Un’intervista con Silvia Federici
Intervista a Silvia Federici pubblicata sul sito https://www.woz.ch/-8cd5 e tradotta in francese dai compagni di edizioni Entremonde. Traduzione dal francese della Coordinamenta.
“Pensano veramente che siamo stupide?”
Silvia Federici lei è una femminista marxista, Che cosa ha ereditato da Marx?
– Non mi definisco una femminista marxista, anche se altri lo fanno. Mi separo da Marx su punti fondamentali benché la sua analisi abbia fortemente influenzato il mio lavoro. Abbiamo bisogno di Marx per capire il nostro mondo attuale e le dinamiche della perpetuazione del capitalismo. Marx apportò un contributo importante alla teoria femminista per esempio con la sua tesi centrale che non esiste “natura umana”, ma che attraverso alcune lotte e in base alle condizioni economiche, le persone sono quello che sono. Ci ha aiutato a rompere l’immagine della femminilità eterna e della sua concezione essenzialista.
E quali sono le sue differenze fondamentali con Marx?
-Nella campagna per il Salario al lavoro Domestico siamo state estremamente critiche nei confronti di Marx e della tradizione politica che lo ha seguito negli anni ’70 secondo la quale il lavoro industriale è quello che contribuisce maggiormente all’accumulazione capitalistica. Questo fa dell’operaio della fabbrica un soggetto rivoluzionario. Che Marx analizzi il capitalismo come un sistema di sfruttamento è centrale- perché <sfruttamento> significa che il lavoro non remunerato è estratto e accumulato. Situandoci dal punto di vista dell’ambito domestico, tuttavia, abbiamo potuto osservare che Marx ignora un’immensa parte del lavoro che è fondamentale per la riproduzione del capitale, vale a dire la riproduzione del lavoro :mangiare, dormire, i rapporti fisici, produrre i lavoratori della prossima generazione. Marx non ha visto che questo altro lavoro era già regolamentato dallo Stato all’epoca.
In che modo?
-Noi sappiamo che lo Stato ha introdotto delle punizioni per controllare la sessualità femminile. Già il reverendo Thomas Malthus era molto preoccupato per la classe operaia alla fine del XVIII secolo che, secondo lui, si riproduceva troppo. Il suo pensiero politico era per l’abolizione di tutte le forme di assistenza per le famiglie numerose, come era in Inghilterra all’epoca. Malthus era un uomo terribile, ma si è reso conto che c’erano delle lotte per il corpo, la sessualità e la riproduzione e che il numero dei bambini nati nella classe operaia influenzava il mercato in un modo o nell’altro. Marx non vide che la politica demografica faceva parte della politica della classe capitalistica.
Che cos’è che Marx non ha visto esattamente?
-Quando Marx parlava dei bisogni riproduttivi dell’operaio, non parlava che di cose che potevano essere comprate come il nutrimento, il riscaldamento, i vestiti e la casa. Non una parola su sesso! Ma il sesso è una delle cose più essenziali nella vita! Ora, Marx non fa nessuna distinzione tra gli uomini e le donne in termini di sesso e di riproduzione. Ha ignorato le lotte importanti contro i controlli dello Stato sull’aborto e l’interdizione della contraccezione che cercavano di regolare i corpi femminili. Lotte come quelle che vengono portate avanti dalle prostitute come lavoratrici che offrono servizi di riproduzione. Per Marx le prostitute sono vittime della povertà e della corruzione. Non si rendeva conto a qual punto fosse fondamentale la persecuzione sistematica delle donne nella transizione dal feudalesimo al capitalismo, una persecuzione che consolidava il patriarcato e costituiva una divisione profonda nel proletariato.
Che cos’è specificamente capitalista in queste politiche del corpo?
