16 gennaio a Roma contro la NATO!

Come e perché il Comitato No Guerra No Nato partecipa alla manifestazione del 16 Gennaio contro la Nato

— Venticinque anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apriva la fase storica che stiamo vivendo.

Questa guerra, preparata e provocata da Washington, veniva lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stavano per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Approfittando della crisi del campo avversario, gli Stati Uniti rafforzavano con la guerra la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo.

La coalizione occidentale, formata da Washington, inviava nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 % statunitensi, agli ordini di un generale Usa. Per 43 giorni, l’aviazione statunitense e alleata effettuava, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciavano oltre 10 milioni di submunizioni. Partecipavano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, lanciavano l’offensiva terrestre. Essa terminava il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush.

La guerra del Golfo fu la prima guerra a cui partecipava, sotto comando Usa, la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione. I caccia Tornado dell’aeronautica italiana effettuarono 226 sortite, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense.

Nessuno sa con esattezza quanti furono i morti iracheni nella guerra del 1991: sicuramente centinaia di migliaia, per circa la metà civili. Alla guerra seguiva l’embargo, che provocava nella popolazione più vittime della guerra: oltre un milione, tra cui circa la metà bambini.

Subito dopo la guerra del Golfo, gli Stati Uniti lanciavano ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991).

La Nato, pur non partecipando ufficialmente, in quanto tale, alla quella guerra, mise a disposizione le sue forze e le sue strutture. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico varava, sulla base della guerra del Golfo, il «nuovo concetto strategico dell’Alleanza». Nello stesso anno in Italia veniva varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo nuovamente la Costituzione, indicava quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario».

Nasceva così la strategia che ha guidato le successive guerre sotto comando Usa – contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003, la Libia nel 2011, la Siria dal 2013 – accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del Pkk, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla strategia Usa/Nato, dall’uso di forze neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova guerra fredda e al rilancio della corsa agli armamenti nucleari.

Su tale sfondo il Comitato No Guerra No Nato ricorda la guerra del Golfo di 25 anni fa, nel massimo spirito unitario e allo stesso tempo nella massima chiarezza sul significato di tale ricorrenza, chiamando a intensificare la campagna per l’uscita dell’Italia dalla Nato, per una Italia sovrana e neutrale, per la formazione del più ampio fronte interno e internazionale contro il sistema di guerra, per la piena sovranità e indipendenza dei popoli.

Noi non mettiamo tutti sullo stesso piano. Questa guerra viene dall’Occidente. Il terrorismo viene dall’Occidente. La crisi mondiale viene dall’Occidente.

Tutti coloro che hanno firmato l’appello di questo comitato, e che ne condividono l’analisi e gli scopi, sono invitati a partecipare alla manifestazione romana del 16, e alle manifestazioni che verranno realizzate nei centri minori di ogni parte d’Italia, con queste precise posizioni. Noi chiediamo a tutti i cittadini italiani di unirsi a noi nella richiesta di un’Italia neutrale.

Comitato No Guerra No Nato

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Piovono madonne

PIOVONO MADONNE

bla dueIn questi giorni alcune compagne e compagni sono stati raggiunti da notifiche d’indagine e richieste di elezione di un domicilio legale, riguardo la solidarietà con lo spazio occupato dalle Cagne Sciolte.

Sembrerebbe che su 9 persone piova un’indagine riguardo il concentramento solidale davanti il cortile dello spazio in via Ostiense, avvenuto ad inizio novembre, mentre Acea e Carabinieri procedevano al distacco della corrente elettrica, minacciando fortemente l’autogestione, il percorso del collettivo e lo sportello antiviolenza “Una Stanza tutta per sé”.
Vi abbiamo già raccontato di quella giornata, dove grazie ai microfoni di Radio Onda Rossa un appello alla solidarietà raggiunse più di un centinaio di solidali che, conoscendo l’aria che tira in città, scelsero di non restare indifferenti davanti una possibile minaccia di sgombero.

Non ci stupisce infatti che venga colpita/o chi pratica la solidarietà nelle relazioni quotidiane, nel tentativo di imporre rassegnazione, paura e solitudine.

