Roma – Sul presidio solidale e la situazione nel CPR di Ponte Galeria
Domenica 7 ottobre un gruppo di persone solidali ha partecipato al presidio di fronte al CPR di Ponte Galeria per portare solidarietà alle donne rinchiuse all’interno.
Nella cornice della Fiera di Roma dove si stava svolgendo il Romics (la fiera del fumetto), centinaia di persone sono passate accanto alle mura di un lager senza conoscere e interessarsi della reclusione forzata di donne che, per il fatto di non possedere una carta che ne legittimi la presenza sul suolo italiano, sono state rapite dalla loro vita quotidiana, il lavoro, gli affetti, le speranze di trovare una nuova vita altrove.
In continuità con i governi passati, presenti e futuri, la politica dell’oppressione colpisce gli elementi più deboli, le persone appena arrivate dopo viaggi pericolosi in mare o le lavoratrici residenti in italia da anni, sfruttate dal padrone, in fuga delle violenze di un compagno, ricattate per il permesso di soggiorno. All’interno dei CPR la reclusione si vuole estendere dagli attuali 90 a 180 giorni, raddoppiando così l’isolamento e la sofferenza dell’attesa di una decisione che potrebbe ricondurre la loro esistenza al punto di partenza.
Accanto, nella sezione maschile, ormai chiusa da tre anni grazie alle rivolte di chi vi era recluso, proseguono i lavori di ristrutturazione.
Durante il presidio numerosi cori, musica e interventi dal microfono hanno cercato di mettere in contatto i/le solidali all’esterno con le donne all’interno. Quest’ultime si sono fatte sentire prima con saluti, poi richiedendo il numero di telefono con cui è stato possibile comunicare e ricevere notizie più dettagliate.
Le donne si sono passate il telefono permettendoci di parlare con molte di loro.
Al momento ci sono circa 80 recluse di diverse nazionalità. Molte di loro si trovano da tanti anni in Italia, alcune ci sono nate, hanno qui famiglia e affetti, la loro vita.
I racconti che giungono da dentro sono già tristemente noti: cibo che fa schifo, continui malesseri, medici che rispondono alle loro richieste somministrando farmaci a caso, impossibilità di parlare con i familiari, avvocati che prendono tanti soldi per non fare nulla, le menzogne degli operatori, che hanno provato a nascondere alle donne la nostra presenza lì fuori raccontando che le grida che sentivano venivano da un campetto di basket!
Nonostante i continui tentativi di infantilizzarle e trattarle da ingenue, le donne comprendono benissimo l’ingiustizia di uno stato razzista che le imprigiona, le sottrae per mesi ai propri cari con l’intento di costringerle a tornare nei propri Paesi d’origine, che a malapena conoscono, da cui mancano da anni e che, evidentemente, hanno scelto di lasciare. Così come hanno capito che eravamo lì per loro ed è stata grande la gioia che ci hanno manifestato, e lo è altrettanto la nostra ogni volta che riusciamo a sentire le loro voci oltre quelle alte e pesanti mura.
Restiamo accanto a chi lotta in ogni prigione.
nemic* delle frontiere.