-Dal punto di vista capitalista la sessualità che non serve alla riproduzione, che è dunque improduttiva, deve essere impedita. Nel mio libro “Calibano e la strega” ho analizzato il legame tra la politica demografica e l’organizzazione del lavoro nella prima fase dello sviluppo capitalista. All’inizio del periodo moderno sono stati fatti degli sforzi per concentrare più lavoro possibile. I contadini sono stati cacciati dalle loro terre creando un proletariato dipendente dai salari. La tratta degli schiavi ha prodotto ugualmente una massa enorme di lavoratori e di lavoratrici senza diritti.
Qual è stata la differenza rispetto alla situazione antecedente?
-A differenza dei sistemi precedenti, ricchezza e potere non erano più assimilati ad un territorio ma al numero delle lavoratrici e dei lavoratori. I mercantilisti, ad esempio, hanno cercato di analizzare questo nuovo sistema sostenendo che la ricchezza di una città o di una nazione dipendeva dal numero di poveri, intesi come persone costrette a lavorare a causa della prospettiva di morire di fame, che albergava in una città. La mia teoria è che questo nuovo interesse per la demografia ha prodotto una scienza del tutto nuova con nuove pratiche e censure. Questa registra chi si sposa, chi nasce, chi muore. Tutto questo è legato alla presa di coscienza che è il lavoro la nuova fonte di ricchezza.
E in che modo si è formata la figura della moderna casalinga seguendo questi sviluppi?
-Ci sono molte fasi nell’organizzazione della riproduzione, ma una sezione cruciale dal XV secolo fino ad oggi consiste nella separazione della produzione dalla riproduzione dopo che l‘economia di sussistenza è stata largamente resa impossibile. Non c’è niente di precapitalistico nel concetto di lavoro domestico. Le donne hanno cominciato a fare del lavoro riproduttivo, soprattutto presso i ricchi, man mano che la produzione diventava sempre più un ambito maschile. Con la rivoluzione industriale numerose donne sono arrivate nelle fabbriche come salariate, cosa che ha provocato una crisi a livello europeo in pieno XIX secolo: l’intensificarsi dello sfruttamento del lavoro ha portato alla morte delle lavoratrici e dei lavoratori giovani e le proteste si sono estese. Le riforme ulteriori hanno in seguito creato la forma moderna della casalinga. Il lavoro riproduttivo è stato ristabilito in favore del lavoratore e della sua forza lavoro. A partire dal 1860 una nuova costruzione ha fatto la sua apparizione negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Germania con il reddito familiare: l’uomo merita uno stipendio per la moglie <non attiva>.
Qual’ è quindi questa classe capitalista di cui parla?
-La classe dominante è quella che controlla gli investimenti capitalistici. Quelli che hanno la terra e i mezzi di produzione. Oggi sono le grandi imprese, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e gli Stati-Nazione.
Per Karl Marx l’industrializzazione e l’economia erano la locomotiva che ci avrebbe spinto in un futuro libero. Walter Benjamin, d’altra parte vedeva la rivoluzione come un freno di emergenza nello sviluppo capitalistico guidato dall’industrializzazione e dalla tecnologia. Chi le è più vicino?
-Chiaramente Benjamin. Oggi possiamo vedere quale devastazione ecologica ha causato l’industrializzazione. L’idea che l’industrializzazione mondiale produca ricchezza materiale è un’idealizzazione. per Marx l’industrializzazione è stato il motore dell’uguaglianza tra uomini e donne. Ha considerato l’industria come una livellatrice che mina le gerarchie e le differenze, per esempio perché la forza fisica è meno necessaria. In questo modo, credeva, l’industria avrebbe condotto alla dissoluzione della famiglia patriarcale. Non aveva previsto che l’industrializzazione avrebbe previsto piuttosto un nuovo tipo di famiglia.
Cosa ne pensa del potenziale della tecnologia oggi?
-E’ complicato. Mi si accusa spesso di essere romantica. Io non sono contro la tecnologia, come potrei esserlo: la tecnologia è stata utilizzata dagli albori della storia dell’umanità. Ma insisto sul fatto che noi dobbiamo distinguere la tecnologia in generale dalla tecnologia capitalista che ha una storia molto particolare e specifica. La tecnologia capitalista è stata sviluppata nella maggior parte dei casi per abbattere le forme di resistenza o eliminare capacità specifiche. Dovremmo diffidare dall’idealizzazione della tecnologia perché non si tratta solo di strumenti materiali, vi sono insiti specifici programmi sociali.