Come collettivo delle Cagne Sciolte continueremo a riunirci ed ad attivarci, con l’intenzione di far crescere sempre di più i nostri percorsi di lotta, perciò l’invito a partecipare è rivolto a tutte e tutti.
La necessità di raccogliere soldi per le spese legali sarà solo un’occasione in più per saldare le relazioni di solidarietà e mutuo appoggio.

Qui piovono madonne ma l’umore è alto.
Cagne Sciolte

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Pignarul

Pignarȗl

http://dumbles.noblogs.org/2016/01/04/pignar%c8%97l/

iniziative34Ci ispira questa opera di Ana Mendieta per illustrare il nostro fuoco epifanico di quest’anno.
Ana imprimeva il suo corpo nella terra, delle volte lo riempiva di acqua, delle volte di fiori, di fango, di colore rosso, di pietre o di fuoco. Questa immagine è quella del fuoco.
Figura di anima infuocata, nella e sulla terra dove, attraverso l’arte, lei cercava dialogava interloquiva.
Ci ispira sì, perchè la terra è sempre materia prima e il fuoco la trasforma e anche la consuma.
Con queste suggestioni ci troveremo mercoledì; l’appuntamento è alle 18,00 all’ex caserma Osoppo a Udine e questo qui sotto è il volantino che abbiamo condiviso.

“Se non faremo l’impossibile, vedremo l’incredibile”.Perché un Pignarûl?

Oggi come oggi non varrebbe la pena di ritrovarsi attorno ad un fuoco, senza alcun significato che giustifichi la combustione di un mucchio di legna con la conseguente produzione di CO2 e l’emissione di polveri sottili, a fronte di una situazione climatica sempre più anomala e che deve farci riflettere ed agire sulle cause che stanno portando l’umanità e il pianeta verso la catastrofe ecologica e sociale. Noi non rinunciamo a fare un piccolo Pignarûl, ma vogliamo lanciare un messaggio e un impegno che compensino abbondantemente il pur minimo impatto ambientale che esso può avere. Oggi dobbiamo guardare all’esito della direzione del fumo di un Pignarûl non con il tradizionale fideismo, ma con l’ottimismo della forza di volontà, perché da qualsiasi angolatura lo si guardi, il futuro che abbiamo di fronte sarà comunque negativo.

Gli orrori della storia

Siamo a un secolo dalla prima guerra mondiale; siamo a quasi tre quarti di secolo dalla seconda guerra e dalla sconfitta del nazi-fascismo; siamo a un quarto di secolo dall’inizio di una guerra permanente nello scacchiere medio-orientale (prima guerra del Golfo 16 gennaio 1991) che sembra senza vie d’uscita e i cui effetti collaterali si riversano oggi sull’intera Europa.

Per una Società Sostenibile

D’altro canto i tentativi di mantenere in vita l’economia capitalista della crescita illimitata in un pianeta limitato, perseverano come una mortifera coazione a ripetere, appena mascherata da impegni fittizi presi nei vertici internazionali (vedi Cop 21 del dicembre 2015 a Parigi). Quindi, per noi, il Pignarûl oggi, all’inizio di un nuovo anno, significa lanciare un messaggio d’impegno a largo raggio per stimolare le persone sensibili ad organizzarsi ed agire attraverso l’autogestione, per gettare le basi di una società futura che dovrà essere molto diversa da questa in cui viviamo.

Tepee tal Parco, Ateneo Libertario Friulano, Csa in esilio.

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Foto di famiglia

Foto di famiglia

di Rosalba Corradazzi

E’ uscito, nel dicembre 2015, un libro di Ottone Ovidi per le Edizioni Bordeaux, dal titolo “Il rifiuto del lavoro/ Teoria e pratiche nell’ autonomia operaia”

OVIDI-Il-rifiuto-del-lavoro-PIATTO-300x467

Io giudico un film bello se ha due requisiti, il primo se scorre velocemente, il secondo se ho voglia nel tempo di rivederlo. Questo vale anche per i libri. Questo libro si legge facilmente e si arriva con interesse fino in fondo.

