Le stalle di Augia
di Rosalba Corradazzi
La quinta fatica di Ercole consisteva nel ripulire le stalle di Augia che ammorbavano l’aria e inquinavano l’atmosfera e il terreno.
La quinta operazione letteraria di Elisabetta Teghil <Mai contro sole> uscita a luglio per le Edizioni Bordeaux, consiste nel fare qualche cosa di simile. Nella stagione dell’autointossicazione neoliberista si sta attuando e compiendo il passaggio dalla contrapposizione tradizionale tra borghesia e proletariato all’affermazione di una borghesia transnazionale destinata a soppiantare la vecchia borghesia relegata ad un ruolo di servizio come viene ribadito nelle pagine del libro.
Il testo si dipana raccontando il disastro della disoccupazione massiccia, il moltiplicarsi dei posti di lavoro precari, l’aggravarsi delle disuguaglianze, la messa in discussione dei sistemi di tutela sociale che sono le caratteristiche più evidenti e manifeste di questa stagione. In nome della flessibilità e della adattabilità l’occupazione si va precarizzando accompagnata dalla diffusione dei contratti a termine, del lavoro temporaneo, degli impieghi sottopagati spesso nelle attività più usuranti e pericolose. I salariati, spesso licenziati sui due piedi appaiono completamente in balia dei loro datori di lavoro. Contemporaneamente è nata una neo lingua il cui vocabolario è ormai diffuso <flessibilità> <governance> <employability> <esclusione> <underclass> <nuova economia> <tolleranza zero> <comunitarismo> <multiculturalismo>. La diffusione di questa nuova vulgata dalla quale sono assenti termini quali <capitalismo> <classe> <sfruttamento> <disuguaglianze> tutti etichettati come obsolescenti è il prodotto di un imperialismo simbolico che fa tabula rasa delle conquiste sociali ed economiche e che vuole imporsi anche nel linguaggio e, per questo, ai fautori della rivoluzione neoliberista sono stati affiancati anche militanti e dirigenti della sinistra che per poter fare meglio il loro lavoro continuano ad autodefinirsi <progressisti>. Come per il dominio di genere e quello di etnia, l’imperialismo culturale si fonda su un rapporto di comunicazione, di definizioni preventive e di deduzioni che tendono ad occultare le radici storiche.
Questo rivolgimento simbolico fondato sulla naturalizzazione del pensiero neoliberista è dovuto alla riconfigurazione dei rapporti sociali e delle pratiche culturali in conformità con il modello dell’imperialismo americano imposto alle società occidentali attraverso la svendita dei beni pubblici e la generalizzazione dell’insicurezza sociale e accettato con rassegnazione. L’America si presenta come paese modello attento alla democrazia, che rispetta i trattati internazionali e non ha tradizioni colonialiste omettendo la dottrina Monroe che ha trasformato il Sud America nel cortile degli Usa, la violazione sistematica degli accordi internazionali, l’imposizione di feroci dittature in tutto il modo e facendo dimenticare che la sua l’espansione sulla carta geografica è stata conquistata con la forza come per parte del Messico o con la corruzione come per il Portorico e sorvolando sulla presenza di centinaia di basi americane in altrettanti paesi anche contro la volontà dei governi locali e anche in presenza di contratti scaduti. La base di Guantanamo per dirne una. Per non parlare dell’espansione interna, nativi sterminati, minoranze etniche perseguitate, sindacalisti uccisi, scioperi repressi dall’esercito, partiti decretati fuorilegge, persecuzione, linciaggio, uccisione legale ed extra legale di voci dissidenti come i casi di Jean Seberg, Joe Hill, Sacco e Vanzetti tanto per citare i più famosi o la decimazione delle Pantere Nere. L’ assassinio politico è una risorsa a cui la borghesia statunitense si è rivolta con sconcertante e sistematica disinvoltura. Per non parlare delle condizioni di vita degli americani che sono le più basse dell’Europa occidentale e per certi versi sono allineate al terzo mondo.
Le crescenti disuguaglianze, i tagli alle politiche sociali non sono affatto come si sente ripetere la conseguenza fatale dell’evoluzione e del progresso, ma il risultato di decisioni politiche che riflettono il rovesciamento del rapporto di classe in favore dei detentori del capitale. Imponendo al resto del mondo a partire dagli alleati categorie di percezione omologhe alle sue strutture sociali l’America riplasma il mondo a sua immagine.