Che intende dire concretamente?
-Per applicare una tecnologia alcune relazioni sociali devono sempre essere cambiate. Lo sfruttamento di una centrale nucleare, per esempio, necessita di una ristrutturazione completa del territorio sociale. Bisogna stabilire una forma di controllo di cui non ci sarebbe bisogno per una ferrovia. Questo ha il suo specifico programma sociale.
Che dire della digitalizzazione?
-Ogni apparecchio digitale ha bisogno di una enorme quantità di materie prime che non possono essere ottenute se non utilizzando una violenza enorme. Oggi gli abitanti di tutte le regioni dell’America latina e dell’Africa lottano contro il saccheggio delle risorse e lo sfruttamento. Quindi la domanda non è se siamo contro o a favore dei dispositivi digitali, si tratta delle modalità della loro produzione. Non possiamo compiacerci dell’idea che la digitalizzazione riunisca le persone e crei cooperazione ignorando il numero di comunità che distrugge.
La tecnologia può soddisfare i nostri bisogni in fatto di riproduzione?
-Posso osservare una certa tendenza tra i marxisti autonomi quando parlano di cooperazione e di creazione di beni comuni come a una via d’uscita: pensano a Internet, a Wikipedia e così via. Si tratta di un obiettivo basato esclusivamente su un concetto incentrato sulla tecnologia. Io sostengo che dobbiamo parlare di beni comuni nel senso di costruzione materiale della vita, non possiamo vivere di digitalizzazione. E’ dunque molto importante discutere di una ristrutturazione della riproduzione che includa la terra, l’acqua e il lavoro domestico.
Un reddito di base garantito potrebbe far parte di questa ristrutturazione?
-Sotto certi aspetti un reddito di base sarebbe un buon mezzo per assicurarsi da vivere. La mia paura, e sono d’accordo con l’economista femminista Masha Madorin, è che il dibattito sul reddito di base mina tutto il lavoro fatto dalle donne per allevare i bambini, accudire le persone anziane, malate, non autosufficienti. Dobbiamo chiederci cosa avviene delle attività riproduttive. E non diteci che si tratta di un’attività di servizio personale! Se nessuno ne avesse tratto profitto ci sarebbe già da tempo una struttura pubblica per il lavoro riproduttivo: asili nido e cucine collettive. Miliardi sono stati risparmiati grazie al lavoro non pagato! E’ giunto il momento di dimostrare quanto noi, le donne, stiamo contribuendo a creare prosperità e che esigiamo un reindirizzo di questa prosperità. Questo dovrebbe essere il programma femminista attuale.
In Svizzera, nel 1995, almeno una parte del lavoro non remunerato è stata calcolata e quindi riconosciuta dall’Ufficio Federale di Statistica…
-E’ una presa in giro che le faccende domestiche siano < riconosciute>, io lo trovo perfino offensivo! Qualcun altro che pratica la sua professione si accontenterebbe di un buon riconoscimento invece di uno stipendio? E tutto questo in un sistema dove il riconoscimento è comunque una questione di soldi? Pensano veramente che siamo stupide.
Secondo Masha Madorin il prodotto interno lordo della Svizzera sarebbe stato superiore quasi del 65% nel 2016 se fosse stato incluso il lavoro non retribuito persino pagato al salario minimo. E non tutte le forme di lavoro sono incluse in questo calcolo…
-…come il lavoro che le donne fanno fuori casa. Quando andate in un Ospedale italiano, vicino ad ogni letto c’è una moglie, una figlia, una sorella che si alternano e fanno la notte. Io ho passato numerose notti accanto a mia madre con un’infermiera che si occupava di quaranta donne, tutte con dei gravi problemi. Spesso ho passato la notte sola a vegliare dieci donne. Poiché gli ospedali riducono il personale, le familiari dei pazienti prendono in carico negli ospedali una buona parte del servizio.