E’ stato come aprire un cassetto con tante foto della propria storia che non è mai esclusivamente personale ma si intreccia con le vicende del paese in un unicum dove non c’è un prima e un dopo. Leggo dell’occupazione della Fiat Mirafiori da parte degli operai nelle giornate del 29 e 30 marzo del ’73 e subito per associazione di idee mi viene in mente l’antecedente che aveva preparato quell’avvenimento cioè lo sciopero degli operai della Fiat nell’aprile del ’69 per i fatti di Battipaglia. Gli operai in quell’occasione rompono il diaframma costruito artificialmente, proprio dai sindacati confederali, di divisione fra il momento politico e quello sindacale e smascherano che questa divisone era tenuta artificialmente in vita da chi voleva ricondurre le lotte ad un ambito meramente corporativo per poi attribuirne agli stessi operai la responsabilità. Continua a leggere

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Un anno di lotta

Un anno di lotta

da femmilistanocie

E’ appena terminato un anno che ha visto centinaia di proteste e lotte
portate avanti da migliaia di migranti nelle varie strutture presenti in
Italia.

I diversi acronimi ufficiali (CPSA – Centri di primo soccorso e
Accoglienza, CDA – Centri di accoglienza, SPRAR – Sistema di protezione
per richiedenti asilo e rifugiati, CARA – Centri di accoglienza per
Richiedenti Asilo, CIE centri di identificazione ed espulsione, Hotspot)
di queste strutture istituzionali non nascondono, per chi ci vive e
per chi vuole vedere, un sistema integrato di isolamento, segregazione,
controllo e selezione tra le persone arrivate in Italia.

Nei vari centri erano presenti, all’Ottobre 2015, 100.000 persone
migranti, il 70% delle quali nelle strutture temporanee.

Alle varie categorie nelle quali le persone vengono arbitrariamente
fatte rientrare (migranti economici, rifugiati, richiedenti asilo,
profughi, minori non accompagnati, donne vittime di tratta, diniegati,
in via di espulsione, transitanti, con o senza permesso di soggiorno,
ecc.) corrisponde un iter burocratico, una struttura, una serie di
regole e leggi e prescrizioni tra loro diverse ma che hanno in comune
l’annullamento dell’autonomia e della libertà delle persone, loro
malgrado, coinvolte.

Categorie giuridiche, anche nel cosiddetto “circuito dell’accoglienza”,
attraverso le quali s’intende rafforzare il sistema di controllo: è
proprio grazie alla frammentazione che si garantirebbe la gestione
“senza intoppi” ad enti quali cooperative, associazioni, consorzi e
multinazionali.

Un sistema di differenziazione che utilizza in maniera pretestuosa la
“protezione nei confronti dei soggetti vulnerabili”: la divisione in
quote permetterebbe l’integrazione dei soggetti migranti nei territori
ospitanti, seppur si tratti di persone di passaggio e con nessuna
intenzione di rimanere a lungo in luoghi mai scelti per vivere, i
piccoli centri consentirebbero una suddivisione in base alle necessità,
poco importa se, ad esempio, questo comporti la separazione di interi
nuclei familiari in base al genere e all’età.

Ciò che appare chiara è la necessità di dividere per gestire, in
strutture semi aperte che in base all’esigenza possano cambiare forma
giuridica e divenire detentive.

Con la mappa seguente, che descrive più di 230 proteste avvenute nei
vari centri nel 2015 (quelle che hanno avuto spazio sui mezzi di
comunicazione, senza contare le numerosissime proteste individuali e di
piccoli gruppi e quelle soffocate nella repressione senza alcun cenno
dei media) vorremmo evidenziare invece il protagonismo di chi lotta ogni
giorno contro questo sistema di gestione delle persone migranti.

Attraverso queste proteste viene fatta luce sulla realtà del
funzionamento di queste strutture. All’interno dei centri anche le più
piccole lamentele e reclami, quando non bastano le promesse o le minacce
dei gestori, vedono sempre l’immediato arrivo delle forze dell’ordine
per intimidire e “calmare gli animi”.

