“Siamo all’offensiva?”
Siamo tante, siamo all’offensiva, il movimento delle donne salverà il mondo. Questo è il refrain che circola in lungo e in largo. E non sarà questo lo specchio dei tempi? Cioè che un movimento senza nessuna possibilità di incidere e di cambiare alcunché sembri vincente?
Quello che viene propagandato come “movimento delle donne” è dichiaratamente interclassista, le sue rivendicazioni sono di richiesta di riconoscimento e di tutela allo Stato e ha un’impostazione esplicitamente corporativa.
Lo sciopero è un’arma di lotta che dovrebbe mirare a cambiare un rapporto di forza attraverso il danneggiamento della controparte e a ottenere un risultato preciso. Si può fare sciopero bloccando tutto il servizio del pubblico trasporto perché non si vuole la privatizzazione del servizio, tanto per fare un esempio, o si può fare sciopero generale bloccando tutti i servizi della città perché non si vuole l’approvazione di una legge che sta passando in parlamento come il finanziamento delle missioni militari all’estero, tanto per farne un altro, ma è impensabile fare sciopero per la pace nel mondo. C’è forse qualcuno/a che non è d’accordo sulla pace nel mondo? Farebbero sciopero anche quelli che le guerre le fanno e le fomentano. Quindi ciò che salta agli occhi di primo acchito è che non può essere impostato uno sciopero contro la violenza sulle donne o sulle ingiustizie di questa società perché tanto sono d’accordo tutti e tutte, compresi tutti gli uomini e tutte le donne che sono direttamente responsabili della costruzione della società neoliberista e della perpetuazione del patriarcato.
Però, con una lettura più attenta ma neanche chissà quanto approfondita, il motivo vero balza fuori evidente. Le donne della socialdemocrazia riformista che hanno impostato qui in Italia questo movimento vogliono soldi, vogliono finanziamenti, vogliono carriere, vogliono che sia riconosciuto il ruolo delle donne che in questa società in effetti fanno parte della struttura di dominio ai livelli e nelle modalità più disparate. E, infatti, i fondi li avranno. Verranno dati alle strutture dell’associazionismo femminile che come tutte le altre strutture dell’associazionismo vivono per se stesse e sono dei coaguli di interessi, verranno dati alle fondazioni, ai progetti…verranno effettivamente gratificate le donne che fanno parte dei gangli del potere e delle strutture di controllo e di diffusione del credo neoliberista: donne varie in divisa, magistrate, giudici, professore, giornaliste, docenti universitarie, intellettuali varie, ministre, donne in carriera ai vertici dello Stato e dei gangli istituzionali… le altre, le donne qualunque, verranno rigettate brutalmente nel calderone delle sfruttate, nel lavoro di cura, a fare le cameriere in casa delle emancipate, rimarranno precarie, sfruttate, sottopagate, ma verrà loro propagandato il credo, vero e proprio specchietto per le allodole, della possibilità della promozione individuale. Potrebbero arrivare anche loro e fare carriera, il paradiso è a portata di mano, basta volerlo, basta che lo Stato riconosca la validità e la funzione del loro apporto.
La struttura patriarcale così rimane immutata e non si illudano le donne che pensano di essere entrate nell’organizzazione del sistema, sono in libertà vigilata, quando e se non serviranno più verranno rigettate da dove sono venute. Il dominio patriarcale è assoluto, gerarchico, verticistico e piramidale e non si cambia dall’interno.
Il neoliberismo spinge alla spoliticizzazione delle lotte, alle rivendicazioni fatte attraverso la Class Action, le associazioni dei consumatori che essendo prive di connotati di classe e comprensione dei meccanismi politici mirano a far valere dei così detti diritti molto circoscritti, molto spesso di risarcimento personale, di più persone che singolarmente vogliono tutela e strumentalmente si aggregano in gruppo. Questa è la modalità portata avanti da questo movimento delle donne che si autodefinisce “globale”.
Non è un caso infatti che non incida minimamente sulle politiche neoliberiste, ma anzi le supporti richiedendo un correttivo qui e uno là, un programma educativo qui e uno là e, di fatto, riconoscendo la struttura portante del sistema e diventandone un fiore all’occhiello ogniqualvolta questo finge di garantire qualche piccola cosa.
