Icone pop,mortadella e violenza maschile sulle donne

L’acqua KETA rovina i ponti: icone pop, mortadella e violenza maschile sulle donne.

di CanaglieCatanesi   Collettiva femminista

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Il progetto artistico-musicale della “diva” Myss Keta, alla faccia dell’autodeterminazione, nasce nel 2013 da un’idea di tre uomini: un producer, un regista e un grafico del collettivo milanese Motel Forlanini. L’artista, ex-CEO (Amministratrice Delegata) della Rovagnati Salumi S.p.A., ha pubblicato il suo ultimo album con l’etichetta major Universal e il suo libro con la Rizzoli, casa editrice del Gruppo Mondadori. Emersa dal mondo del clubbing milanese, Myss Keta si dichiara nostalgica del periodo yuppie. Il suo modello è la Milano da bere degli anni ’80 in cui giovani professionisti rampanti celebravano il tripudio dell’economia capitalistica. Strizzando l’occhio ai lettori, la performer scrive: “Rivoglio l’Avvocato Agnelli!”

Presentando l’uscita dell’album di Myss Keta, “Paprika”, la testata online Rockol.it titolava: “Mortadella femminista”. La “vocalist”, infatti, ha lanciato il suo nuovo album presso la gastronomia “Il Principe” di Corso Venezia a Milano, dove il 29 marzo 2019 i giornalisti sono stati accolti da panini alla mortadella e da una mortadella gigante, come quella che lei cavalca sulla copertina del cd. Una trasgressione da brivido. Si tratta di una citazione divertita – ironia e cinismo sono la cifra stilistica (con creanza parlando) di Myss Keta – del film “Bambola” (1996) con Valeria Marini, così come il titolo dell’album, “Paprika”, si rifà all’omonimo film di Tinto Brass (1991). Queste le trasgressioni “pazzeske” (come le “cagate” di fantozziana memoria?) che per i giornalisti musicali – e non solo per loro – renderebbero “femminista” Myss Keta.

Riesumando l’associazione erotica salume=pene, Myss Keta dichiara, in un’intervista rilasciata alla trasgressiva rivista Vanity Fair, che la mortadella “ormai se la porta ovunque”: “ho deciso di cavalcarla. Perché sai… si cavalca la vita, ma anche le mortadelle”. Sempre con ironia, oltre che le mortadelle, Myss Keta cavalca di recente anche il femminismo, pronunciando occasionalmente la parola “patriarcato”. D’altra parte, la performer si vanta di un “grande fiuto per gli affari” e delle proprie “geniali mosse di marketing” (Cit. Una donna che conta, Rizzoli 2018). Sarà quindi stata grata al movimento Non Una Di Meno che le ha offerto l’opportunità di allargare la sua audience, quando l’ha scelta come testimonial per l’appello alla manifestazione del 23 novembre a Roma contro la violenza maschile sulle donne.

Bastano pochi minuti su internet per farsi un’idea dei contenuti veicolati da questa “regina della trasgressione” (bigotti, tremate!), che ironizza tanto sulla carne insaccata quanto su quella femminile oggettificata per lo sguardo maschile. I suoi ammiccamenti verso Grandi Maestri come Salvador Dalì, Andy Warhol e Tinto Brass, di cui dice scherzosamente di essere stata la musa, sono un esempio della sua graffiante ironia. Se non si coglie il sagace umorismo, magari perché si è bigotte, o semplicemente femministe, ci sarà sempre qualcuno pronto a esclamare: “E fattela una risata!”

Il paradosso politico di un movimento che promuove la lotta contro la violenza maschile sulle donne accreditando Myss Keta come propria testimonial dovrebbe essere evidente ma, da quando l’antifemminismo ha stabilito che la linea vincente è travestirsi da femminismo, è facile confondere le acque. Qui ci limitiamo a rilevare, da feminist killjoys, alcune contraddizioni macroscopiche: 1) Myss Keta dichiara di avere “un forte legame” con Fabri Fibra (che lei “ama”), lo stesso rapper la cui violenta misoginia è stata denunciata sul blog nazionale di Non Una Di Meno nel dicembre 2018 (articolo di Wissal Houbabi) 2) Myss Keta si fa fotografare con mortadelle finte tra le cosce e mortadelle vere in mano, in salumeria: un “tavolo” di Nudm intenderebbe parlare anche di violenza su corpi di animali non umani e di disastro ecologico (quello causato per es. dagli allevamenti intensivi della carne) 3) una hit di Myss Keta si intitola “Burka di Gucci”; nel video di un altro suo pezzo compaiono ballerine che indossano burqa colorati; nella canzone “Pazzeska” ricorre una melodia orientaleggiante a effetto soft porno, e così via. Nudm ha sempre sostenuto di condannare l’immaginario razzista e colonialista: ma l’orientalismo bianco di Myss Keta, a quanto pare, va benissimo. La nuova testimonial di Nudm canta, avvolta nel suo burqa di Gucci: “me ne fotto della crisi / Il mio uomo è dentro all’Isis”. Ma Nudm non sosteneva le combattenti in Rojava, quelle che muoiono ammazzate dall’Isis?

Curioso che un movimento che non perde occasione per definirsi “intersezionale” e rinfacciare alle femministe la cecità ai molteplici assi di oppressione, si faccia rappresentare da un’icona pop che mette in scena la nostalgia per l’Avvocato Agnelli e trova motivi di buonumore, oltre che occasioni di profitto, nelle spiritosaggini sul burqa e sullo sfruttamento animale.

Myss Keta scherza sempre.  Quando è seria, invece, alla domanda “quale insegnamento vuoi dare attraverso la tua musica?”, risponde: “Voglio insegnare a tutti… (rullo di tamburi) … ad accettare se stessi”. Quale sia il nesso con la lotta femminista alla violenza maschile resta un mistero. Al fenomeno della “mortadella femminista”, rigiocato dal movimento Nudm sul piano dell’immaginario, corrisponde un vuoto sul piano politico. Perché, infatti, dilungarsi in faticose discussioni all’interno del movimento, quando – come osserva saggiamente la nostra – “Io penso che lo slogan, il cliché, sia diventato il modo più naturale e diffuso di esprimersi ormai”. Chi meglio di lei può dirlo?

[Foto: dettaglio da “Chi è Myss Keta, l’artista pop super fashion” in “Luxgallery. Il portale del lusso”, agosto 2019; Immagine tratta dalla pagina fb di Myss Keta ]

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