

Riceviamo il comunicato

NUOVA OCCUPAZIONE IN SAPIENZA,NASCE “ZONA 1”

ciao a tutt3, stamattina come student3 abbiamo occupato l’ennesimo spazio abbandonato in città universitaria. Questo è solo il primo passo per portare dentro l’università un’alternativa al deserto che la circonda. Chiediamo a tutt3 di raggiungerci subito in città universitaria.
Costruiamo legami di condivisione e solidarietà, autorganizziamoci!

Oggi!
ORE 12.00 ASSEMBLEA PUBBLICA
ORE 15.00 VALERIO NICOLOSI, RACCONTI DA GAZA
ORE 18.00 APERITIVO MUSICALE FINO A NOTTE

CI TROVATE SULLA STRADA TRA L’INGRESSO DI VIALE DELL’UNIVERSITÀ (VARCO 3) E SCIENZE POLITICHE. DAJE!

ZAUM

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La coordinamenta verso L’ultimo 25 novembre/ Premessa 1

La coordinamenta verso L’ultimo 25 novembre/ Premessa 1 

Care tutte/pubblichiamo a seguire degli articoli che ci accompagneranno verso quello che abbiamo chiamato <L’ultimo 25 Novembre> così man mano si capirà il perché

Linee di tendenza………………………………

di patriarcato e capitalismo nella società neoliberista.

(E.Teghil, Linee di tendenza, Bordeaux 2021,Introduzione)

Dicono che l’occhio umano sia fatto per guardare orizzonti lontani. Dicono. E dicono anche che se l’occhio umano guarda sempre per terra o la parete del palazzo di fronte la capacità visiva si atrofizzi notevolmente.

La lotta di classe e di genere è una guerra, lo sapevamo già, ma ora il potere lo ha dichiarato esplicitamente e usa metodi, linguaggi, sistemi e pratiche conseguenti non solo contro tutte/i quelle/i che non si adeguano subito ed esplicitamente ai suoi desiderata ma costruendo per tutti un immaginario sociale in guerra costante.

Per poter agire e rispondere adeguatamente in una guerra bisogna conoscere e analizzare la situazione sul campo ma bisogna anche capire che cosa si propone il nemico. Le linee di tendenza del suo operare. Bisogna guardare lontano.

La società è stata trasformata dalle fondamenta in pochi anni e questo processo ha subito un’accelerazione molto forte negli ultimi tempi, sia con la scusa dell’emergenza Covid-19 sia perchè il cambiamento tecnologico si attua con una velocità fino a poco tempo fa impensabile.

Ci sono alcune scelte-cardine del capitalismo neoliberista per la ristrutturazione della società che ci permettono di capire più di altre le linee di tendenza della costruzione di un sociale funzionale agli obiettivi che il potere si pone.Questi obiettivi non sono poi così nascosti, il capitalismo ha raggiunto un livello di arroganza e di onnipotenza senza pari ma ricordiamoci che per quanta immaginazione possiamo avere il capitale è già più avanti perché da molto tempo la maggior parte della sinistra di classe sembra aver perso le coordinate per analizzare il presente.

La strumentalizzazione da parte del sistema di potere della rivendicazione di diritti è già in atto da diverso tempo. Le soggettività oppresse invece di radicalizzare le lotte e porsi maniera antagonista e conflittuale si affidano allo Stato in un gioco delle parti tanto  ipocrita quanto perverso perchè chi chiede diritti sa che non gli verranno mai concessi veramente, il neoliberismo ha chiuso lo spazio della contrattazione, ma verranno promossi sul campo solo quelli/e che si presteranno al collaborazionismo con lo Stato e lo Stato sa non concederà mai nulla se non quello che è funzionale al mantenimento del suo controllo e del suo potere. Questo vale in tutti i campi da quello del lavoro a quello della violenza sulle donne, a quello delle soggettività Lgbtq…facendo strame di chi continua a subire vessazioni, violenza, sfruttamento. Nelle rivendicazioni viene così ,attraverso il collaborazionismo che propaganda l’immagine di una società democratica, attenta, sensibile, civile, disinnescata ogni carica e capacità socialmente destrutturante.