Una delle caratteristiche proprie di questo tipo di movimento è la capacità di fare marketing con l’uso di un battage pubblicitario che si autopone come vincente senza esserlo, che si presenta come rivoluzionario senza esserlo, che si presenta come anticapitalista senza esserlo, in pratica la sintesi della miglior capacità di fare propaganda mediatica. Attualmente, infatti, una delle caratteristiche di questa fase del capitale non è più fare pubblicità per rendere accattivante un prodotto, ma rendere accattivante e coinvolgente qualcosa che non esiste affatto. Una pura produzione di fantasia completamente avulsa dalla realtà ma che coinvolge le persone e, in questo caso le donne, facendo loro credere che stanno lottando per la loro liberazione e invece stanno partecipando attivamente ad un progetto di asservimento in chiave modernizzata. Le parole sono belle quanto vacue e l’obiettivo mistificato e inconfessabile: attraverso l’impostazione di una scala di valori “politicamente corretta” reimpostare il controllo sociale in maniera molto più raffinata con la partecipazione attiva delle vittime.
Ci si appassiona per un messaggio irriverente, si usano parole dissacranti, ma non si racconta che questo serve solo a essere “chiacchierate”, vale a dire a fare pubblicità, a vedersi rimbalzare sui network e ad accrescere il messaggio pubblicitario stesso. La sconfitta della lotta di classe in questo paese e la dimensione “buonista” e fortemente reazionaria e conservatrice della sinistra socialdemocratica hanno permesso l’uso di linguaggi e di modalità propri della sinistra il cui carisma viene usato per ben altri scopi.
E così questo movimento delle donne si autorappresenta come scomodo per questa società, come ribelle, come anticapitalista e l’esibizione diventa un meccanismo del capitalismo mediatico. Tutto si risolve nell’ épater les bourgeois, ma questa epidemia di ribellione non impressiona né il capitale né le sue articolazioni repressive. Anzi è questo stesso movimento che le coinvolge nei suoi percorsi ed obiettivi dato che le deve “sensibilizzare”, “educare”, “formare” al rispetto di genere. Cosicché nelle piazze ogni volta che qualche manifestante verrà manganellata, il celerino di turno avrà imparato a non chiamarla “brutta troia”, ma solo “sporca comunista”. Allo stesso tempo resta fermo lo stereotipo della donna come oggetto di piacere o soggetto domestico che, anche quando è emancipata e lavora fuori casa, sorveglia la sua abbronzatura, l’odore delle sue ascelle, i riflessi dei suoi capelli. La linea del suo reggiseno o il colore delle sue calze.
Lo sfruttamento è lo stesso, anzi molto più violento, l’impoverimento è generalizzato, la soglia di povertà pericolosamente abbassata, la pretesa di coinvolgimento da parte del potere, nei suoi obiettivi, colpevolizzante e ricattatoria, ma la gratificazione dovrebbe giungere radiosa per una donna nell’esercizio del licenziare, giudicare, punire, stigmatizzare, educare, sorvegliare, fare carriera, esercitare comando.
Oggi siamo nella stagione dell’affermazione del neoliberismo che è il risultato di una dottrina politica nata in America, che è stata sperimentata in vili corpore nel Cile di Pinochet, che ha permeato la società statunitense e che si è irradiata in tutta Europa passando attraverso la testa di ponte della Gran Bretagna e che qui da noi è stata naturalizzata dal PD annessi e connessi. Oggi si può dire che il neoliberismo ha impregnato dei suoi valori economici, politici e culturali tutta la società.
Fino a non molto tempo fa il dibattito che coinvolgeva le avanguardie poneva il problema che non fosse più sufficiente fare la rivoluzione per, ma che bisognava fosse fatta da, oppure ci si chiedeva se il nemico principale fosse l’Unione europea o gli Stati Uniti, oppure ancora, come si potesse affrontare il problema della Nato, uscendo o mandando via le basi dall’Italia. E il femminismo si chiedeva come scardinare la struttura gerarchica e autoritaria della società in cui gli uomini erano “oggettivamente agenti del capitale” come diceva Ulrike Meinhof.
Ora tutti questi temi sarebbero superati perché è vero che il neoliberismo si è imposto in quasi tutti i paesi e qualcuno, che ancora non è stato addomesticato, rischia di brutto, ma, tranquilli/e, il movimento delle donne è all’offensiva su scala planetaria!
I candidati, comprese le candidate, con programmi neoliberisti vincono le elezioni e sono votati da uomini e donne, le scelte economico-sociali portate avanti nella maggior parte dei paesi e non solo in quelli a capitalismo avanzato sono devastanti e sono corroborate dalla partecipazione e costruzione attiva di un numero di donne molto alto, ma le donne sarebbero all’offensiva.
