La Parentesi di Elisabetta del 6/10/2021

Linee di tendenza 

 di patriarcato e capitalismo nella società neoliberista.

Elisabetta Teghil

                                                               Dedicato alle compagne della coordinamenta femminista e lesbica  e ai nostri dieci anni insieme.

Dicono che l’occhio umano sia fatto per guardare orizzonti lontani. Dicono. E dicono anche che se l’occhio umano guarda sempre per terra o la parete del palazzo di fronte la capacità visiva si atrofizzi notevolmente.

La lotta di classe e di genere è una guerra, lo sapevamo già, ma ora il potere lo ha dichiarato esplicitamente e usa metodi, linguaggi, sistemi e pratiche conseguenti non solo contro tutte/i quelle/i che non si adeguano subito ed esplicitamente ai suoi desiderata ma costruendo per tutti un immaginario sociale in guerra costante.

Per poter agire e rispondere adeguatamente in una guerra bisogna conoscere e analizzare la situazione sul campo ma bisogna anche capire che cosa si propone il nemico. Le linee di tendenza del suo operare. Bisogna guardare lontano.

La società è stata trasformata dalle fondamenta in pochi anni e questo processo ha subito un’accelerazione molto forte negli ultimi tempi, sia con la scusa dell’emergenza Covid-19 sia perchè il cambiamento tecnologico si attua con una velocità fino a poco tempo fa impensabile.

Ci sono alcune scelte-cardine del capitalismo neoliberista per la ristrutturazione della società che ci permettono di capire più di altre le linee di tendenza della costruzione di un sociale funzionale agli obiettivi che il potere si pone.Questi obiettivi non sono poi così nascosti, il capitalismo ha raggiunto un livello di arroganza e di onnipotenza senza pari ma ricordiamoci che per quanta immaginazione possiamo avere il capitale è già più avanti perché da molto tempo la maggior parte della sinistra di classe sembra aver perso le coordinate per analizzare il presente.

La strumentalizzazione da parte del sistema di potere della rivendicazione di diritti è già in atto da diverso tempo. Le soggettività oppresse invece di radicalizzare le lotte e porsi maniera antagonista e conflittuale si affidano allo Stato in un gioco delle parti tanto  ipocrita quanto perverso perchè chi chiede diritti sa che non gli verranno mai concessi veramente, il neoliberismo ha chiuso lo spazio della contrattazione, ma verranno promossi sul campo solo quelli/e che si presteranno al collaborazionismo con lo Stato e lo Stato sa non concederà mai nulla se non quello che è funzionale al mantenimento del suo controllo e del suo potere. Questo vale in tutti i campi da quello del lavoro a quello della violenza sulle donne, a quello delle soggettività Lgbtq…facendo strame di chi continua a subire vessazioni, violenza, sfruttamento. Nelle rivendicazioni viene così ,attraverso il collaborazionismo che propaganda l’immagine di una società democratica, attenta, sensibile, civile, disinnescata ogni carica e capacità socialmente destrutturante.

La <patriarcalizzazione della società>  si sta imponendo come strumento fortissimo di trasformazione dell’organizzazione sociale. Cosa intendiamo per patriarcalizzazione?

La costruzione del modello donna capitalistico si è basato su alcuni snodi fondamentali: infantilizzazione, espropriazione delle capacità e dei saperi, colpevolizzazione, assoggettamento economico, legislazione di dipendenza, esaltazione della capacità di servire, della cura e della dedizione, fino alle teorizzazioni scientifiche sulla minorità …ma il capitalismo non è stato e non è sempre uguale a se stesso, cambiano gli obiettivi di medio e lungo termine, cambiano le modalità di organizzazione interna, cambia l’approccio con le classi subalterne. Pur restando immutato il principio dell’accumulazione e del profitto, questo viene modulato a seconda dei rapporti di forza sia all’interno della classe borghese sia con i subalterni/e. E ogni cambiamento politico-ideologico-economico si trasforma in metabolismo sociale.

