Nonostante il nostro separatismo e la scelta di pubblicare solo firme di donne, rimbalziamo da Contropiano questo ricordo molto bello di Vincenzo Morvillo per Barbara Balzerani.
Addio Barbara, la lotta fino all’ultimo respiro
Non sono le immagini, le foto, le tracce segnaletiche di una rimembranza fatta di effimera riproduzione del reale, che in questo momento voglio andare a riprendere per riannodare i fili di un discorso troncato d’improvviso.
E forse, amica mia, non sono neanche le parole che pure costituivano e costituiscono, per te e per me, la malta con cui edificare palazzi di racconti su frontiere di vento e cristallo.
Quelle frontiere spazzate, abitate da pezzenti ubriachi sui marciapiedi del Capitale.
No, per riavvolgere il nastro di una memoria che il potere vorrebbe smagnetizzata non ho bisogno di icone o di codici convenzionali.
Ma di spazi bianchi, di pause, di sospensioni che palpitano di silenzio tra una suffisso e una desinenza smarrite sulla pagina.
Dissonanze del ritmo. Sincopi della Storia che non amavi lineare. Ma spezzata in una jam session jazz tra le note dei dannati che mandano in pezzi gli orologi. Quelli fabbricati da chi si crede il padrone del Tempo.
Quante volte parlando al telefono, ho ascoltato queste sospensioni gravide di attese. Questi sospiri interlocutori che non dicevano eppure significavano.
Danze di un respiro – giusto il titolo del tuo ultimo libro – che lasciavano presagire la promessa di un’ intesa stipulata nel passato, ma deflagrata nel futuro.
Fummo parte di uno stesso percorso che succederà ancora. Una rivoluzione che prende le mosse dall’etica di una vita in eccesso.
Perché niente è più puro, più etico, più umano di un’esistenza che ha fatto i conti con l’azzardo della morte. Con la scommessa della vita. Con la dannazione della lotta per la sopravvivenza.
Nulla di meno. Sopravvivere alla laida legge del pensiero che si pretende univoco nel suo pensarsi e pensare le strutture sociali e le relazioni tra esseri.
Pensiero di mercato. Pensiero di consumo.
Tu hai consumato invece la tua esistenza in una tragica rabbia di albe sfumate nella sconfitta.
Io ho consunto la mia in una feroce battaglia contro li codice morale della famiglia quale cardine della Legge del Padre. Che ti condanna per stupro subito.
Una guerra privata e pubblica che ci ha fatti riconoscere sul precipizio di un mondo in rovina.
Sotto l’ala di un angelo nuovo che avrebbe voluto ricomporre le macerie e resuscitare i pezzenti. Schiacciati dalle smanie di conquista dei re.
Tu guerrigliera e brigatista. Io ex ribelle e tossicodipendente. Mi adottasti per simpatia innata verso le vite strappate a morsi.
I primi approcci di una conoscenza che sarebbe sbocciata solo nel tempo. Troppo il mio rispetto verso la tua persona. Troppa la stima verso la tua Storia.
Poi l’amicizia vera. La presentazione dei tuoi libri. L’angoscia di dire cazzate e la voglia di restituirne l’essenza.
Un capodanno a casa mia e di Marcella con il tuo Marcello, Silvia, Massimo, Pino, Cecilia, Mare Mare. Tra bottiglie e cibo. Fraternità e sogni. Infranti e da ricostruire.
Ognuno a raccontare il proprio percorso. Pari tra pari. Un noi che non prevedeva l’io.
E le telefonate chilometriche. Tra risate e incazzature. Teatro cinema musica letteratura. E Marcello che mi mandava affanculo perché rompevo i coglioni a ora di pranzo.
L’ultima volta un anno fa, a Napoli per la presentazione del tuo penultimo: Lettera a mio padre, al Civico 7.
Il dono più bello me lo facesti nella primavera 2020. Volevi che lo prefassi. Un brivido che mi è rimasto addosso fino al giorno della presentazione.
Ricordo ancora la Digos che ci controllava da lontano. Addirittura le intercettazioni ambientali.
Eri ormai settantenne, ma avevano ancora una paura fottuta.