In Polonia ci sono state manifestazioni di piazza molto partecipate anche questo febbraio con il Black Friday contro l’ulteriore inasprimento di una legislazione sull’aborto che già così com’è di fatto non lo permette. Ma la Polonia la legge sull’aborto l’aveva fino al 1993 quando ha intrapreso un percorso neoliberista molto serrato che in questi anni ha trasformato il paese. Ora è governato dalla destra integralista e la chiesa cattolica ha un peso molto forte. Ma le migliaia di donne che sono scese in piazza chi hanno votato in questi anni, che scelte politiche hanno fatto? La mano destra non sa quello che fa la sinistra? E in Argentina Macri chi lo ha votato? Davvero è possibile pensare che l’oppressione sulle donne sia qualcosa di avulso dal percorso politico di un paese? davvero è possibile pensare che l’oppressione patriarcale sia un problema culturale?
Poi, un forte movimento comporta di conseguenza dei risultati politico-sociali importanti proprio perché il sistema di potere tende ad arginare le lotte con delle concessioni che magari si ripromette di rimangiarsi, ma che nell’immediato sono il risultato di un rapporto di forza.
Ma oggi tutto questo non c’è in nessun paese e in nessun ambito. Allora, come la mettiamo con l’offensiva del movimento delle donne che sta scardinando il neoliberismo? Nella migliore delle ipotesi, un conto è auspicare qualche cosa, altro è dire che si stia realizzando.
Allo stato attuale, sempre le solite, le socialdemocratiche, vogliono far passare i loro desiderata per qualcosa di rivoluzionario. E’ sempre lo stesso gioco, vogliono i soldi dallo Stato ma passare per antagoniste con il permesso della magistratura e delle forze dell’ordine. E guai a gridare che il re è nudo, il livore si scatena tutto nei confronti di chi racconta quello che vede.
Il sistema di potere in questa fase storica ha affinato una grande capacità, quella di riuscire a portare in piazza a manifestare per qualche cosa un gran numero di persone, montando e creando ad arte un evento attraverso una serie di meccanismi ormai collaudati e allo stesso tempo di convincere queste persone che il mondo è pieno di ogni “bruttura” ma noi ci possiamo autoassolvere perché partecipiamo a una lotta ecologica o sociale o femminista, danzando nelle piazze tutte insieme come per One Billion Rising, la rivoluzione globale a passo di danza contro la violenza sulle donne. Una sorta di rivoluzione colorata applicata al sociale.
Il neoliberismo ha vinto e si è affermato in tutti i campi e quelle poche realtà che si sottraggono vivono sotto minaccia. Il neoliberismo è un mostro a tre teste perché ha realizzato una società contemporaneamente nazista e impregnata di valori vittoriani ed è tornato ad una divisione di classe di stampo medioevale. Ma tutto ciò è stato possibile grazie ad un rapporto incestuoso tra i nicodemisti che ci sono sempre stati e i talmudisti che hanno prodotto un mostro come il sicofante.
Le donne non sono affatto all’offensiva in nessun campo come del resto la classe operaia e i subalterni che sono spauriti, intimiditi, frustrati e sconfitti, anzi sono strumentalizzate come non mai.
Quello che invece andrebbe fatto in questo frangente è individuare e lottare contro i gangli portanti del neoliberismo. E non è un caso che quasi nessuno, tanto meno questo movimento delle donne, abbia intenzione di affrontarli. Stiamo parlando del legalitarismo, strumento di accettazione passiva della legalità borghese, della meritocrazia che si trasforma in darwinismo sociale, per cui per i ricchi e per i potenti il paradiso è già su questa terra, delle “guerre umanitarie” e delle missioni all’estero, per cui noi bianchi, dato che siamo superiori e, bontà nostra, animati da nobili principi, portiamo guerre, colpi di stato e destabilizzazioni ai popoli del terzo mondo rilanciando nel terzo millennio il colonialismo, mutando le parole, ma confermando la sostanza.
Per non parlare del politicamente corretto, questa melassa appiccicosa che invischia tutto e tutti, non permettendoci di gridare ai quattro venti la verità delle cose. Perfino lo Stato borghese così detto “democratico” è stato smantellato e più precisamente rimane come comitato d’affari delle multinazionali che si appoggiano sulla borghesia imperialista o transnazionale che ha relegato la restante borghesia ad un ruolo di servizio e l’unico compito che ha è di mantenere un apparato repressivo mastodontico e di investire somme ingenti nell’industria militare/securitaria smontando contemporaneamente ogni forma di intervento nel sociale e nei compiti di tutela e di distribuzione della ricchezza. Per poter aggredire i momenti che hanno reso possibile la vittoria del neoliberismo bisogna cominciare a chiamare le cose con il loro nome e ricominciare a fare storia e a raccontarla per quello che è.