Il patriarcato non è un qualcosa che si aggira per il mondo distribuendo, non si sa per quale motivo, violenza e coercizione, è, molto più semplicemente, un modello economico costruito per un ottimale sfruttamento degli individui messi al lavoro perché la sua organizzazione produttiva piramidale, gerarchica e sessuata permette una notevole possibilità di accumulazione fin dai tempi del passaggio da un’economia di caccia e di raccolta a quella imperniata  sull’allevamento e l’agricoltura. Chi accumula è vincente, passa l’inverno senza morire di stenti e sconfigge i nemici. E così il modello patriarcale ha poi giustificato se stesso con miti e leggende, religioni, norme e leggi, usi e costumi a supporto di un’organizzazione di sfruttamento che doveva passare per naturale. Operativamente e concettualmente si è dimostrato molto affine e molto utile al capitalismo che lo ha assunto da subito accentuandone tutte le caratteristiche di specializzazione e gerarchia e traendone grandi vantaggi.  La specializzazione dei ruoli sessuati, la creazione della famiglia mononucleare in cui la gerarchia della monocellula metabolizzava la società tutta è solo l’aspetto più elementare e semplice di come il patriarcato sia stato strutturante nella modificazione della società nel passaggio alla costruzione sociale capitalistica.

La fase neoliberista cominciata in occidente alla fine degli anni ’80 del novecento ma impostata e teorizzata ben prima e testata dagli USA nel Cile di Pinochet, è stata la risposta strategica e tattica del capitale alle lotte di classe che hanno attraversato e caratterizzato gli anni ’50, ’60 e’70 del secolo scorso.

Il neoliberismo è un’ideologia e ha avuto ed ha la pretesa di instaurare un nuovo ordine politico-economico e quindi sociale. D’altra parte le scelte politiche strutturanti e le scelte economiche conseguenti diventano società viva. E’ superfluo stare qui a ripetere l’analisi di quali siano le caratteristiche del neoliberismo, è sufficiente richiamarle, le stiamo subendo già da tempo: dominio dell’aristocrazia borghese trasnazionale delle multinazionali, finanziarizzazione, ridimensionamento delle borghesie nazionali, espulsione dalla classe della piccola e media borghesia, rottura del patto sociale con le classi subalterne, sussunzione di tutti i servizi informativi e di comunicazione all’interno del progetto del pensiero unico e conseguente annullamento della storia e della memoria, legame di sangue con lo scientismo e con la tecnologia, militarizzazione, neocolonialismo…

Ci interessa, invece, indagare in maniera particolare le modalità e gli strumenti con cui il dominio neoliberista ha messo in atto la trasformazione della società perchè vengono chiamati direttamente in causa i rapporti e i legami patriarcali-capitalistici e i legami futuri tra capitalismo e patriarcato.

Il neoliberismo si è caratterizzato da subito come una società strumentalizzante, non ha scelto, come il capitalismo ha fatto in altri periodi storici, di reprimere in maniera diretta ed eclatante le soggettività che reclamavano diritti e riconoscimento ma le ha inglobate e irretite nella sua ragnatela di così dette tutele e le ha coinvolte negli interessi del potere, annichilendo ogni possibile afflato di liberazione e anzi trasformandole in collaborazioniste. Questa è la costruzione della società dell’antirazzismo razzista, dell’antisessismo sessista, dell’antifascismo fascista.

Ma la trasformazione della società è stata attuata con le modalità tipiche del modello patriarcale. Queste modalità proprie e specifiche di sfruttamento e di asservimento sono state e sono tuttora usate per il cambiamento in atto della società.

E’ cominciato tutto dal mondo del lavoro con l’introduzione dei concetti di meritocrazia e produttività, con l’individualizzazione del rapporto con il datore di lavoro, con la pretesa di dedizione e coinvolgimento affettivo nelle sorti dell’azienda, di reperibilità continua dove il tempo del lavoro e il tempo libero si sovrapponevano senza soluzione di continuità ottenendo tutto questo con la colpevolizzazione individuale, con la concorrenzialità spietata tra colleghi, con la premialità ed il castigo, con la spinta a dimostrare sempre di poter fare meglio e a ritrovarsi di continuo a fare i conti con i propri limiti aprendo così ad una vita alienata dipendente sempre dal giudizio dell’altro e dalla frustrazione di non riuscire a raggiungere gli obiettivi presentati sempre come possibili e a portata di mano ma di fatto sempre impossibili da realizzare proprio per la struttura della società del capitale.

Ma queste sono le modalità con cui il modello patriarcale ha ottenuto l’asservimento delle donne che è stato praticato e perpetuato estorcendo la nostra partecipazione emotiva allo sfruttamento.