La lotta rappresenta perciò l’unico e necessario modo per far sentire la
propria voce. I blocchi stradali e le barricate improvvisate sulle
principali strade dove è presente la struttura, il danneggiamento dei
centri, l’occupazione degli stessi, la fuga in massa, i presidii davanti
a sedi istituzionali (Prefetture, Sedi Comunali, Questure, caserme), il
rifiuto di svolgere lavoro non pagato spacciato come lavoro
“volontario”, sono le forme con le quali si prende parola contro il
silenzio e l’invisibilità imposta e ci si ribella alle autorità.

Ad ogni protesta segue, sui media locali e nazionali, il ricorso alle
consuete tecniche di delegittimazione e criminalizzazione: la rabbia e
determinazione dei partecipanti viene sempre definita “irrazionale”, il
non accontentarsi di sopravvivere per anni in un limbo, ingratitudine;
vengono banalizzati i motivi delle proteste, la resistenza attiva viene
considerata sempre come un sintomo di follia e bestialità.

Nei giorni successivi alle iniziative di lotta dei e delle migranti le
autorità procedono alla loro vendetta: centinaia sono stati gli
allontanamenti dai centri e le denunce contro i partecipanti, decine e
decine gli arresti.

I democratici e le associazioni umanitarie spiegano le proteste nei
“centri di accoglienza” esclusivamente come reazione ad alcune storture
degli stessi, in particolare quelli gestiti da persone poco
raccomandabili, come nel caso di Mafia Capitale. Esisterebbe invece per
costoro, “un’accoglienza che funziona ed integra” (1), una vera
ospitalità da prendere ad esempio e replicare come quella del modello
toscano, da “estendere nell’Italia intera” (2) e , perchè no, in Europa.
Basta leggere le crude statistiche riguardanti i risultati (3) delle
richieste d’asilo esaminate dalla Prefettura di Firenze per valutare
questo idilliaco “modello toscano”: 1857 domande, 248 accolte e 1609 respinte (l’86,6%). Dietro le fredde cifre, il destino di migliaia di persone che verranno espulse.

Quanto detto non vale solo per l’Italia: dalla Germania alla Svezia,
dalla Svizzera alla Francia sono moltissime le proteste di chi è
incastrato nel circuito dei vari tipi di centri per migranti.

Rinnoviamo a tutt* l’invito a sostenere queste lotte, ad estendere la
circolazione delle notizie e delle iniziative, ad organizzare forme di
solidarietà attiva e a segnalare atti repressivi.

Per contatti : hurriya (at) noblogs.org .

a questo link trovate una mappa, dove cliccando sulle singole proteste
si apre il dettaglio con qualche informazione
http://hurriya.noblogs.org/post/2016/01/04/un-anno-di-lotte-contro-il-sistema-di-controllo-tra-accoglienza-e-detenzione

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Capodanno in Clarea, polizia molto nervosa

Capodanno in Clarea, polizia molto nervosa

clareacapodanno

E non gli va proprio giù il fatto che, come a Natale, a Capodanno i No Tav abbiano deciso di festeggiare l’arrivo del 2016 in Clarea.

Forse pensavano di fare un brindisi di fronte alla talpa su cui è crollato un pezzo di parete del tunnel geognostico e poi perdersi in nostalgici racconti  sulle imprese di nazionali di “ordine pubblico”…Invece no, anche ieri sera i No Tav hanno rinnovato il loro impegno nella lotta e dopo un’allegra e partecipata cena al presidio di Venaus ci si è mossi verso la Clarea e le reti del fortino.

Come a Natale, anche ieri notte la polizia ha risposto con scudi, idranti e minacce a delle semplici azioni di disturbo come la battitura e i cori contro un cantiere che devasta la nostra terra.

A quanto pare più passa il tempo e più diventano suscettibili, quasi a voler rivendicare il diritto a starsene tranquilli dentro il fortino. Ambizione del tutto fuori luogo la loro.

Nonostante le loro violenze alla fine si è tornati insieme verso Giaglione, contenti di aver anche questa volta lasciato il segno.

