L’unica corona solidaleword

L’UNICA CORONA SOLIDALEWORD

di Noemi Fuscà

Dobbiamo tutte rimanere a casa. Ce lo chiede lo Stato, il nostro Stato, lo chiede per i deboli, lo chiede per il nostro futuro.

Sinceramente non ho voglia di stare a discutere se sia giusto passeggiare o no, lascerei proprio da parte i dibattiti sempre più digitali su cosa si può fare e cosa no. Perché la risposta è facile, non possiamo fare nulla. Tanto, anche nella “normalità”, abbiamo sempre e solo l’impressione di poter fare quello che vogliamo. Per fare un piccolo esempio mi sembra di impazzire meno di mio padre, perché la mia generazione è abituata a vivere nella precarietà e nell’idea di stare in un recinto in cui siamo controllati/e h24, lui, invece, figlio degli anni ’80 ha un tarlo dentro di sé che gli continua a dire che si potrebbe fare tutto e che è colpa di chi non capisce e non vuol capire se le cose vanno male. In effetti non è così, nemmeno lui poteva tutto, anzi non poteva niente, ma nell’aria c’era l’idea di questa possibilità e si poteva quasi toccare con mano. Il rapporto tra guadagni (anche se precari) e tenore di vita erano migliori di oggi, una casa di 70 mq a Testaccio costava 35 milioni di vecchie lire ora costa sui 400 mila euro (credo). Poi, noi ci hanno cresciuto tutti/e con la favoletta che se ti comporti bene alla fine andrà tutto bene (per usare gli slogan in voga sui social). Ma con chi dovremmo comportarci bene? Con la società costruita su un impianto neoliberista che ci mette l’una contro l’altra spacciando la concorrenzialità spietata per merito? Io questa società avrei voluto sabotarla e mi sono resa conto di non riuscirci, però il desiderio in me non muore anzi mi tiene viva, all’erta.

Allora, che cos’è la solidarietà? Andiamo a vedere la definizione della Treccani:

1.In diritto, modo di essere di un rapporto obbligatorio con più debitori (s. passiva) o con più creditori (s. attiva), caratterizzato dal fatto che la prestazione può essere richiesta a uno solo o adempiuta nei confronti di uno solo, avendo effetto anche per gli altri. 2. a. L’essere solidario o solidale con altri, il condividerne le idee, i propositi e le responsabilità…

Nel diritto addirittura riguarda qualcosa di obbligato, nel suo significato più comune invece  notiamo che dovrebbe riguardare la condivisione. Ora, io, con la maggior parte della popolazione non condivido nulla, anzi, peggio, siamo proprio su fronti differenti. Dovrei dare la mia solidarietà a tutti quelli che lavorano negli ospedali? A molti sicuramente sì, a tutti quelli/e che hanno lottato contro il modello che ci ha portato fino a qui e magari hanno pagato un prezzo alto, ma la dovrei dare anche a quelli che lì dentro sono stati e sono responsabili dei tagli alla sanità pubblica? a quelli/e che votano Pd e che quindi contribuiscono a sostenere questo stato di cose? a quelli/e che inneggiano al fascismo? a quelli/e che stigmatizzano o addirittura contrastano le donne che vogliono abortire perché tutelano la vita e poi sarebbero pronti a torturare chi non la pensa come loro? A questi soggetti io dovrei dare solidarietà?

Però la definizione della Treccani parla anche di responsabilità e, allora, noi, verso questa società, che responsabilità abbiamo? Tutti si riempiono la bocca parlando di diritti ma in realtà noi di diritti non ne abbiamo, viviamo appesi/e ad un filo che lo Stato, proprio quello che adesso fa appelli alla solidarietà può recidere in qualsiasi momento come fosse una Moira.

Abbiamo solo obblighi, il patto sociale è rotto, e non lo abbiamo rotto noi, perché parliamo di diritti? I diritti sono diventati leggeri come carta velina e gli obblighi pesanti come macigni. Viviamo in un continuo stato di eccezione, emergenza è la parola che sentiamo più spesso e gli appelli alla solidarietà sono tanti e continui.

La cosa che più mi lascia perplessa in realtà sono gli appelli ad agire seguendo il buon senso. Ma il buon senso di chi? Il buon senso di quale scala di valori? Questo modello di società esalta il comportamento individuale inteso come individualismo sfrenato, come mors tua vita mea, come prevaricazione sugli altri per conseguire il successo personale, l’America dream, un modello meritocratico che semina odio e rancore, quante volte avete visto gente arrabbiata perché invidiosa del successo di qualcun altro! La meritocrazia è un vero e proprio strumento di controllo e di asservimento, ma anche chi sgomita per servire, per poter fare la scalata sociale non si illuda, ormai la scala è chiusa, il potere usa e getta, molto peggio di come faceva il signore medioevale con i suoi servi.