[…] Il corpo è la nostra fabbrica, la famiglia la nostra azienda. Il lavoro di cura e riproduttivo è un lavoro non pagato a cui siamo spinte con il ricatto affettivo. Non esiste distinzione tra tempo del lavoro e tempo libero, dobbiamo essere sempre disponibili, dobbiamo riconoscere il nostro ruolo ed esserne appagate poiché solo così potremo essere felici, potremo dare un senso, un senso pieno, alla nostra esistenza. Lo sfruttamento patriarcale ci espropria alla fine anche della nostra emotività: dobbiamo provare solo i sentimenti che sono stabiliti.[…] Quattro passi,Note sul femminismo nella fase neoliberista del capitale, Coordinamenta femminista e lesbica, Autoproduzione, Roma 2019 p.53

Il neoliberismo ha esteso questi dispositivi di sfruttamento oltre la famiglia, oltre il lavoro riproduttivo. Ha patriarcalizzato il lavoro salariato.

[…] Ma il neoliberismo vuole anche altro. Un mettersi in gioco continuamente per dimostrare quanto si è bravi/e, un’attesa continua del riconoscimento del merito e quindi una continua dipendenza dal giudizio. L’ossessione valutativa, portato dell’ideologia meritocratica, viene naturalizzata spingendo uomini e donne a riconoscere “affettivamente” la filiera gerarchica.  Accettazione supina della propria inadeguatezza e quindi dei rimproveri che ci vengono mossi, delle umiliazioni a cui siamo tutte e tutti quotidianamente costretti, della concorrenzialità con i propri simili; una disponibilità ad assumere la scala di valori vincente e quindi a stigmatizzare tutti quelli che si comportano in maniera deviante.

Ma anche questo, come donne, è un meccanismo che conosciamo bene. Da sempre noi donne dobbiamo dimostrare di essere brave, di essere all’altezza. Il giudizio altrui ha sempre contato moltissimo; lo “sguardo maschile”, sicuramente, ma anche quello delle altre donne a cui è stato attribuito il compito di “cani da guardia” del sistema, portato a termine stigmatizzando tutte le altre donne che non accettano la norma, la normalità, che non vogliono rientrare nei ranghi della scala di valori codificata. Nel mondo del lavoro salariato, poi, il nostro impegno nel dimostrare quanto valiamo si è addirittura centuplicato. Come in famiglia, anche negli altri luoghi di lavoro, dobbiamo accettare rimproveri e rimbrotti perché chi li fa sa meglio di noi qual è il nostro bene. Ci costringono a interiorizzare il senso della nostra inadeguatezza:   è un nostro difetto, atavico, proprio perché, in fondo, non siamo in grado di scegliere il “meglio” per noi.

E come hanno potuto ottenere da noi tutto questo? Attraverso la specializzazione dei ruoli, la santificazione dell’autorità, la continua affermazione della logica del possesso, la retorica della responsabilità e del sacrificio, spingendoci ad introiettare la legalità con la minaccia dello stigma sociale, del ricatto affettivo ed economico, della repressione poliziesca.

In altri termini: hanno normalizzato e naturalizzato lo sfruttamento, l’oppressione, la mortificazione, la degradazione. La descrizione del nostro presente, costruito sulle gerarchie di genere, classe e razza, è diventata prescrizione del presente.{…] Idem p.54

Le donne potrebbero smascherare questi meccanismi perchè la loro oppressione millenaria le fornisce di strumenti diretti per capire la sostanza delle scelte neoliberiste. La necessità di demistificare la meritocrazia, di destabilizzare la filiera gerarchica, di destituire l’autoritarismo non solo nei rapporti interpersonali ma anche in quelli lavorativi, pubblici, istituzionali dovrebbe far parte prima di tutto del patrimonio di autodifesa delle donne.

La destituzione della logica legalitaria, che è stata fondamento dell’oppressione del genere femminile, dovrebbe essere in automatico parte costitutiva non solo del percorso di liberazione ma anche di ogni più piccola e più futile rivendicazione che riguardi il nostro vivere.