Fina alla prossima, che non tarderà ad arrivare.

Resisteremo molto ma molto più di loro.

Buon inizio 2016 a tutti e tutte!

 

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#Io sto con Sara

#Io sto con Sara

Sara Catola,delegata sindacale dell’Ipercoop di Livorno  licenziata dall’azienda.

“Passo, ma non chiudo. Ho da portare nel 2016 qualcosa che ha segnato il mio 2015: la mia famiglia, i miei colleghi, i miei compagni del sindacato, ma soprattutto me, lavoratrice, madre e donna.
Nel 2016 che sta per iniziare affronterò il percorso legale presso il Tribunale del Lavoro di Livorno, dove verrà giudicato il mio licenziamento. Mi faccio forza e coraggio, attraversando spesso giorni bui e apatici, che non hanno senso, perché i miei giorni erano pieni del mio lavoro anche se part time, come addetta, come delegata sindacale e poi, anche dopo i turni, anche nei momenti con i miei figli, il legame con il mio posto di lavoro non si spezzava mai. E spesso sono crollata in questo lungo mese e mezzo. Ma come dicevo, ho intorno persone che da lontano ogni giorno hanno pensato a me.
Mi hanno scritto, telefonato, suonato al campanello, fatto foto con il cartello “Io sto con Sara” e postate su questa pagina. E soprattutto portato quello che doveva essere il mio stipendio di dicembre. Il gesto di questi miei colleghi ha per me un valore assoluto, perché io so cosa significhi aspettare i cosiddetti mesi doppi, significa sdebitarsi di qualche bolletta arretrata, niente di più, perché i nostri stipendi non permettono follie.
Non so come andrà a finire, continuo a sperare in tutto ciò che di buono ho fatto nei miei 13 anni di lavoro, e nel desiderio di poter tornare su quel banco a fare il mio lavoro che tanto mi piaceva. Spero che arrivi presto il verdetto. L’oblio, l’incertezza economica… Essere licenziati così è devastante. Però io cammino a testa alta e il mio orgoglio è sempre vivo così come la mia voglia di battermi contro le ingiustizie.
A tutti quelli che mi danno solidarietà e sostegno voglio fare i migliori auguri per un 2016 sereno, pieno di salute e di cose belle.
Buon anno colleghi amici e compagni. Sara”

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Cesarina Carletti

Cesarina Carletti/31 Dicembre 1988

Cesarina Carletti era figlia di operai, di famiglia antifascista. Il padre, anarchico, era stato ucciso di botte il 29 maggio 1940 dai fascisti della casa Littoria. Intraprese gli studi classici ma, superato il primo anno di liceo, le fecero capire che per il diploma era necessaria la tessera di “giovane fascista”; a quel punto mollò gli studi.

Cesarina fu una partigiana nelle valli di Lanzo, militò nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Il 10 dicembre 1943, fu ferita in combattimento contro fascisti e nazisti  a Mezzenile: “… siccome io avevo un odio terribile perché avevano ammazzato mio padre, ho fatto una sventagliata con il mitra e mi sono tirata su di scatto e… m’han colpita“.

Cesarina venne arrestata e torturata per cinque giorni nella “casa littoria”. Poi venne trasferita nella caserma di via Asti, dove continuarono le torture e i durissimi interrogatori. I fascisti la consegnarono poi ai tedeschi. Per tre giorni venne torturata nel quartiere generale tedesco, poi trascorse sette mesi alle “Nuove”. Cesarina non parlò e venne condannata a morte. La condanna fu poi tramutata nella deportazione in un lager tedesco: Ravensbruck.

Nel ’48, dopo l’attentato a Togliatti, stette tre giorni e tre notti col mitra, vestita da partigiana, ad aspettare il famoso campanello. “Il terzo giorno – dice – il capo ha perdonato, non si fa più nulla”. Entrò poi in rotta di collisione con i dirigenti del partito, da cui era considerata troppo estremista.