Poi, due giorni di primavera tra i vicoli di quella Napoli che adoravi. Una flânerie entre l’histoire.
Lungo l’Anticaglia, i Tribunali, Forcella, la Sanità. Tracce di resistenza sottoproletaria e operaia che sussurrano di generazioni di vinti in cerca di riscatto nell’urlo ammutolito del presente.
La notizia più atroce me l’hai data invece lo scorso settembre. Cancro ai polmoni al quarto stadio. Una lacerazione.
La corsa contro il tempo. Quello stesso tempo che ormai da un po’ ti sentivi sfuggire tra le dita. «È andata male Veciè» mi dicevi…
Il mio più grande rimpianto, non essere riuscito a regalarti la recensione al tuo Respiro.
Oggi la tua fine è stato uno schiaffo in pieno viso. L’ennesimo in questi giorni, in cui ho perso anche papà.
La stampa di regime intanto non ha perso tempo. E già banchetta sulla tua morte. Non ci aspettavamo nulla di meno che questa immondizia spacciata per informazione.
Ma l’etica della tua umanità, delle tue idee e della tua vita esemplare è lo specchio gioiosamente deformato della loro miseria.
Gli rode anche la tua fine cara Barbara. Sbeffeggiali e sorridine come solo tu sapevi fare. Con la tua risata pensante. In cui si addensavano sottotesti inimmaginabili per questi schifosi cannibali.
Guerriglia e letteratura. Memoria e parola. Politica e comunismo. Amore e respiro. Null’altro muoveva il tuo quotidiano vivere. Il tuo quotidiano sentire.
Il carcere duro non ha potuto spezzare l’intelligenza e la sensibilità malata.
Quanti racconti per le nostre comuni crisi di panico. Ci ridevamo ma in quelle pause, in quelle sincopi del ritmo di cui parlavo più su sentivo tremare tutta la fragilità umana che prova a darsi coraggio.
Barbarè, ora che si affollano i ricordi e la memoria è una foto un po’ sgranata avverto il tuo affannoso ultimo respiro.
Che allegoria quest’ottavo romanzo. Uno di quegli squarci epifanici che solo tu sapevi aprire.
Il mio respiro. Il nostro respiro. Il respiro di un passaggio storico da tagliare il fiato. Che soffoca ogni slancio e passione per appiattirle sul codice a barre del consumo.
Il mercato, il profitto, l’individualismo, la violenta chiusura all’altrui umanità. La guerra per accaparrarsi fette di uomini e di merci.
E l’infarto di un pianeta che affanna sotto il progresso imposto dai padroni. La scienza del Capitale come unico orizzonte di senso.
Un intero paesaggio di emozioni, relazioni, connessioni, affinità umane e politiche viene sventrato nel segno del solo mondo possibile.
Quello del neoliberismo e dei suoi servi. Quello dello spettacolo e delle sue ancelle. Quello della repressione e dei suoi infami collaboratori.
L’Ego lì dove c’era un Noi...
Il tuo Respiro greve opprime il petto e ci obbliga a trovare una feritoia da cui riprendere fiato. Il prezzo è la vita. Nulla di meno.
Quanto a te, tenera amica, il tuo corpo stanco era la carne, i nervi, le sinapsi di una rivoluzione che ci ostiniamo a ritenere possibile.
Perché solo il sogno di un nuovo assalto al cielo ci rende sopportabile il respirare l’aria mefitica e di morte che esala dal ventre putrido del neoliberismo.
In questo sistema-mondo dove ormai finanche il più comune sentire umano è stato ribaltato e svuotato di senso, al punto che cento palestinesi che andavano ad elemosinare il pane vengono considerati un pericolo per le forze armate israeliane (tra le più potenti del mondo) e sterminati;
in questo mondo in cui la post verità è solo una protesi della machiavellica finalità politica;
in questo mondo di merda e di sangue il tuo respiro affannato è il soffio della vita del sud che resiste all’ultimo rivoltare di tramontana proveniente da nord.
Grazie amica carissima di questo dono e di ciò che sei stata. Ciao sorella. Ciao Barbara.
Un giorno le generazioni future vinceranno anche per te.