Se c’è un posizionamento che dovrebbe essere parte integrante del sentire di ogni donna è proprio la contrarietà non contrattabile nei riguardi di imposizione di stigma e divieti, regole e costrizioni. Il compito politico e l’obiettivo dell’abolizione del patriarcato non può che accompagnarsi al rifiuto del concetto di <educazione> ma fare proprio quello di liberazione. Non dobbiamo certo essere noi essere quelle che impongono nuove regole e stigma e divietinon siamo noi che dobbiamo educare, bensì liberare.

L’approccio e l’approdo vanno completamente ribaltati: non siamo noi che dobbiamo sgomitare per posti di comando, per quote privilegiate, per finanziamenti statali con cui istituire osservatori e corsi di sensibilizzazione sulle questioni di genere.

In questo modo il femminismo diventa un ulteriore strumento di controllo sociale e si inserisce di diritto nell’Impero del Bene: quello in cui lo Stato etico assume le funzioni di tutore e di giudice, che sul fronte interno da una parte “comanda” e dall’altra “suggerisce”, “consiglia”, “spinge” sulla retta via, utilizzando un linguaggio affabile, spesso percepito come “di sinistra” per diffondere “tipi normali di comportamento” a cui tutti e tutte dobbiamo adeguarci per il nostro stesso bene, così come sul fronte esterno porta le sue “guerre umanitarie” a tutti quelli – popoli, Stati, territori, ambiti  – che non sono allineati o sono recalcitranti o sono asimmetrici agli interessi dell’occidente.

In questa visione di società la ricerca dell’approvazione diventa elemento fondante di una vita imperniata sulla ricerca della promozione sociale personale. E <meritarsi qualcosa>  vuol dire fare il possibile per compiacere chi ci fa una richiesta, dare il meglio di noi stesse per assolvere il compito, vuol dire riconoscere gerarchicamente che chi ci fa questa richiesta deve essere soddisfatto, vuol dire poi dipendere dal giudizio che viene dato del nostro operato, vuol dire riconoscere la giustezza del ruolo che ci viene assegnato. Per le donne questo ha sempre significato riconoscere la propria subalternità nella scala gerarchica patriarcale e la dipendenza dal giudizio e dall’approvazione dell’uomo, siamo sempre state spinte a cercare questa approvazione, ad essere adeguate e fare quindi più di quello che era il nostro possibile, ad accettare rimproveri e rimbrotti e a riconoscersi eternamente infantili.

Da qui la continua sensazione e accettazione della propria inadeguatezza.Da qui l’obbligo di dimostrare sempre di essere una buona moglie e una buona madre. Da qui il centuplicarsi degli sforzi da quando siamo entrate nel mondo del lavoro salariato con l’emancipazionismo e ora dobbiamo saper conciliare lavoro in famiglia e lavoro all’esterno. Ma la meritocrazia è uno dei “valori” fondanti del neoliberismo e tutto questo di cui abbiamo parlato è stato trasferito a tutto il mondo del lavoro, anzi a tutto il sociale. Che distanza abissale  < da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni>!  E se non ci adeguiamo siamo incapaci o colpevoli.

[…] La colpevolizzazione e lo stigma sono stati e sono due strumenti potentissimi del controllo sulle donne e sono applicati sia riguardo al comportamento all’interno del microcosmo familiare sia nei rapporti sociali esterni. I comportamenti violenti del maschio, verbali e fisici, sono stati sempre imputati a mancanze della donna riguardo al ruolo di moglie e di madre “non sa fare da mangiare” “non sa tenere la casa” “i figli non studiano, sono sempre sciatti” “dorme fino a tardi”…I tradimenti del coniuge sono sempre stati ritenuti colpa della moglie “pensa non è stata nemmeno capace di tenersi il marito” “certo se la vita sessuale non è appagante l’uomo cerca soddisfazione fuori…” “bisogna che la moglie dia un po’ di pepe alla vita coniugale…”Non parliamo poi della violenza, delle aggressioni sessuali, degli stupri…”vestiva discinta”, “aveva la gonna troppo corta”, “andava in giro di notte”, “se l’è cercata”, “ha dato confidenza agli estranei”, “civettava con altri”…..la colpevolizzazione poi è imperante nelle aule dei tribunali dove la donna che ha subito violenza diventa la principale imputata… e lo stigma rispetto a questi comportamenti viene spesso, in prima battuta, proprio dalle altre donne che hanno il compito di controllare il comportamento sociale del gruppo. Lo strumento del “pettegolezzo” di cui le donne vengono accusate e che viene loro imputato come difetto congenito e “comportamento naturale del femminile” non è altro che l’assunzione del ruolo di “controllore”.[…] idem p.58

E quando si sono sottratte le donne sono state sempre duramente punite con l’esclusione sociale, con la reclusione, con l’induzione al suicidio o alla pazzia, con la morte o sul rogo per mano del potere o per mano dei maschi di famiglia, padri, mariti, figli, fratelli, zii.

