“Pelle nera sociale.”
(19 ottobre 2016) Elisabetta Teghil, Mai contro sole, pp.158,161
Le uccisioni di persone afroamericane da parte delle forze di polizia che stanno avvenendo negli USA per le strade, ai posti di blocco o in semplici controlli di routine o dentro le carceri sono uno stillicidio. L’ultimo in ordine di tempo il caso di Michael Sabbie.
“Un nuovo video shock scuote l’America. Mostra almeno sei agenti che saltano addosso ad un detenuto afroamericano in una prigione tra il Texas e l’Arkansas. Michael Sabbie, 35 anni, implora “Non respiro, non respiro”. Il giorno dopo verrà trovato morto in cella. L’episodio è stato già ribattezzato come ‘un nuovo caso alla Eric Garner’, l’afroamericano di New York ucciso da un agente nel 2014 nonostante implorasse di mollare la stretta alla gola che lo stava soffocando.”
I “neri/e” sono assimilati e promossi socialmente se si integrano e si mettono la maschera bianca, se aderiscono ai valori di questa società, se sono disponibili a farsi tramite per la divulgazione dei valori dominanti. Il presidente degli Stati Uniti è nero, tanti/e giudici, magistrati, politici, poliziotti… lo sono, ma i neri sono la maggior parte della popolazione povera e oppressa e rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione carceraria. Vengono uccisi quotidianamente per le strade e sono socialmente emarginati a tutti i livelli, hanno i lavori più scadenti, sottopagati e senza nessuna tutela.
Anche da noi ai migranti si chiede l’integrazione. Il migrante bravo è quello che abbandona i suoi valori e assume quelli occidentali, che ce la fa, che sponsorizza questa società e contribuisce a sostenere leggi securitarie, Cie, perbenismo, legalità… e condanna come violenti quelli che non ce l’hanno fatta e sono rimasti in miseria e che protestano e si ribellano. Ai migranti appena arrivati si chiede di collaborare a pulire parchi, sponsorizzare il politicamente corretto, fare volontariato nei settori più disparati.
Ma questo non riguarda solo i/le migranti o gli/le afroamericani/e, riguarda anche quelle/i che hanno una pelle nera sociale.
E’ stato approvato, qui da noi, un Decreto Interministeriale, operativo dal 18 luglio 2016, che prevede che i poveri/e, gli emarginati, i senzatetto possano accedere a qualche aiuto e sostegno (che poi tra l’altro è sempre di minima) se collaborano al sociale, se si rendono conto che devono provare a partecipare a questa società, se prendono atto della loro scarsa attitudine a concludere “qualcosa di buono”, se realizzano che l’unica strada che hanno è quella di rimettersi in gioco, pena l’esclusione definitiva e a tutto campo.
“Il Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) è una misura di contrasto alla povertà che prevede l’erogazione di un beneficio economico alle famiglie in condizioni economiche disagiate nelle quali almeno un componente sia minorenne oppure sia presente un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata. Per godere del beneficio, il nucleo familiare del richiedente dovrà aderire ad un Progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa sostenuto da una rete integrata di interventi, individuati dai servizi sociali dei Comuni (coordinati a livello di Ambiti territoriali), in rete con gli altri servizi del territorio (i centri per l’impiego, i servizi sanitari, le scuole) e con i soggetti del terzo settore, le parti sociali e tutta la comunità. Il progetto viene costruito insieme al nucleo familiare sulla base di una valutazione globale delle problematiche e dei bisogni e coinvolge tutti i componenti, instaurando un patto tra servizi e famiglie che implica una reciproca assunzione di responsabilità e di impegni.”
Chiaramente bisogna essere attivi, chiedere la partecipazione, essere in possesso dei requisiti e venire inseriti in una “valutazione multidimensionale del bisogno (sic!)”. Per il progetto sono stati stanziati 750 milioni di euro per il 2016.
Quindi il problema non è dare i soldi, perchè basterebbe dare un contributo a chi è al di sotto di una soglia di reddito, no, il problema è di ottenere la colpevolizzazione del soggetto e la sua disponibilità a far suoi i valori di questa società.
La miseria e l’infelicità vengono ridotte ad un fallimento personale o a un problema psicologico. La società sarebbe sana, sarebbero gli individui incapaci di valorizzarsi e saperla vivere.
Così è anche per noi. Le donne vengono spinte ad integrarsi nei valori di questa società, a partecipare ai suoi destini, a propagandare che se una vuole e si dà da fare può ottenere qualsiasi livello di gratificazione economica e sociale come e meglio degli uomini. Ne deriva che questa è la migliore società possibile e che possiamo contribuire con la partecipazione attiva e la collaborazione ad apportare ulteriori correttivi. Quelle che si vendono al patriarcato attraverso l’uso dell’emancipazione per la propria promozione personale sponsorizzando questa società, che condannano la violenza di chi si ribella, quelle che collaborano, che ne sostengono i valori, riceveranno la mancia. Vengono presentate come femministe, e contribuiscono, sostenendo questo sistema, a tenere nella miseria, nella precarietà, nella soggezione tutte le altre e gli oppressi tutti.
Un integrazionismo violento che trascina ogni rivendicazione nel pantano di un asservimento volontario, in una litania di querule richieste di delega e di protezione,togliendo capacità di indignarsi e possibilità reattiva, un integrazionismo che riporta tutti alla condizione di esseri da tutelare, continuamente alla ricerca di attenzione e approvazione. Una dichiarazione di esistenza vincolata all’approvazione dello Stato e, per i popoli del terzo mondo,all’approvazione da parte della cultura occidentale e neocoloniale a cui si dovrebbero affidare mani e piedi legati.
E’ necessario riportare ad unità la lettura dei meccanismi neoliberisti, contribuire ad una analisi della società a tutto campo che esca dai percorsi categoriali. Questo riesce ad esplicitare meglio le nostre posizioni nello specifico femminista e può essere di aiuto nella comprensione delle modalità di disgregazione del sociale e del dissenso che il neoliberismo usa.
Porsi fuori e contro la società del capitale a partire da rifiuto della sua ideologia al fine di far valere la volontà di riscatto e di liberazione degli oppressi/e. Una pratica di riappropriazione, soddisfazione dei propri bisogni, fuori e contro il lavoro salariato, i ruoli, la meritocrazia, le gerarchie… sapendo che dobbiamo fare i conti con la socialdemocrazia riformista tutta tesa a coartare gli oppressi/e sul fronte interno e ad assoggettare con qualsiasi mezzo i popoli del terzo mondo sul fronte esterno.