“…di luce intellettual piena d’amore”
L’esito del primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile ha lasciato sbigottiti se non amareggiati tanto che alcuni uomini politici e della società civile della sinistra brasiliana hanno lanciato appelli all’unità per contrastare la vittoria di un candidato che si richiama esplicitamente ai valori della dittatura militare e che spara a zero contro la classe politica, sentina di ogni male. Questi appelli animati da buone intenzioni dovrebbero essere però corredati dal racconto di quello che è successo in questi anni in quel paese. Una categoria di persone che si autodefinisce di sinistra ha sollevato una miriade di eccezioni, chiamiamole eufemisticamente così, nei confronti dei governi Lula e Roussef “scoprendo” l‘esistenza delle favelas, dei ninos de rua, la brutalità della polizia…tutte cose vere ma che da tempo immemore esistono in Brasile. Sembrava, invece, dal loro racconto che fossero nate con quei governi. Naturalmente non sono mancati dotti cattedratici che hanno pontificato che i governi Lula e Roussef, essendo troppo cauti si erano allontanati dai bisogni del popolo.
Di converso il governo Maduro, sempre secondo questi perspicaci analisti, si sarebbe allontanato dal popolo per il motivo inverso, aveva fatto una fuga in avanti. E sempre costoro auspicavano la discesa dalle colline del popolo che avrebbe dovuto rovesciarlo. Naturalmente ci sono anche i più raffinati che, dimentichi di quello che avevano detto a suo tempo di Chavez, ci raccontano che Maduro lo ha tradito e comunque è tutt’altra cosa.
Gli scenari cambiano ma il risultato finale è sempre lo stesso: Rafael Correa avrebbe avvelenato la terra, inquinato l’atmosfera e tradito gli ecuadoregni, in Nicaragua gli ex guerriglieri avrebbero affossato lo spirito e gli ideali della rivoluzione e sarebbero passati dall’altra parte della barricata reprimendo il popolo. Il ritornello è sempre lo stesso < i sogni muoiono all’alba>. Dulcis in fundo ci sono anche i duri e puri che ci raccontano che tutte queste sono lotte inter borghesi, fra frazioni della borghesia, e che invece si deve stare con la classe operaia rimandando al giorno del poi e all’anno del mai ogni appuntamento di lotta. Come è successo, d’altra parte, con la proclamazione della repubblica catalana. <Noi non appoggiamo la repubblica catalana, siamo colti e incliti e guidati dalla coscienza di classe, noi vogliamo la repubblica federale spagnola>. Come a dire <noi non ci saremo ma la vedranno i nostri nipoti e pronipoti, noi intanto non prendiamo posizione e pensiamo in grande>. Il fatto è che non prendere posizione, è prendere posizione.
E che dire del governo dei Kirchner che aveva aperto i processi contro torturatori e responsabili della dittatura militare in Argentina, ma anche aperto alla rivendicazione e riabilitazione delle lotte e dei progetti emancipatori delle vittime rendendo palese inoltre questo posizionamento con azioni simboliche come la rimozione del quadro di Videla dal “Colegio Militar di Campo de Mayo”.
Ma Cristina Kirchtner è una borghese e perciò il suo appello ad unire tutte le forze che si opponevano al neoliberismo è rimasto inascoltato. Risultato? l’Argentina è stata consegnata a Macrì, neoliberista dichiarato che ha trovato subito il tempo di chiedere e prendere i soldi del FMI facendo ripiombare quel paese nella palude della miseria, dell’ingiustizia sociale da cui tanto faticosamente si era sollevato anche attraverso il rifiuto di pagare i debiti alle multinazionali finanziarie che ne strangolavano l’economia. Il tutto condito dalle denunce a Hebe Bonafini di aver sottratto e distolto soldi dell’associazione delle madri di Plaza de Mayo e dall’uccisione di un militante come Maldonado.
Però, mentre tutti costoro che si autodefiniscono, bontà loro, di sinistra, remano contro questi governi a loro dire poco progressisti o troppo progressisti, troppo socialisti o poco socialisti, poco avveduti o troppo avveduti, il grande capitale ne coglie in pieno la natura e l’aspetto, distribuisce colpi di stato bianchi, destabilizzazioni interne, attività provocatorie e in un modo, nell’altro o nell’altro ancora li rovescia.
