Materiali di riflessione
Secondo passo
“Lo sciopero delle donne: interclassismo e spoliticizzazione.”
Che cosa significa “sciopero delle donne” ? Interrompere il lavoro che una donna presta, di qualunque tipo esso sia e a qualunque titolo, significa far pesare alla controparte, in questo caso allo Stato quanto conti il lavoro delle donne nella società.
E’ quindi una richiesta di riconoscimento.
Ma una richiesta di riconoscimento è tutta interna al sistema, sia al patriarcato sia al capitalismo, che ha assunto il patriarcato a seconda delle sue esigenze, e, in questo momento specifico, rispetto alle esigenze della sua fase neoliberista.
Quindi la richiesta può essere riassunta in questi termini: se io non vengo riconosciuta per quello che valgo in questa società e per l’apporto che do, mi rifiuto di lavorare, e, allo stesso tempo, se la mia vita non vale e quindi non vengo tutelata dalle istituzioni rispetto alla violenza maschile, io mi rifiuto di dare il mio apporto a questa società.
E’ quindi una richiesta non solo di riconoscimento ma anche di tutela.
Ma il patriarcato è una configurazione economica piramidale, gerarchizzata, autoritaria in cui la parte maschile è investita del ruolo guida e la parte femminile è in una posizione subalterna. E questo per una efficace messa al lavoro dei soggetti. Chiaramente il patriarcato viene assunto e reimpostato dal sistema a suo uso e consumo ed, infatti, il capitale, in questa sua fase, attraverso l’emancipazionismo ha caricato le donne anche del lavoro all’esterno in modo da ottenere due risultati: sfruttarle anche come salariate e inglobare, quelle che si prestano, nelle situazioni di comando e/o di potere e/o di trasmissione dei valori neoliberisti così che sostengano il sistema e perpetuino lo sfruttamento di tutte le altre e degli oppressi tutti. L’emancipazione delle donne è, comunque, sempre, sub iudicio, perché la loro condizione di lavoratrici in cui sono soggetti di serie B, è evidente nel diritto che il capitale si arroga di rimandarle “a casa” qualora il loro lavoro non serva più o la loro disponibilità non sia più utile. E per far questo non occorrono leggi o proclami speciali, basta che attraverso i canali con cui il sistema produce egemonia culturale, faccia passare segnali ad hoc……la maternità è bella…le femministe casalinghe che rifiutano la carriera… le donne che lavorano sono troppo stressate…è necessario recuperare i valori del tempo dedicato a se stesse e alla famiglia… il lavoro è un falso mito… e così via a seconda di quello che serve.
Ma il lavoro principale che il sistema pretende dalle donne, a titolo tra l’altro gratuito, è quello riproduttivo e di cura, ed è questa la grande vittoria del patriarcato, aver fatto passare per “naturale” un lavoro vero e proprio e averlo fatto passare per “non-lavoro”.
Quindi, scioperare come donne significa interrompere il lavoro che possiamo definire “all’esterno” o anche il lavoro di cura e riproduttivo che è il nodo centrale del nostro asservimento patriarcale? E se interrompere il lavoro di cura può essere tutto sommato fattibile, come si interrompe il lavoro riproduttivo? A meno che il lavoro riproduttivo non venga identificato con il lavoro sessuale, ma è una visione limitata ed è una forzatura, visto che il lavoro sessuale è un’altra attività vera e propria che ci viene accollata sia che sia a titolo oneroso che a titolo gratuito.
Fondamentalmente quindi scioperare significa far presente alla controparte che le donne lavorano nella società a tutti i livelli e che quindi pretendono riconoscimento e tutela dallo Stato.
Ma tutto questo non ha niente di femminista e tantomeno di rivoluzionario, anzi è una dichiarazione esplicita di subalternità sia al maschile che allo Stato perché si chiede alla controparte riconoscimento della propria esistenza.continua qui
-Le cose dette,quelle non dette, quelle taciute e le parole vuote
-Sciopero delle donne. Di chi? con chi? per chi?
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