Si allontanò così dal Pci e venne in contatto con Lotta Continua e Potere Operaio, e con loro andò alle manifestazioni, come quella di Corso Traiano: “...qui finalmente è arrivata la rivoluzione, perché una cosa come Corso Traiano… io non la vedrò mai più, una cosa così bella, mai più…”, ricordò.

A 63 anni venne arrestata nell’ambito di un’inchiesta sulle Br, per essere stata trovata in possesso di alcuni volantini e per aver ospitato un brigatista. Due giorni dopo l’arresto, venne liberata. In quel periodo si guadagnava da vivere dietro ad un banco a Porta Palazzo ed era conosciuta da tutti come Nonna Mao. Al collo teneva sempre una collanina dorata alla quale aveva appeso una piccola falce e martello.

Nonna Mao morì a Torino il 31 dicembre 1988.

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Joan Baez-Joe Hill

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Siamo tutte prigioniere politiche!

Siamo tutte prigioniere politiche!

Liberiamo chi sta in galera, liberiamo chi sta nei Cie, liberiamo i militari dichiarati disertori…

Siamo tutte prigioniere politiche

Liberiamo chi è costrett* a andare a scuola, liberiamo chi va al lavoro, liberiamo questo mondo dal lavoro salariato…

Siamo tutte prigioniere politiche

Liberiamo quell* della scala B che si affidano al televisore, e che chiudono la vita nella coppia e nella famiglia….

Siamo tutte prigioniere politiche

Liberiamo il nostro corpo, liberiamo l’immaginazione, liberiamo la ragione, prepariamo la rivoluzione…

Siamo tutte prigioniere politiche……..

Per un 2016 di lotta, buon anno a tutt*!!!!!!!!

Immagine. 3 png

da “Liberiamo” di Manfredi, rivista e corretta in chiave femminista.

 

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Storia e memoria-8 marzo 1972

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L’occhio del paDrone

L’occhio del paDRONE

http://dum.org/2015/12/23/locchio-del-padrone/bles.noblogs

Antipatie22A Udine è arrivato il drone urbano: terrà d’occhio gli angoli più nascosti della città, aumenterà la sicurezza dei cittadini e permetterà di bypassare ostacoli senza fatica, effettuando riprese dall’alto da mettere a disposizione di polizia e carabinieri.
Non bastavano, tra private e comunali, 700 telecamere, no.
Non bastavano perchè tanto investimento tecnosecuritario, per un verso è stato un flop, dal momento che i ladri agiscono col volto coperto o mettono fuori uso gli impianti; per l’altro invece, quando si deve tenere a bada la contestazione e la protesta, nulla è mai abbastanza.
Perciò quelli del Protocollo di videosorvegliare (e punire) hanno pensato bene di dotarsi del trabicolo spione… perchè non c’è intervento securitario che non metta al primo posto la sicurezza dell’esercizio del potere che deve sempre sapere chi sei e cosa fai soprattutto se gli fai contro.

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Cesaria Evora-Sodade

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Yeliz Erbay e Sirin Oter

“La rivoluzione delle donne, guerriere coraggiose: la vostra strada è la nostra strada”

Ieri ci sono stati i funerali a Istanbul, nel quartiere di Gazi, di Yeliz Erbay e Sirin Oter, due giovani militanti comuniste assassinate nella notte tra lunedì e martedì nel corso di un blitz dei reparti antierrorismo in un appartamento della metropoli sul Bosforo.  In un comunicato il Consiglio socialista delle donne (SKM) ha accusato le forze speciali di aver giustiziato le due militanti nonostante fossero già inermi e ferite. “Il potere sanguinario giustizia le donne per indurle alla sottomissione.Me le donne socialiste hanno scelto la resistenza non la sottomissione.”  Ieri i manifestanti aderenti a varie organizzazioni della sinistra rivoluzionaria turca hanno sfilato dietro uno striscione sul quale era scritto: “La rivoluzione delle donne, guerriere coraggiose: la vostra strada è la nostra strada”.

https://www.youtube.com/watch?v=araB1meg1uQ&feature=player_embedded

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Volantinaggio con Angela

Volantinaggio con Angela, licenziata perchè No Tav

Volantinaggio con Angela, licenziata perchè No Tav

angelaSabato 19 dicembre si è organizzato insieme ad Angela, licenziata del direttore del carcere delle Vallette Minervini perchè troppo vicina ai No Tav e quindi un “problema di sicurezza”, un volantinaggio presso il negozio Marte di Torino, un negozio temporaneo che offre i prodotti realizzati dai detenuti delle carceri piemontesi e finanziato dalla Compagnia San Paolo.

