Né con la vostra guerra, né con la vostra pace! Iniziativa a Saronno

NE’ CON LA VOSTRA GUERRA, NE’ CON LA VOSTRA PACE!

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L’informazione e la disinformazione nelle guerre hanno sempre giocato un ruolo determinante, in ogni guerra c’è un’altra guerra che si gioca sul terreno virtuale della comunicazione: la propaganda e le strategie di manipolazione dell’opinione pubblica. L’obiettivo è sempre lo stesso, manipolare la percezione di ciò che accade realmente poiché il sostegno dell’opinione pubblica sulla guerra è una risorsa fondamentale.

Le tecniche sono sempre più complesse, perfezionate e sempre più spostate sul “campo di battaglia” dei media dissimulare, falsificare, inquinare, omettere, mistificare, queste le parole d’ordine della dis-informazione.

La propaganda di guerra si può nascondere dietro a tutto ciò. Quando queste non riescono a raggiungere il risultato, si arriva al controllo o alla repressione della libertà di stampa.

Stiamo affrontando un momento storico in bilico tra post-verità, propaganda e repressione delle libertà.

Se torniamo indietro solo di un paio d’anni, c’è chi ha definito, ad esempio, l’impegno contro il covid19 come una guerra: da lì ha preso piede un lessico attinto dal gergo militare e ormai accettato dai mezzi di informazione. Il virus è definito il “nostro nemico”, si parla di battaglie e di coprifuoco evocando esperienze compiute durante l’ultima guerra mondiale, le corsie d’ospedale sono la prima linea, medici e infermieri dei combattenti eroi, chi muore è un caduto e gli investimenti previsti per il post lockdown sono immancabilmente un nuovo Piano Marshall, come il progetto di sostegno ai paesi dell’Europa occidentale deciso dagli Stati Uniti dopo la sconfitta del nazismo, del fascismo e del nazionalismo giapponese.

Dunque saremmo in guerra, con tutto ciò che ne consegue: la popolazione mobilitata nel comune sforzo bellico, il “nemico” come aggressore imprevisto e ingiustificato, il “capo” della Nazione come condottiero. In guerra le differenze sfumano, il popolo si unisce dietro il suo leader, il dissenso diventa una forma di tradimento, il paese è chiamato a un combattimento a testa bassa contro il mondo esterno, in uno sforzo straordinario e di grande coinvolgimento emotivo.

Il linguaggio ha la caratteristica di definire il campo informativo, cognitivo, percettivo della comunicazione. Il lessico militaresco, in particolare, crea una cornice di interpretazione rigida e gestita dall’alto. Gli annunci di nuove misure decise nella “guerra” al “nemico comune”, fatti di solito in tv e con una certa solennità, magari con la mascherina indossata, trasmettono ansia ma soprattutto rafforzano quel clima di unione, mobilitazione, subordinazione tipico di un paese belligerante.

La “guerra al virus” è una metafora potente e in apparenza fondata: l’espressione rimarca la gravità dell’emergenza sanitaria ed enfatizza il ruolo di chi lo detiene.

La comunicazione ci sta restituendo anche un conflitto in Ucraina, con una narrazione al servizio delle dinamiche economiche, delle ridefinizioni dei rapporti geopolitici di parte, che tralascia racconto dei fatti e analisi obiettiva di ciò che sta succedendo. La ricerca di consenso per le azioni e le politiche messe in campo, rende necessario, per chi detiene il potere, creare simboli, eroi, martiri e mostri, infantilizzare la massa auditrice, annichilire ogni narrazione divergente da quella funzionale all’indotto del profitto di guerra.

Ci vengono raccontati fatti attraverso precise strategie di marketing sociale, il senso critico e il confronto vengono disincentivati, viene normalizzato lo stato perpetuo d’emergenza, affinché si possa pensare di vivere “un po’ peggio e un po’ meno liberi”, per salvaguardare la pace, una pace solo apparente, una pace fittizia, che si paga come sempre col sangue e la vita degli ultimi.

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