Ed è proprio questo armamentario di soggezione e di controllo che il sistema ha trasferito e sta trasferendo a tutta la società e la cui funzione è diventata esplicita ed eclatante durante la così detta pandemia.

L’individuo spinto a prendere coscienza della propria incapacità e limitatezza viene infantilizzato e non può fare altro che affidarsi a qualcosa di superiore e di più saggio che è lo Stato. E lo Stato usa lo scientismo, con cui ha stretto da tempo un patto di sangue e di reciproco supporto, per ottenere quella patina di neutralità che lo pone super partes e inattaccabile.

Lo Stato neoliberista è uno Stato etico, si muove come un padre padrone, decide qual’è il nostro bene e il  nostro male perchè le persone sarebbero infantili, incapaci di decidere in maniera autonoma come sono sempre state considerate le donne costrette quindi ad aver bisogno di una guida e di un tutore, di un marito, di un padre, di un fratello o dello Stato. Ora l’emancipazionismo ha sdoganato una loro indipendenza in maniera fittizia e fuorviante perchè non sono solo loro ad essere considerate infantili ed incapaci di decidere della propria vita ma le persone tutte, donne ricomprese.

Alcuni uomini non lo hanno capito, altri lo hanno capito troppo tardi perchè non erano abituati a subire questo tipo di trattamento. Sono rimasti spiazzati, si sono comportati come bambini che non hanno cognizione piena dell’uso che i grandi fanno di loro, le donne invece avrebbero avuto gli strumenti per capire e per un momento hanno avuto anche la possibilità di travolgere il pensiero unico smascherandolo, ma molte di quelle che avrebbero potuto si sono vendute  per un piatto di lenticchie, per essere partecipi di una torta che non è la loro ma viene loro gentilmente concessa e in questa delirante necessità di riconoscimento hanno permesso al patriarcato di dilagare nell’asservimento di tutti gli strati subalterni.

Molti leggono l’attuale distruzione e privatizzazione dei servizi pubblici e del welfare state come risultato del principio neoliberista per cui lo Stato deve fare un passo indietro rispetto all’intervento nel sociale e auspicano un nuovo percorso di intervento statale.  Ma lo Stato non si è affatto tirato indietro dal sociale, ha invece modificato e specializzato il suo ruolo assumendo quello repressivo e di controllo a tutto campo finalizzato ad una modificazione strutturale della società. Non è un caso che i servizi sociali abbiano ormai assunto connotati di tipo poliziesco.

Il capitalismo ha sempre accarezzato la speranza di poter avere degli schiavi di nuovo conio, una schiavitù volontaria di umani che si assoggettano <per scelta>, che <consapevolmente> si rendono conto della bontà del sistema che li guida. Quello che è successo e sta succedendo con l’emergenza pandemica non è altro che questo, è la verifica da parte del potere della capacità e disponibilità all’assoggettamento volontario dei subalterni/e.

Il neoliberismo ha la pretesa di appropriarsi della vita e della morte degli individui, di gestirle come meglio è utile all’estrazione di plusvalore.

Della morte si è già impadronito con la dichiarazione della così detta <morte cerebrale>, una morte non effettiva ma dichiarata a tavolino, funzionale alla sperimentazione e al business degli espianti/trapianti, e che ribadisce soprattutto che lo Stato si arroga il diritto di dichiarare se una persona è morta o è viva. Ma si è appropriato anche dei riti della morte e ha espropriato le persone anche della decisione di come, dove, quando e con chi morire. Questa pretesa è diventata esplicitamente violenta in questi mesi di <dichiarata> emergenza.