Tuttavia c’è una discussione molto limitata sul fatto che le cifre del lavoro non retribuito parlano da sole.
-La giovane generazione di donne deve capire una cosa: possono anche non partecipare a delle lotte per cambiare le condizioni della riproduzione perchè credono che la loro vita sarà differente da quella della loro madre, ma più tardi con l’invecchiamento dei loro genitori o quando i loro bambini si ammaleranno, questa generazione realizzerà che cosa significhi non aver pensato alla riproduzione. Perché quando si è giovani, una dice a se stessa “Non avrò mai dei bambini”. Ma ci sono le persone che amate, magari vivete vicino a una discarica di sostanze chimiche che fa ammalare la vostra famiglia. In ogni caso, come donna, non riuscirete a sottrarvi al lavoro di cura.
Una volta lei ha scritto che è stato un punto debole del femminismo degli anni ’70 non definirsi casalinga e non solidarizzare con le altre casalinghe, benché lei non abbia avuto figli e abbia voluto sempre sottrarsi al ruolo di casalinga.
-L’assimilazione della libertà e del controllo del nostro corpo all’aborto è solo metà della verità. Il vero controllo comprende la possibilità di avere dei figli in modo tale che le nostre vite non vengano distrutte. Io sono nata nell’Italia fascista dove la madre era idealizzata come donna che partoriva in una società iper maschilista. Come persona che rigetta questa idea di donna come macchina da parto capisco che le femministe avessero molta paura di celebrare la maternità. Ma non se ne sfugge, milioni di donne saranno madri. Il fatto che molte femministe allevino figli e considerino il lavoro domestico un compito ingrato è dovuto in particolare alla ragione che tutte e due queste cose sono organizzate in maniera capitalistica. Infatti allevare dei bambini potrebbe essere un’attività creativa perché si alleva una parte di un mondo nuovo.
Cosa servirebbe?
-Dovrebbe essere possibile controllare le condizioni: non prendere tutti i lavori e fare tre lavori contemporaneamente solo per avere abbastanza soldi. Dovremmo avere il tempo per pensare, il tempo per tessere legami con altre donne, perché abbiamo bisogno di cooperazione. Non dobbiamo continuare a svolgere il lavoro riproduttivo isolate l’una dall’altra. Dovrebbe far parte del lavoro politico e collettivo, della discussione sul tipo di mondo che vogliamo creare.
Dovremmo veramente batterci perché i lavori domestici siano pagati? Non è utopistico?
-No, non lo è. Prima e soprattutto noi avremmo bisogno di un grande movimento di donne. Quando abbiamo formulato la strategia del salario al lavoro domestico negli anni ’70 una gran massa di donne erano già mobilitate. Per arrivarci oggi dovremmo riunire le donne scoprire ciò che ci unisce e costruire su questa base. Il secondo passo è forzare la redistribuzione. Perchè lo scandalo del capitalismo risiede nel fatto che considera la guerra come produttiva per il prodotto interno lordo mentre l’educazione dei bambini, la cucina, la pulizia, il sesso non sono inclusi. La remunerazione del lavoro domestico equivarrebbe ad un cambiamento delle priorità sociali.
Che cosa intende?
-Il concetto “Salario per il lavoro domestico” non ha bisogno di essere pensato in termini monetari sotto la forma di un assegno salariale. potrebbe ugualmente includere dei beni materiali compresa la casa. O potremmo domandare allo Stato di fornirci vari tipi di servizi. Abbiamo bisogno di più risorse. Non penso per esempio che tutti i tipi di lavoro domestico possano essere automatizzati. Allo stesso tempo la tecnologia attuale a disposizione del lavoro domestico è relativamente povera. Perché il lavoro è fatto comunque ed è gratuito. I salari per il lavoro domestico cambierebbero la nostra percezione globale della cura e dei quartieri.
31/5/2018