Ma dire questo, dire le cose come stanno, scatena pesanti stigma e i concetti di fondo che fungono da anatema e che valgono una scomunica sono “sei campista perché imperialisti sono tutti” e “sei antiamericanista”. Il neoliberismo si serve di due figure esemplari per trovare il suo compimento intellettuale, l’esperto e il consigliere del principe e, quest’ultimo, possibilmente di sinistra, porta in dote le sue modalità politiche e il suo vocabolario.
Nello scenario interno si parte da un’idea diffusa e imposta di pericolosità sociale che rievoca l’equazione classi popolari classi pericolose in voga nell’ottocento mescolando fatti come il furto d’auto, lo spaccio di droga, la movida, le lattine di birra lasciate ovunque e viene resuscitato e letto il tutto come il fallimento delle famiglie popolari e ne consegue la presunta incapacità di queste di fornire un quadro educativo di riferimento ai loro figli. Questo posizionamento sviluppa una pletora di agenzie di polizia, un trascinamento dell’apparato poliziesco sul piano militare e di converso truppe militari che vengono convertite a strutture poliziesche. Tutto accompagnato da un’estensione del settore penale, dal sempre maggior numero di processi per direttissima che comprende anche la giustizia minorile e la trasformazione dei servizi sociali in appendice di quelli polizieschi e l’irruzione degli interrogatori polizieschi e giudiziari in nuovi ambiti e la guardia di finanza che si occupa di ordine pubblico.
La questione sociale è rimossa, anzi ribaltata. Fenomeni che già esistevano ma venivano letti come forme di patologia sociale hanno assunto un’importanza centrale. Il neoliberismo fomenta la paura. L’invenzione del sentimento di insicurezza e la sua gestione poliziesca ha contribuito a spoliticizzare l’analisi della società che opponeva ancora negli anni ’70 la destra e la sinistra. Ora gli uni e gli altri si trovano d’accordo sulla lettura, sulla diagnosi e sulle soluzioni. Questa spoliticizzazione è accompagnata da un neo analfabetismo che mina la trasmissione generazionale.
Dalla comprensione della natura del neoliberismo dipenderà la validità delle alternative da opporre e le strade per arrivarci, cioè la costruzione del processo politico e culturale di classe.
Il neoliberismo non è una fatalità, è una scelta del capitalismo anzi una conseguenza diretta di molteplici scelte e decisioni condite da grossolane bugie come gli assunti che le ideologie non esistono più, che la storia è finita, che il primato è del mercato.
Il neoliberismo è una scelta politica. E’ un programma di distruzione delle strutture collettive e una promozione di un nuovo ordine. Eliminazione dei tradizionali elementi di mediazione tra strutture di potere e società, governo diretto dei poteri economici, giudiziarizzazione e proceduralismo esasperato, tendenza all’eticità dello Stato che ripropone in termini attuali il programma nazista e che si configura, con volto moderno, come supremazia del mercato, fuga dal conflitto, disaffezione dalla politica, stravolgimento del diritto.
La storia è raccontata e vissuta come un susseguirsi di sottomissioni a grandi figure poste al centro di configurazioni simboliche. Sono messi a punto testi, grammatiche e tutto un campo di saperi volti a sottomettere i cittadini vale a dire a produrre il cittadino come sottomesso in tutti gli aspetti della sua vita. Lavorare, parlare, credere, pensare, abitare, mangiare, cantare, morire. L’attacco del neoliberismo è così violento e così vincente che lo spazio critico costruito tra tante difficoltà nel corso dei secoli passati si è volatilizzato nell’arco di una o due generazioni. E’ questo il senso e la ricchezza di questo scritto.
Per ritornare alla metafora, Ercole ha dovuto combattere e sconfiggere Augia. Il neoliberismo ha potuto attecchire usando una pletora di ascari ben pagati che hanno sfruttato, ucciso, torturato un’altra volta tutti quelli che hanno saputo costruire le lotte di liberazione e la lotta di classe, un’oscena strumentalizzazione che ha permesso la creazione di un nuovo cavallo di Troia per poter entrare nella città assediata. E’ questo che <Mai contro sole>vuole smascherare perché quando si decide di intraprendere una lotta, il primo problema che ci si dovrebbe porre è il riconoscimento del nemico…combattere contro sole e non vedere chi abbiamo di fronte significa perdere in partenza.