Ma il neoliberismo si sta appropriando della vita fin nei più reconditi anfratti. L’asservimento della ricerca scientifica ai suoi scopi, la trasformazione della medicina in lucroso affare, la creazione di uno scientismo funzionale agli interessi del capitale ha permesso il dispiegarsi di tutta una serie di passaggi, propagandati come essenziali per il nostro benessere, la nostra tutela e la nostra felicità che porteranno il capitalismo a creare essere umani a seconda dei suoi desideri e obiettivi. Le sperimentazioni sull’inseminazione artificiale, la creazione della vita in provetta, le manipolazioni genetiche, il controllo e le modifiche del DNA, la clonazione…non sono altro che questo. Ma anche il decidere chi può avere un posto nella società  e chi, invece, ne è espulso, decretando  quale essere umano è inutile e destinato a morire il prima possibile di stenti.

Le donne verranno defraudate della maternità, per il loro bene naturalmente, perchè eviteranno i dolori del parto e i problemi della gestazione…perchè i figli nasceranno sani, senza difetti e senza traumi…perchè potranno lavorare finchè vorranno e congelare gli ovuli, come già succede alle dipendenti delle società della Silicon Valley dove le aziende, a loro spese, congelano gli ovuli delle lavoratrici che potranno mettere in cantiere un figlio una volta finita la carriera lavorativa. Personalmente ho sempre pensato che il desiderio di maternità sia indotto e sia parte della costruzione del modello-donna patriarcale e che i figli li dovrebbero fare solo quelle che lo desiderano veramente, cosa che in questa società, al di là delle continue esternazioni sulla libertà di scelta, non è affatto vera. Sono sempre convinta dello slogan degli anni ’70 che diceva <donne partorite idee non figli> ma questo non significa che le donne si debbano far scippare la capacità procreativa. Sono estremamente perplessa rispetto a tutte/i quelle/i che scelgono di fare figli in provetta o con sistemi similari, accettando di farsi mettere le mani addosso da quello stesso Stato e da quella stessa scienza che ha sempre preteso di condannare e manipolare la loro vita, di decidere chi è sano e chi non lo è, di pontificare se quello che facevano era lecito o non era lecito, di giudicare e condannare. Come si può inoltre accettare che il desiderio venga mercificato e ridotto a contrattazione economica?

Il capitalismo nella sua fase matura e compiuta userà il patriarcato come, quando e fino a quando lo riterrà utile, forse sarà la prima configurazione economica che lo supererà, che non avrà più bisogno di questo modello.

Appropriandosi della vita e della morte, sottraendo la maternità alle donne, potrà scaricare su tutti gli oppressi il lavoro di cura, indifferentemente, e non avrà più senso la divisione sessuata del lavoro. E’ particolarmente illuminante infatti riguardo a come il capitalismo neoliberista sia in grado di indirizzare e piegare opinione pubblica e movimenti ai suoi fini, il tam tam che è stato lanciato sulla necessità che le persone tutte assumano la cura come rivoluzionario posizionamento per salvare società e pianeta.

Tutti i subalterni saranno colpevolizzati, inquadrati e ricattati allo stesso modo con le modalità patriarcali ma senza la necessità della gerarchia sessuata.

Questa è la strada già intrapresa, contro questo ci dobbiamo battere con tutte le nostre forze perchè se il patriarcato riusciremo ad abbatterlo noi sarà per eliminare possesso e gerarchia, sudditanza e sfruttamento ma se lo farà il capitale sarà per rendere tutti/e schiavi/e.

Non sarà solo il corpo delle donne in particolare e i corpi altri ad essere oggetto di sperimentazione, assoggettamento, coercizione, strumentalizzazione ma i corpi di tutte/i compreso il bianco maschio occidentale che non si sta accorgendo fino in fondo di quello che sta accadendo perchè, abituato ad essere investito dal potere di un ruolo dominante, continua a tentare di esercitarlo senza rendersi conto di quanta terra gli venga sottratta sotto i piedi. Non possiede gli anticorpi necessari. Tutto questo è già in atto e la linea di tendenza prevede l’espropriazione completa dei corpi. Perdere il controllo del proprio corpo significa essere trasformati in oggetto tra gli oggetti. E questa espropriazione è permessa nella generale acquiescemza. Perchè? Nella demonizzazione e distruzione da parte del capitale neoliberista di ogni ideologia in cui l’essere umano possa riconoscersi come parte di un pensiero collettivo, religioni comprese, la persona non trova altro appiglio che affidarsi al pensiero unico e allo scientismo, propagandati come il supremo bene per tutti.

