Le riflessioni dell’estate
Piccolo passo/2
[…] La maschera bianca è un percorso su un tema che riteniamo fondamentale nella fase attuale della lotta femminista. Abbiamo deciso di affrontare un nodo centrale dell’oppressione patriarcale di questo momento storico proprio perché siamo convinte che ogni momento che noi attraversiamo ha i suoi modi specifici di mettere in atto l’oppressione nei nostri confronti e il neoliberismo, infatti, ha una modalità precisa e specifica. Se non si affrontano gli snodi, cioè quei passaggi che caratterizzano il momento storico, si rischia di usare categorie di analisi e strumenti di lotta che appartengono a un periodo che non esiste più, a una società a cui continuiamo a fare riferimento ma che nei fatti è superata: stiamo attraversando un cambiamento epocale, una trasformazione socio-economica profondissima e se usiamo strumenti inadeguati, le lotte, paradossalmente, non solo non sono incisive ma addirittura possono supportare il sistema di potere.
Di fatto è necessario ripartire dal “che cos’è il patriarcato” perché il patriarcato è un modello economico, tanto più nella strutturazione che ne ha dato il capitale. Esso prevede un nucleo produttivo gerarchizzato in cui vengono definiti in maniera precisa i ruoli sessuati, e ciò in vista di una produttività ottimale: perché questo di fatto è lo scopo (non è che il patriarcato si diverte a distribuire oppressione a destra e a manca così per gioco). Il ruolo maschile è dominante, quello femminile subordinato.
A questa configurazione fondante che si è strutturata nel capitalismo, il capitalismo neoliberista ha apportato delle varianti, perché anche il capitale si modifica e anche il capitale si pone nel suo percorso di autoespansione in modi diversi.
Le lotte di classe e quelle femministe degli anni ’60 e ’70 da un lato e la ridefinizione degli assetti capitalistici dall’altro hanno portato dei cambiamenti nello specifico dell’oppressione di genere attraverso l’emancipazionismo. Le donne hanno conquistato la possibilità del lavoro all’esterno e sono state quindi investite anche del lavoro produttivo, ma non per questo sono state sgravate da quello riproduttivo e di cura; anzi, la scelta neoliberista dello smantellamento dello stato sociale provoca uno sfruttamento doppio in quella che Silvia Federici definisce una «nuova accumulazione primaria».
Il neoliberismo ha la caratteristica di porsi, con l’ipocrisia senza confini che lo definisce, come una società che tutela i diritti umani, quelli delle donne, quelli delle diversità sessuali, come una società “antirazzista, antisessista, antifascista”, tollerante, includente, democratica. Attraverso il politicamente corretto, poi, porta avanti tutta una serie di modalità di approccio al sociale che dovrebbero garantire la migliore società possibile.
Questo percorso di analisi lo abbiamo intitolato «la maschera bianca» perché tra le costruzioni che riguardano la razza e il sesso c’è un rimando continuo, e molto simili sono i meccanismi che a queste due matrici di oppressione fanno capo. Ci sono delle connessioni strettissime tra l’integrazionismo che caratterizza la relazione con le immigrate e gli immigrati e l’emancipazionismo, meccanismo fondante del rapporto che la struttura neoliberista instaura con le donne.
In questo parallelo tra la modalità di porsi del neoliberismo nei confronti delle immigrate e degli immigrati e la modalità di porsi nei confronti delle donne abbiamo trovato un supporto molto utile nelle analisi di Colette Guillaumin, femminista materialista francese che ha portato avanti dagli anni ’70 degli studi estremamente importanti sul razzismo e il sessismo e sugli stretti legami tra le modalità proprie di queste oppressioni.
Le razze non esistono: sono fatti sociali, non realtà.
Di fatto, è il razzismo come ideologia che produce la nozione di razza e non la razza che produce il razzismo; e le razze come i sessi, essendo costruzioni sociali, sono una forma di ideologia ancorata ad una naturalizzazione dei fenomeni sociali.
Prima di tutto vengono individuate delle caratteristiche di alcuni gruppi e queste caratteristiche vengono definite come naturali e definendole come naturali si nascondono, chiaramente, quelli che sono invece i percorsi socio-economici che le hanno definite.
Guillaumin parla di «marchi»: il marchio è la base della classificazione dei gruppi umani e li pone in un ordine gerarchico che a sua volta è basilare per la formazione dell’ideologia razzista. La prima forma di marchiatura serviva a rendere visibili le forme di relazione tra i gruppi sociali. Per esempio possono avere questa funzione determinati vestiti, ma anche marchi indelebili fatti direttamente sul corpo, come i marchi che venivano messi agli schiavi e alle schiave e ai deportati e deportate. Nell’Ottocento, invece, si passa ad un marchio così detto naturale, cioè che qualifica come naturali le caratteristiche dei gruppi sociali, volendo quindi occultare le vere relazioni sociali, e offuscando il legame di subordinazione.
Il legame tra il razzismo e il sessismo è molto stretto perché è l’individuazione di caratteristiche che provoca il concetto di differenza.
Le donne diventano un gruppo per differenza.
Il maschio non viene nominato mai. Il maschio occidentale non viene nominato mai perché lui è, esiste, è già, è di per sé; le donne vengono nominate in quanto donne perché non sono quello che esiste in virtù di un assunto dato. E così anche per la razza: il bianco è, non viene nominato, gli altri appartengono alla gente di colore.
Poi entra in ballo la legge e il conseguente concetto di legalità, che tanto si è radicato nel comune sentire di questa fase neoliberista, codifica tutto quello che abbiamo detto finora. Così, come dice Colette nella citazione che abbiamo riportato in apertura, «il carattere “naturale” (la razza, il sesso) essendo divenuto una categoria legale, interviene nei rapporti sociali come tratto costrittivo e imperativo».
Ancora, a proposito dei legami tra sessismo e razzismo, un passo di Etienne Balibar del 1988: «in altri termini ciò che accade non è che camminano in parallelo un razzismo etnico e un razzismo sessuale o sessismo, ma piuttosto razzismo e sessismo funzionano insieme, in particolare un razzismo presuppone sempre un sessismo».
In effetti, tra uomini e donne si è sviluppata storicamente un’asimmetria. Senza entrare nei modi e nei termini di questa, vogliamo ora solo notare che è un’asimmetria per cui le donne sono “differenti” dagli uomini, mentre gli uomini non sono “differenti”, gli uomini sono. La differenza sessuale è stigma di un antico rapporto di dominio e di sopraffazione, è l’emblema dell’ideologia naturalizzante dei rapporti sociali tra i sessi.
A questo punto è importante introdurre una nota.
Il razzismo, come il sessismo, non si presentano sempre sotto le stesse vesti, cambiano a seconda di come lo ritiene opportuno la società in cui siamo infilate, in questo caso cambiano a seconda di come ritiene utile il neoliberismo.
Sempre da Colette Guillaumin: «mentre l’idea di una barriera somatica rappresenta un tipico, non ambiguo, credo razzista» cioè quello è nero, è fatto così, è fatto colà, «c’è una certa ambiguità nel parlare astrattamente di differenze culturali noncuranti delle relazioni attraverso le quali i gruppi coinvolti vengono costituiti. Sotto certi aspetti questo trend antirazzista moderno rappresenta soltanto una continuazione dell’atteggiamento razzista tradizionale»[…]