Riceviamo dalle compagne friulane
Sui fatti di Campo S. Giacomo, a Trieste, nella mattinata del Primo Maggio 2020
Siamo i compagni e le compagne che hanno retto lo striscione con la scritta “Il virus uccide Il capitalismo di più”.
Stamattina ci siamo recati, come molti altri, in Campo S. Giacomo, su invito della Rete Triestina per il Primo Maggio e della Rete Antifascista-Antirazzista, per testimoniare il nostro punto di vista sulla situazione attuale, determinata dall’epidemia di coronavirus e sulle dinamiche sociali ed economiche dominate da provvedimenti di sospensione – o quantomeno di forte limitazione – delle libertà individuali e collettive (diritto di manifestare, diritto di sciopero…), proprio nel momento in cui il prezzo della crisi è e sarà pagato principalmente dai soggetti più deboli e sfruttati.
Dopo alcuni minuti nei quali reggevamo lo striscione (tre persone su una lunghezza di oltre cinque metri, quindi con rispetto delle distanze prescritte) ed in assenza di altre forme di comportamento e/o azione che normalmente qualificano una manifestazione – volantinaggi, discorsi amplificati, corteo, lanci di slogans – funzionari della Digos ci intimavano di chiudere lo striscione o abbandonarlo a terra, sostenendo che il suo dispiegamento, di per sé, costituiva una manifestazione non autorizzata. Di risposta affermavamo che ci limitavamo a reggere lo striscione stesso con le dovute precauzioni (indossavamo tutti le mascherine), rispettando le prescrizioni in materia di coronavirus. Nonostante ciò, la polizia passava alle vie di fatto, avventandosi in forze per strapparci di mano lo striscione. Tra le urla di disapprovazione e le proteste dei presenti, i poliziotti hanno di fatto determinato, con il loro comportamento, una situazione di “faccia a faccia” tra noi e loro e tra loro stessi, che ha fatto carta straccia di tutte le distanze di sicurezza tanto propagandate.
Un episodio di tensione da noi non voluto, foriero a detta degli stessi agenti di possibili denunce a nostro carico: episodio che dimostra una volta di più come i periodi di emergenza siano sempre e comunque funzionali a togliere spazi di comunicazione e incontro, ovvero di democrazia reale, aumentando la discrezionalità e l’onnipotenza delle forze di polizia.
Con la frase riportata, “Il virus uccide Il capitalismo di più”, intendevamo evidenziare la stretta connessione tra la diffusione dell’epidemia e l’attuale sistema di rapporti sociali e di produzione che, con la sua logica predatoria e di sfruttamento delle risorse naturali – minerali ed animali – ed umane, alla ricerca di margini di profitto sempre maggiori, sta portando l’umanità, sopratutto la sua parte più debole, al collasso. Non a caso, sembra che l’epidemia sia partita da una delle aree della Cina più industrializzate ed inquinate, ad altissima densità abitativa, in funzione della produzione, e in prossimità di allevamenti intensivi che – per le condizioni di vita degli animali – ne fanno un probabile diffusore di virus verso gli esseri umani, come denunciato negli ultimi anni da biologici ed epidemiologi non asserviti al potere economico.
Anche se il virus fosse uscito per sbaglio da qualche laboratorio di ricerca, altra ipotesi più volte avanzata, ciò non scagionerebbe il capitalismo dalla sua responsabilità, in quanto quel tipo di ricerca è determinata dalla sua volontà di manipolazione e dominio della natura, a scopo di profitto o bellico.
Non a caso in Italia la regione colpita per prima e più delle altre è la Lombardia, anch’essa ad altissimo tasso di industrializzazione ed inquinamento atmosferico, con una logica produttivistica, che costringe centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici a permanere in fabbrica o in ufficio a stretto contatto per lunghe ore.
Se quindi è corretto individuare nel sistema economico dominante la causa della pandemia, va evidenziato come la risposta del sistema sanitario nazionale sia risultata da subito insufficiente ed inadeguata a contenere la stessa, dopo che negli ultimi 30 anni governi di ogni risma hanno portato tagli alla sanità, riducendo drasticamente i posti letto, indebolendo i presidi sanitari, deviando risorse verso le strutture private, mettendo così a repentaglio la sicurezza di chi opera negli ospedali. Questo non è avvenuto per errore dei governanti, ma per la loro subalternità ai poteri economici, agli interessi di chi ha trasformato il diritto alla salute di tutti in un business per pochi. Peraltro, nel mentre, enormi risorse economiche sono state drenate a favore delle spese militari o per “grandi opere” dannose.
Ad oggi, la preoccupazione principale del governo è quella di riaprire le attività produttive, molte delle quali mai cessate realmente, continuando a ragionare con la logica del profitto come unico pensiero guida. Il risultato di tutto ciò è una situazione in cui dovremmo accettare una comunicazione unidirezionale dal potere verso le masse, la digitalizzazione dei rapporti sociali, il disciplinamento individuale, la militarizzazione sociale e territoriale, la possibilità di muoverci solo per lavorare ed acquistare. Quindi dovremmo accettare l’apparato produttivo di sfruttamento come l’unico legittimato a far valere le sue ragioni. O riusciamo a lottare contro tutto questo o tanto vale tenerci il virus…
DIFENDIAMO LE LIBERTA’ INDIVIDUALI E COLLETTIVE!
MAI PIU’ TAGLI ALLA SANITA’!
IL VIRUS UCCIDE, IL CAPITALISMO DI PIU’!
I compagni e le compagne che tenevano lo striscione
1° Maggio 2020 – Trieste