Una volta si diceva a proposito di persone come queste ma <ci sono o ci fanno?> la domanda vale anche ora però il fatto che ripetano sistematicamente gli stessi meccanismi, che non prendano mai atto delle esperienze toccate con mano fa pendere la bilancia dalla parte del <ci fanno>. Inoltre, oggi non è più la stagione dell’infiltrato con il bavero alzato e gli occhiali scuri, è quella dei cattedratici, dei Think tank, dei centri studi. Un panorama completamente diverso da quello che conoscevamo anche solo vent’anni fa rispetto al quale ci dovremmo attrezzare prendendo consapevolezza di chi tira le fila. Il nemico principale è il neoliberismo e ognuno/a nel proprio paese dovrebbe smascherare e combattere i partiti che si ripromettono di naturalizzarlo.
Per questo è necessario unire tutte le forze che al neoliberismo si oppongono. Non è il principio che il nemico del mio nemico diventa mio amico, ma è il principio della convergenza delle forze che si oppongono del neoliberismo alla vittoria. Non è la politica del male minore, ma la consapevolezza del male peggiore.
E’ il principio che auspicava Gramsci alla vigilia del fascismo e, dando per scontato che da parte di qualcuno ci sia la buonafede, non è proprio il caso di fare come Bordiga, della cui onestà intellettuale nessuno dubita, ma di esercitare egemonia culturale e politica nell’ambito delle forze anti-neoliberiste.
Il fascismo in orbace continuerà a fare da manovalanza al grande capitale, ma il fascismo odierno è il neoliberismo che non utilizza più il linguaggio, la fraseologia, i riti del fascismo storico ma dal punto di vista delle pratiche invasive, di controllo, di repressione nonché della cultura colonialista e guerrafondaia non ha eguali. Non vorremmo fare la fine di Rosa Luxemburg e degli spartachisti repressi e uccisi dalla socialdemocrazia tedesca.
E’ necessario raccontare che è la socialdemocrazia che votando i crediti di guerra, individuando e reprimendo gli spartachisti ha creato le premesse per l’ascesa del nazismo. Il nazismo è andato al potere per via elettorale a causa delle scelte scellerate della repubblica di Weimar, non è un fenomeno che nasce all’improvviso, un fulmine a ciel sereno e le sue caratteristiche sono proprio quelle del neoliberismo. E’ questo l’aspetto più importante da sottolineare e da mettere in luce, altrimenti si finisce con l’agitarsi contro il fascismo in orbace facendo il gioco del fascismo vero che costituisce l’anima della socialdemocrazia riformista.
I partiti sono i terminali degli interessi delle frazioni della borghesia, non vivono in un empireo di luce intellettual piena d’amore. Berlusconi rappresentava gli interessi della borghesia nazionale e perciò ha seguito il destino di quest’ultima, sconfitta e rimossa dalla storia. L’attuale governo rappresenta gli interessi della piccola e media borghesia che non hanno futuro. Il Pd comunque lo si voglia chiamare e comunque si voglia riciclare è il referente della borghesia transnazionale. Ma la partita è taroccata. La vittoria è stata già assegnata all’iper borghesia o borghesia transnazionale o borghesia imperialista che dir si voglia.
Per citare sempre Gramsci, <pessimismo della ragione, ottimismo della volontà>. Siamo chiamate/i a questa guerra perché è anche l’unico modo per tentare di allontanare lo spettro della guerra mondiale verso la quale si è incamminata con passo veloce la borghesia imperialista.
Bisogna ricordarsi del concetto gramsciano di egemonia culturale e cercare di non dimenticare mai i principi cardine che guidano la nostra collocazione politica di classe.
La legge non è altro che la sanzione formale di un rapporto di forza. Dobbiamo ricordarcelo ad ogni passo e non immergerci nella palude della legalità I tecnici sono al servizio di una linea politica, ne sono i traduttori nella quotidianità. La meritocrazia è un insulto in una società divisa in classi. La convivenza civile è un consegnarsi con le mani legate a chi il potere ce l’ha e lo esercita. L’economia non è neutrale ed asettica, non ci sono ambiti in nessun campo che lo siano. Non è neutrale la presunta autonomia della Banca d’Italia, non è neutrale optare per la lira o per l’euro…non sono neutrali gli aiuti <umanitari>, non sono neutrali le Ong… Sono tutte scelte politiche e noi abbiamo il dovere di posizionarci.
Abdicare al nostro ruolo e alla nostra collocazione, non rivendicare la nostra lettura di classe porterà alla sparizione non solo dell’immaginario di una possibile uscita da questa società ma della stessa parola <sinistra>.