Critica alla Maternità 1
A sei mesi di distanza provo finalmente a chiudere quelli che erano appunti sul mio parto. La maternità mi ruba tempo e poi volevo mettere bene a fuoco sia le implicazioni personali, sensazioni, emozioni e paure sia quelle di carattere più sociale. Cominciamo dal principio. Ho un bel ricordo anche del travaglio, le più forse mi vorranno maledire o penseranno che sono la solita che parla della maternità idealizzandola. No, è che, come mi ha detto una compagna durante la gravidanza, faccio parte di quelle rare donne che vivono questo momento della loro esistenza con grande naturalezza e facilità. Insomma mi ha detto culo. Ma torniamo al travaglio, i prodromi sono cominciati a cena mentre con una pancia enorme stavo al ristorante con un amica. Era divertente vedere lei e il mio compagno preoccupati quanto basta e io nemmeno lontanamente. Durante la notte ho usato la mia palla da pilates per cullare le contrazioni e gestire il dolore, il silenzio notturno e la solitudine (non ho voluto svegliare nessuno finché le contrazioni non fossero ravvicinate) mi hanno reso pacifica e chi mi conosce sa che non è l’aggettivo che più mi caratterizza.
La presenza della mia amica ostetrica ha garantito che il parto fosse trattato con rispetto, ho potuto fare una doccia calda in ospedale con lei che mi teneva la testa mentre avevo le contrazioni forti, l’acqua calda e la conversazione alleviavano il dolore, lo rendevano gestibile. Certo anche stare con mia madre e il mio compagno ha reso perfino piacevoli le lunghe passeggiate in quei corridoi freddi. Ogni volta che avevo una forte contrazione non so perché schiacciavo la testa contro il muro e a turno uno di loro due mi massaggiava la schiena sui lombi rendendo il tutto sopportabile. Ancora mi viene da ridere ripensando alla mia immagine vista dall’esterno: una panzona che fa versi strani schiacciando la faccia contro il muro. Durante i monitoraggi potevo stare in una delle sale travaglio/parto con G. che mi massaggiava o io che facevo piccoli esercizi sulla fitball muovendo il bacino. È strano ora che scrivo ricordarsi di come era la mia grossa pancia, quanto fosse ingombrante. A volte riguardo l’ultima foto fatta a capodanno di profilo per rendermi conto di quell’enormità. Ho assunto qualsiasi posizione volessi dalla rana a quella in quadrupedia, avevo intorno a me oltre che il mio compagno e G. tutte le sue colleghe ostetriche delle quali un paio conosciute, tutte che mi coccolavano e supportavano. Nel momento effettivo delle spinte sembrava di vivere una scena oramai del passato: nella sala semibuia si alternavano almeno tre o quattro ostetriche che con tutta la calma stavano lì per me, hanno vissuto insieme a me, con i miei tempi, il mio parto. Ho fatto un parto collettivo dove altre donne condividevano con me quel momento e avevano solo parole di conforto e sostegno anche quando le forze sembravano cedere. Avevo pensato di voler un parto senza nessuna medicalizzazione e senza epidurale ma ho ceduto anche se ironia della sorte per via di un mio problema ortopedico al bacino l’anestesia ha preso solo una parte e quindi in sostanza il parto vero e proprio l’ho fatto con i dolori. Sono profondamente convinta però che in casi come il mio cioè senza complicanze l’atmosfera nella sala conti molto e permetta alla partoriente di respirare e prendersi il proprio tempo sentirsi protetta e abbandonarsi alle indicazioni di chi non vuole prevaricare o medicalizzare. Questo mi ha permesso di non delegare nulla ma nemmeno di sentirmi sotto pressione. Io dovevo spingere ma tutto in quel momento girava intorno a me. Mica male.
C’è stato un momento in cui ho davvero pensato che fosse qualcosa di innaturale spingere dalla mia vagina così forte qualcosa di così grande, in fin dei conti mi vengono le ragadi quando vado troppo di corpo. Ho pensato che potesse lacerarsi tutto. Partorire dal punto di vista fisico è stato come fare una cacca dura, solo nell’uscita del bimbo ho sentito un forte bruciore. Quando ebbi l’incidente in motorino dove mi sono spaccata il bacino non ho defecato per trentacinque giorni e quando finalmente ho potuto stare in piedi con il deambulatore ho fatto la cacca in un pannolone mentre i miei genitori mi tenevano visto che per lo sforzo e la mancanza di forze non mi tenevo in piedi. Le sensazioni di questi due episodi molto lontani tra di loro per me sono simili, lo sforzo, l’essere io da sola ma assistita da persone care, in fin dei conti sono entrambi funzioni corporali e primordiali.
Ho visto attraverso uno specchietto da borsa (che poi mi hanno regalato) di una delle ostetriche, la testa che usciva. Ne ho avuto paura ho cominciato a pensare che non avrei potuto farcela quindi come una bambina guardavo e non guardavo. Alla fine dopo un grosso bruciore è uscito.Mi ha messo quel frugolo nudo e sporco sul petto e ho ancora i brividi per quell’esserino di carne minuto che trema e respira sopra di me che è appena uscito da me che è ancora attaccato a me con il cordone che grazie a G. è rimasto lì attaccato e non strappato per la famosa donazione. Non trovo delle parole giuste che descrivano questo sentimento, ero commossa ma non uscivano lacrime dai miei occhi credo fosse la prima volta che ho provato una commozione di gioia pura, non data dall’emotività o da un evento che deve generare qualcosa ma uno spontaneo moto di gioia incontrollabile. Io e Cosetto nient’altro.
