Da i Nomi delle Cose dell’ 11/12/2013
colloquio con Nicoletta Poidimani
https://ia600708.us.archive.org/10/items/Nicoletta_201401/Nicoletta_201401_vbr.m3u
Da vittime a soggetti. Laboratorio postvittimista
Quella che segue è la sintesi di un laboratorio che da oltre un anno sto portando in luoghi molto differenti tra loro, dalle università a situazioni di movimento. L’obiettivo è quello di fornire strumenti critici che permettano di individuare alcuni dispositivi vittimizzanti per decostruirli in prospettiva postvittimista.
Nella prima parte del laboratorio si analizzano i dispositivi di costruzione sociale dei due generi, femminile e maschile, per poi porre una particolare attenzione al ruolo svolto dalle immagini vittimizzanti nel “naturalizzare” la contrapposizione uomo>forte/donna>debole (aspetto, questo, su cui qui non mi soffermo, rimandando al mio Oltre le monocolture del genere). Viene poi proposta una galleria delle immagini più ricorrenti che accompagnano gli articoli dei giornali on-line su casi di violenza contro le donne o che sono state utilizzate in campagne antiviolenza anche internazionali, rilevando il processo di indebolimento delle donne veicolato e rafforzato da queste rappresentazioni. Si mostrano, successivamente, alcuni esempi di immagini e campagne non vittimizzanti, rilevando come la stragrande maggioranza delle immagini utilizzate corrisponda al primo gruppo, mentre è assai raro trovarne del secondo.
La seconda parte del laboratorio si svolge in gruppi; ciascun gruppo deve individuare una tematica riguardante una delle innumerevoli forme di violenza maschile contro le donne e costruire una campagna di taglio postvittimista elaborandone slogan ed immagini. Dopo di che ciascun gruppo presenta la propria campagna e se ne discute collettivamente.
Ovviamente questo laboratorio è copyleft e auspicabilmente riproducibile; chiedo solo che se ne nomini, per correttezza, l’ideatrice…
Dopo anni di paziente lavoro da parte delle donne, il termine femminicidio è entrato a far parte del linguaggio mediatico. Ma, d’altra parte, non è cambiata la rappresentazione delle bambine, delle ragazze e delle donne di tutte le età contro le quali cui è indirizzata la violenza. I giornali on line, ad esempio, quando scrivono di casi di abusi/violenze domestiche/violenze sessuali, spesso accompagnano il testo con immagini oggettificanti e vittimizzanti.
Tali immagini, esattamente come quelle utilizzate nelle pubblicità, nella stragrande maggioranza dei casi rappresentano parti del corpo e solo di rado il corpo intero, per altro con il volto nascosto – dalle mani o da altro.
Queste rappresentazioni, così come i contenuti degli articoli stessi, intrisi di morboso voyeurismo, sortiscono come effetto l’indebolimento delle donne stesse.
Il medesimo dispositivo viene spesso riproposto anche nelle campagne antiviolenza.
Se il modo in cui le donne vengono rappresentate è lo specchio della società in cui si vive, occorre distruggere queste rappresentazioni per liberare l’immaginario e mettere in atto un mutamento radicale nella relazione con noi stesse e tra generi. Anche cominciando a rappresentare la nostra forza di reagire possiamo sviluppare la fiducia in noi. Proviamo, allora, ad avventurarci in un percorso che ci fornisca strumenti critici per analizzare i processi socio-culturali di indebolimento delle donne ed affrontare la violenza contro le donne da una prospettiva post-vittimista, con una particolare attenzione alle strategie di empowerment – inteso come processo continuo di sviluppo di competenze e capacità e di recupero dei nostri saperi e desideri.
Mostrerò, ora, alcune tra le più frequenti immagini vittimizzanti utilizzate dai media on line e dalle campagne antiviolenza. L’uso ricorrente di queste immagini rischia di rendercele, in qualche modo, quasi familiari, ma vederle tutte in una volta ne rovescia l’effetto, rompendo la consuetudine, e le rende ancor più eloquenti, smascherandone la strategia sottesa.