E’ necessario porsi alcune domande e darsi le risposte evitando di farsi irretire in un eterno presente senza via d’uscita dove lotte e rivendicazioni, quando ci sono, si consumano nello spazio di un istante, trasformate in un prodotto mercantile come tanti, in una novità del momento, in un futile quanto inutile agitarsi politico e spesso dettato dall’agenda capitalista.

Quanto ci piace o non ci piace la società del capitale? Vogliamo veramente uscirne? La risposta è vitale perchè ogni nostra scelta, ogni nostra azione non è mai neutrale, ci conduce a restare dentro a questa società e a supportarla oppure a uscirne. Non ci sono  posizionamenti  fuori da queste due scelte, non ci sono terze vie.

Non esistono i femminismi, il femminismo è uno solo, quello che percorre strade di liberazione, tutto il resto è altro, è emancipazionismo…è lotta categoriale…è promozione personale… I modi con cui le donne nella loro molteplicità possono percorrere la strada della liberazione sono invece infiniti.

Se queste domande, nella <normalità> precedente alla così detta pandemia e alla conseguente costruzione di questo momento emergenziale, potevano essere oggetto di dibattito colto e di discussione forbita, ora sono diventate vitali.

Accettare le imposizioni ideologiche e le prescrizioni fisiche poste dal potere, accettarne prima di tutto la lettura e la conseguente trasformazione della società significa volere restare qui dentro. Sono inutili, pericolosi e mistificanti i discorsi alternativi, le parole <sagge> e le disquisizioni dotte, è inutile criticare la società del capitale, è inutile riempirsi la bocca di citazioni dei sacri testi e strumentalizzarli, la sostanza dei posizionamenti si misura nell’accettazione o meno dei dispositivi di controllo, soggezione e discriminazione. Il re è nudo. C’è chi decide di porsi fuori e contro questa società e chi decide di restare nelle gabbie predisposte dal potere come animali da allevamento.

E chi decide di mettersi fuori e contro è necessario che si ponga un problema tattico ed uno strategico.

Il problema tattico riguarda riuscire a intercettare le varie anime del dissenso, mettere insieme tutti/e quelle/i che sentono sulla loro pelle la vessazione, il ricatto, l’ingiustizia anche in maniera istintiva, spoliticizzata, elementare. Non si tratta di interclassismo perchè è compito di quello che rimane della sinistra antagonista e della sua coscienza dare le risposte perchè un dissenso variegato e istintivo si trasformi in una lotta contro la società del capitale. Significa creare delle reti di mutuo soccorso che permettano il sostegno economico e di gruppo a chi rifiuta le regole violentemente imposte e il ricatto a tutto campo sia materiale che mentale e affettivo. Chi rimane senza stipendio deve essere sostenuto/a, chi vuole ribellarsi deve trovare sponda. I piccoli gruppi che nella nostra pratica femminista abbiamo verificato come molto efficaci nella lotta politca, possono essere trasferiti anche nelle relazioni sociali

[…] Ogni gruppo creerà i propri strumenti, ogni gruppo si industrierà per smontare i cardini del neoliberismo, ogni gruppo non lotterà solo per sé ma, lottando per destituire i momenti fondanti di questa società, si costituirà come parte di un progetto generale.[…]  Non esistono metodi precostituiti, esiste il bagaglio esperienziale messo in comune. L’immediatezza del soccorso, la garanzia del gruppo, la presenza effettiva […] Idem pag. 102

Le persone disorientate e avvilite, devono poter trovare dei luoghi altri in cui riconoscersi e ritrovarsi fuori dai circuiti del potere. Non ci interessano affatto i luoghi della cultura ufficiale, non ci interessano i cinema, le mostre, i locali o le rassegne, i convegni o i congressi, le presentazioni o le palestre, i ristoranti, i centri sociali..non ci interessano i mercati, supermercati, ipermercati, centri commerciali, case delle donne…che chiedono permessi, documenti, lasciapassare…saranno nostri i luoghi in cui incontrarsi e produrre cultura e vita viva e vissuta. Sarà questa vita viva e vissuta a essere vita vera, a diventare cultura, formazione politica, strumento di alterità e liberazione.

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