Nel comunicato stampa in cui la Compagnia di San Paolo presenta il progetto, dimentica di annoverare tra gli eleganti prodotti di qualità della Casa Circondariale Lorusso-Cutugno i provvedimenti anticostituzionali e discriminatori che il direttore Minervini non è nuovo a portare avanti.

Uno dei più recenti è stato infatti il licenziamento di Angela, che ha perso la sua unica fonte di reddito a causa della vicinanza col Movimento No Tav.

Il volantinaggio davanti al punto vendita “Marte”, organizzato con la speranza di ricordare ai sensibili avventori che quelle vetrine, assolutamente poco aderenti alla realtà che si respira e si vive in sezione, servono più al buon nome di Minervini che a costruire benessere per i detenuti che per quelle cooperative lavorano.

Angela lavorava come educatrice a partita Iva all’interno del blocco E del carcere di Torino, in convenzione con l’associazione Morgana e in una struttura comunitaria dedicata a persone con dipendenza da sostanza coogestita col Sert di Corso Lombardia.

Dopo aver perso il lavoro a fine settembre per i vaghi “motivi di sicurezza” già citati, ha avuto accesso solo a fine novembre (e dopo due lettere di sollecito del legale) agli atti con cui il direttore ha deciso di allontanarla.

Gli atti recitano: “Quest’ultimo (provvedimento) è stato adottato in quanto la Giordano ha pubblicamente sostenuto le condotte violente perpetrate da soggetti ristretti in carcere” e a sostegno di tale perentoria e altisonante affermazione compaiono le foto degli arrestati di inizio settembre per un’azioni di lotta in Valle.

La prova schiacciante però, volta a giustificare in modo inconfutabile il fatto di aver tolto il lavoro ad una madre, è riassunta nella segnalazione che due zelanti agenti al cancello di ingresso del carcere hanno steso il giorno 11 settembre quando Angela, all’uscita da lavoro, si era fermata a salutare alcune delle persone che attendevano l’uscita dei ragazzi arrestati: “..e, con fare amichevole e confidenziale li abbracciava baciandoli sulla guancia, oltre a intrattenersi con loro per alcuni minuti”.

E’ proprio questo “gravissimo” episodio alla base della proposta che il comandante di reparto porta al direttore scrivendo: “Si propone la revoca dell’autorizzazione non potendo un operatore condividre idee e valori antisociali e contrari all’ordine e alla sicuirezza”.

Poco importa che il direttore del carcere si sia “dimenticato” di inviare nei tempi previsti dalla legge la proposta di revoca al magistrato di sorveglianza, come altrettanto poco importa capire la situazione: il presidente del Tribunale di sorveglianza a fine novembre appoggia la revoca.

Mentre Lor Signori erano impegnati a scrivere e sottoscrivere decisioni ingiuste e discriminatorie, si è chiesto l’intervento anche di Mellano, garante regionale dei diritti dei detenuti, nonchè una risposta tramite un’interpellanza parlamentare: per ora nessuno dei due tentativi ha avuto alcun seguito.

Angela nel dossier distribuito durante la manifestazione dell’8 dicembre (che riunisce tutti i documenti ufficiali che hanno accompagnato questa vicenda) conclude sottolinenando che la forte solidarietà che l’ha circondata ha rinforzato l’intenzione di non voler accettare un’ingiustizia tanto evidente presa all’interno di quel fortino apparentemente inespugnabile.

Per questo motivo oggi il suo legale Roberto La Macchia ha presentato istanza di ricorso al Tar.

Continueremo a sostenere Angela e la sua lotta, per porre fine a questa criminalizzazione del movimento e di tutti i sui attivisti.

Solidarietà No Tav ad Angela!

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