La <patriarcalizzazione della società>  si sta imponendo come strumento fortissimo di trasformazione dell’organizzazione sociale. Cosa intendiamo per patriarcalizzazione? Continua a leggere

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Podcast dell’iniziativa del 12 novembre 2023 con il Collettivo Sumud di Venezia

Podcast dell’Incontro/dibattito con il Collettivo Sumud di Venezia a partire dalla presentazione dell’opuscolo

( scarica  qui scr8)

UN ORGANO CHE TUTTO CONTROLLA

UN CONTROLLO CHE TUTTO ORGANIZZA

Smart control room a Venezia, polizia e giustizia predittiva, chip war e molte altre brutte cose!

clicca qui

“Quarantadue!” urlò Loonquawl. “Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?” “Ho controllato molto approfonditamente,” disse il computer, “e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda.” (Guida galattica per autostoppisti)

<È sempre più un lavoro complicato ed articolato, quello del cercare di relazionarsi al presente nel contemporaneo momento in cui esso si produce. Si rischia di rimanere intrappolati nel già-visto e nel già-noto, per un’incapacità radicata nell’aver smesso di farsi domande. Oppure proprio nella ricerca delle risposte esatte, di quelle nuove, si scambiano lucciole per lanterne. Le cause di questa difficoltà sono molteplici e, per non divagare troppo, pensiamo che una delle più esplicative sia quella del vedere il capitalismo come una “totalità indeterminata”, ovvero di un rapporto che esiste tra le cose, tra le persone, tra le classi, tra i territori, etc. che permea ogni singolo aspetto della nostra vita, dal più singolare a quello più collettivo e così facendo, essendo ovunque, essendo sempre più totale la sua presenza, diventa indeterminato, illeggibile. Essendo in ogni luogo, fisico ed ideale, non è mai, coerentemente, da nessuna parte. Sappiamo benissimo rispondere a come questo rapporto si produce e riproduce in maniera parziale nelle vite delle persone, ed è da questa certezza nelle risposte che abbiamo perso la fiducia nelle domande. È in questa riproposizione delle risposte che il capitalismo fa proliferare la sua indeterminatezza: quando questo rapporto (il capitalismo) si dà nuove forme, producendo nuove forme di organizzazione della vita, il più delle volte si perde la capacità di interrogarsi su di esse, concentrando l’attenzione sul “come rispondere”. Arrivano però dei momenti in cui le risposte lasciano l’amaro in bocca, e giunge perciò l’ora di tornare a farsi domande. Pensiamo di vivere questa necessità, e da essa vogliamo partire. Brancolare nel buio, procedere a tentoni, avere giusto delle idee (o meglio, delle domande) piuttosto che delle idee giuste (delle risposte), è ciò da cui nasce il tentativo di costruire questo lavoro. Non la certezza di saper rispondere a quanto succede, ma la felicità di interrogarsi su ciò che ci circonda e chi ci sta dentro. Partendo dalla necessità di approfondire un tema a noi vicino, quello della Smart Control Room (SCR) di Venezia e del suo funzionamento, per capirne le reali implicazioni e il suo reale portato. Da qui, ampliando lo sguardo per capire come si sta diffondendo il fenomeno di una cosiddetta “smart-city-zzazione” nelle altre città d’Italia e ricondurre questa “nuova frontiera dell’organizzazione” al contesto nazionale prima, che vede il “progetto Giove” come avanguardia di un nuovo modo di fare polizia, e a quello internazionale poi, intorno alla ridefinizione dei rapporti tra gli Stati in funzione della guerra per il controllo delle “terre rare”. Una sola nota “d’approccio”, più concettuale e terminologica che strettamente pratica, che esplicitiamo fin da subito, dal momento che andremo poi a concentrare l’attenzione su altro. Riteniamo che non ci sia nessuna “nuova fase”, nessuna nuova forma di dominio o controllo: quello che viviamo adesso è il prodotto più sensato, più ragionevole, della razionalità
capitalistica; questo è ciò che intendiamo con la formula “nuova frontiera dell’organizzazione”. Ci teniamo a precisarlo per abbandonare fin da subito un allarmismo che rischia di essere dilagante quando si parla di temi complessi che sono caratterizzati or ora da implicazioni nebulose, e che quindi sposterebbe l’attenzione sulle “forme sbagliate” che il capitalismo si dà, quando invece sono le forme più coerenti in cui il capitalismo si può attualmente manifestare. Ci pare scontato da dire, ma il problema è, ovviamente, alla radice un altro. Non ci si deve scandalizzare o stupire di quanto succede. Certo, il capitalismo si dà nuove forme inedite nella sua storia, ma non sono altro che i prodotti più logici e naturali di essa. Capire e studiare queste nuove forme è un passo imprescindibile per creare spazi di autonomia dai quali costruire i progetti rivoluzionari, ma bisogna sempre tenere a mente l’origine di tutto ciò. Ci teniamo a chiarire ciò fin da subito per impostare il lavoro nella maniera per noi più puntuale possibile.>

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Palestina in strada!

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