Senza andare troppo lontano dovremmo cominciare dal raccontare la lotta armata in Italia, l’esperienza della RAF, delle Black Panthers che non significa riproporle o auspicarle ma molto più semplicemente narrarle per quello che sono state e hanno rappresentato altrimenti la borghesia imperialista continuerà a macinare terreno, a conquistare tutti gli anfratti della vita e a ubriacare la gente con parole vuote e inutili e riti consolatori che secondo una certa sinistra dovrebbero portare a miglioramenti sociali ed economici attraverso finanziamenti dello stato e deleghe. Ma questa sinistra non si illuda, non approderà a niente e si sta svendendo per niente, alle elezioni trionferà l’astensionismo. Per loro rimarrà l’argent de poche, la mancia al personale di servizio.
E per non parlare poi dell’attacco massiccio e invasivo alle tasche degli italiani. Smascherare il ruolo dell’Agenzia delle Entrate, che ha assunto caratteri polizieschi come d’altro canto anche i servizi sociali, e della tassazione esasperata e indirizzata non solo a drenare ricchezza, a prendersi case, stipendi e risparmi e perfino gli oggetti d’oro che la maggior parte delle famiglie ha ormai venduto ai vari strozzini sparsi per le città, ma anche a tenere a bada qualsiasi tentativo di ribellione e autorganizzazione, è una necessità. Invece è un tema tabù. Quella che costituisce la principale angoscia di vita della maggior parte delle persone viene taciuta, se non contrabbandata proprio da questa sinistra come un problema da ricchi. Tutto quello che costituiva la sicurezza di vita, questa sì vera e non quella dei militari nelle strade, è diventata nella lettura neoliberista simbolo di ricchezza: la casa di proprietà comprata con i risparmi di una vita, la seconda casa che nella stragrande maggioranza dei casi era la casa dei nonni o un riferimento per le vacanze che funzionava come valvola di sfogo, la liquidazione che una volta assicurava una vecchiaia serena e un aiuto ai figli che viene presentata quasi come un furto, la pensione… Il cappio fiscale non viene raccontato per quello che è, un drenaggio di denaro nei confronti dei cittadini a favore delle multinazionali e della borghesia imperialista, ma come un prendere ai ricchi per dare ai poveri con un rovesciamento dei termini del problema da lasciare senza fiato, ma che, d’altra parte è stato utilizzato con successo nei confronti delle popolazioni del terzo mondo.
Il controllo della vita dei cittadini e delle cittadine non si esplica solo nel controllo dei territori attraverso la militarizzazione e le migliaia di telecamere sparse in ogni ambito, ma, e soprattutto, attraverso un progetto a tutto campo iniziato con la carta di identità elettronica, con il prelievo delle impronte digitali a questa legato, con il prelievo coatto del DNA in svariate situazioni e che ha come obiettivo il completo controllo della nostra esistenza. Questo tipo di programma che qui da noi è appena iniziato, la carta d’identità elettronica è del 2014, in altri paesi a socialdemocrazia avanzata, per esempio la Svezia, è molto avanti ed è in via di sperimentazione il chip sotto pelle che consente un monitoraggio totale di ogni individuo. La pericolosità di questa impostazione è lampante ma non è oggetto di nessuna azione politica di contrasto, neppure di denuncia, escluse poche voci isolate che predicano nel deserto. Qualcuno/a ha messo in guardia la gente rispetto alla nuova carta d’identità o l’ha sensibilizzata rispetto al rilascio delle impronte digitali? Qualcuno/a si è opposto a suo tempo al microchip sotto pelle agli animali domestici? Ma pensate veramente che noi siamo e saremo trattati in maniera diversa?
Le spese militari, poi, non sono costituite solo da quelle ufficiali ma soprattutto da un’altra miriade occultata nelle pieghe più strane e con le voci più svariate in programmi, progetti, finanziamenti governativi e paragovernativi non direttamente riconducibili all’impegno militare che ne rendono difficile la lettura e che dovrebbero essere oggetto di un attento monitoraggio perché ci darebbero l’effettiva percezione che l’Italia di fatto è in guerra.
Di fronte a tutto questo spicca il silenzio della quasi totalità della sinistra così detta antagonista e quei pochi e poche che si espongono pagano un prezzo molto alto.
Il movimento non esiste e neanche il movimento femminista. Quale offensiva! Dare una lettura di questo tipo è un’eresia dettata da interesse o da miopia.