Dicevo del buon senso. Il decreto ministeriale emanato l’altro ieri non obbliga a stare a casa, lo suggerisce, non vieta le passeggiate, le sconsiglia ma dice che dobbiamo avere l’autocertificazione  per gli spostamenti anche a piedi, altrimenti fioccano le multe. Quindi cosa ci dovrei scrivere STO PASSEGGIANDO? Tutto questo non ha molto senso, anzi un senso ce l’ha in effetti: dovremmo essere noi a diventare i gendarmi di noi stesse e a seguire di buon grado i consigli che ci vengono dati per il nostro bene. In realtà è il meccanismo abituale che mette in atto questo sistema che ci concede sempre una libertà tarpata. Possiamo uscire rispettando le regole, ma sarebbe meglio se ci auto-recludessimo in quarantena per non far viaggiare più il virus. Le fabbriche sono aperte, ma ho letto di una fabbrica che si è messa in quarantena autonomamente così da non fermare la produzione. Ma non sarebbe meglio, a proposito di buon senso, non morire per il profitto e pretendere dallo Stato che annulli i pagamenti di bollette, mutui, rate e cartelle esattoriali? Non crediate alle false promesse, ricordatevi che anche ai terremotati hanno fatto promesse su promesse e poi hanno dovuto pagare tutto. C’è stato anche qualcuno invidioso perché hanno avuto una pausa di un anno per i pagamenti delle tasse!

E noi, ripeto, di cosa dovremmo avere rispetto, a chi dovremmo solidarietà, empatia? E’ chiaro che c’è una discriminante e che rispetto, solidarietà e empatia non possono estendersi a tutta l’umanità. Il concetto di umanità ha sostituito quello della società divisa in classi e soprattutto è stato usato in funzione anticomunista, per impostare il principio degli opposti estremismi, così nazismo e comunismo sarebbero due facce della stessa medaglia, sarebbero tutti regimi totalitari, tutte le ideologie sarebbero da condannare mentre la categoria di “umanità” è un passepartout , va bene per tutto, un po’ come un vestito nero buono per tutte le occasioni. Scardinare le categorie politiche è stato un grande grimaldello per trasferire qualsiasi discorso o in una dimensione talmente rarefatta e superiore da essere inafferrabile o in una pesante strumentalizzazione di quelli che ancora ci ostiniamo a chiamare diritti con il pinkwashing, veganwashing, ecowashing tanto per citarne alcuni.

Siamo immerse in un sistema che non deve più nemmeno fare la fatica di asservirci e/o di opprimerci materialmente perché la metà del lavoro già lo fanno le persone da sole autocontrollandosi, controllando gli altri/e, addirittura diventando delatori e delatrici in nome del rispetto civico, del politicamente corretto, della condivisione e della tutela del bene comune(?).

E questo lavorio comincia prestissimo, con i bambini. Il palinsesto televisivo, per esempio, è stato subito cambiato dopo la chiusura delle scuole per il coronavirus perché, a loro dire, i bambini stando a casa avrebbero tanto tempo da occupare. Non che normalmente non funzioni così, ma in questo contesto viene tutto esaltato e allora via con cartoni studiati a tavolino da psicologi e pedagogisti, animazioni molto semplici ma che trasmettono la scala di valori vincente. E soprattutto i bambini devono imparare fin da piccoli a controllare l’ansia, le reazioni violente, la rabbia “mamma, non ti arrabbiare, ti faccio vedere io, ecco, butta fuori la rabbia così…” perché gli impulsi aggressivi, la voglia di dare un calcio negli stinchi al compagno di scuola che ti ha fatto l’ennesimo dispetto sono un problema individuale da controllare…non sia mai che da grandi reagiscano a soprusi e ingiustizie e che, magari, si accorgano che c’è chi sfrutta e chi è sfruttato. Allo stesso tempo, però, non credo nelle scuole alternative che “proteggono”, è meglio che fin da piccoli si rendano conto di come funziona questa società. Noi li possiamo aiutare raccontando loro il più possibile la verità senza togliere la speranza, dicendo che la loro libertà non finisce dove comincia quella dell’altro, ma che o siamo tutt* liber* o non è liber* nessun*.

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