Ho chiesto che appena possibile mi portassero il bimbo in camera visto che nell’ospedale dove ho partorito c’è il rooming. Certo mi hanno portata in camera verso le 23:00 ero distrutta dalla stanchezza, svuotata ma in modo piacevole soddisfacente. Mi sono risvegliata alle 3:30 e nessuno mi aveva portato in camera mio figlio, ho dovuto chiederlo di nuovo.
Finché si sta in reparto non capisci bene che cosa succede a meno che non ci siano problemi particolari, nessuno ti fila anche quando chiedi banalmente come si effettua la medicazione del cordone, una banalità una volta vista ma che può sembrare una cosa difficile su quegli esserini, tutto ti viene detto come se tu fossi un incompetente.
La seconda notte si è messo a piangere, io avevo qualche difficoltà a farlo attaccare al seno (tutt’ora ho degli ingorghi almeno due volte al mese: si potrebbe scrivere un libro su quello che non dicono sull’allattamento infatti per via delle aggiunte di latte formulato le teorie sono conflittuali allattamento a richiesta vs allattamento misto e a orari nessuno che parli degli ingorghi nel caso le cose non vadano come da manuale magari quando non allatterò più sarò ispirata a scrivere qualcosa in merito) ero molto assonnata e non sapevo molto bene come calmarlo, a questo punto una tipa della nursery è entrata nella stanza e mi ha chiesto cosa non andasse e vedendo che non lo stavo allattando mi ha detto che aveva fame.
Qui preciso subito un abitudine del reparto, non ti chiamano per nome, numero o semplicemente signora ma Mamma quindi qualsiasi cosa ti venga detta suona così: – Mamma tuo figlio ha fame, devi farlo mangiare! – Mamma devi dargli l’aggiunta non hai abbastanza latte/colostro! ecc. Chi gliel’ha data la confidenza di chiamarti Mamma? Ci sono spesso pure persone ignoranti e incompetenti anche nel loro lavoro. Io avevo davvero poca forza emotiva per iniziare una battaglia contro questa parte del personale ospedaliero. Quella notte presa da sensi di colpa ho provato a dare un’aggiunta di latte artificiale e mi sono sentita persa, appena ho potuto ho contattato G. che mi ha tranquillizzato avevo il colostro necessario e dovevo tranquillizzarmi, mi ha mandato una delle sue colleghe a fine turno (la stessa che mi ha regalato lo specchietto da borsa con il quale osservavo la testa che usciva dalla mia vagina) che mi ha aiutato ad allattare, io stremata dalla nottata e lei dal fine turno ma nella penombra della camera alle 7:00 di mattina tra donne ci siamo parlate e io mi sono sentita meglio, certo il problema non era ancora risolto ma almeno mi ero tranquillizzata. Insomma il personale che dovrebbe supportare l’inizio della tua maternità ti aggredisce con saccenza e davvero tanta ignoranza. A priori una madre viene vista sempre in difetto nei confronti dei figli, viene denigrata come se il suo ruolo non valesse nulla, fosse scontato e dovesse esprimersi solo in un certo modo: quello giusto e NATURALE perché il ruolo di madre è scontato, istituzionalizzato e stereotipato; se si hanno difficoltà, tutte, sanitari e compagne di stanza, pensano che se segui le regole predefinite tutto filerà liscio e se tuo figlio non si attacca al seno è colpa tua e se, come è successo a me, confessi chiacchierando con le altre che dopo aver partorito ti sei fatta portare un panino con il salame dietro suggerimento anche della tua amica ostetrica aspettatevi che qualcuna timorata della scienza e delle regole sulla buona madre ti consiglierà di non avvicinarti a salumi & co. per tutto l’allattamento perché altrimenti è normale che tuo figlio non mangi. Quindi le donne si sono fatte sfilare pure la maternità, il parto, il puerperio non gestiscono nulla delegano e non capiscono nulla del proprio rapporto con il corpo e parlo io che ci ho messo quasi trent’anni ad averne uno minimo. A me sta stretto questo ruolo e stretta la regola della buona madre sia che si tratti di una bio-mamma che si medicalizza con l’omeopatia o di una mamma del tipo ilpediatra/ginecologahasempreragioneiononcapisconulla. Vado a tentoni e sento il peso della responsabilità perché non credo in nulla se non nel femminismo e nel comunismo. Poi ovviamente c’è anche da valutare come gli ospedali funzionino. Ora il personale delle nursery è spesso delle cooperative che esternalizzate hanno personale non qualificato e nella totale precarietà nemmeno stimolato a far bene il proprio lavoro oppure sono persone assunte con contratti di merda dall’ospedale che hanno la possibilità di essere riassunte dopo 36 mesi quanto un terno al lotto, a volte li spostano da reparto a reparto come se ortopedia fosse uguale a ginecologia. Con questo non rivendico una maggiore specializzazione ma credo che il personale a contatto con i neonati debba avere caratteristiche non legate alle skills dei curricula. Sono convinta che avere basi di pedagogia sia una buona cosa ma non credo che all’università insegnino a trattare con dignità e rispetto la donna con il bambino o in generale la donna, anzi spesso il prodotto del parto acquista più valore della fabbrica che lo ha prodotto, perdiamo il nostro valore riproduttivo e siamo assimilabili a quel punto al lavoro di cura nudo e crudo.
Ci sarà quella che prende nella vita mille medicine che per il figlio vorrà qualsiasi sostanza assumibile piuttosto che allattare o sentir piangere, chi come me è refrattaria alle medicine e aggiunte varie e vuole solo farsi due chiacchere su come sia meglio infilare un pannolino, chi è completamente persa e non ha nessuno a cui chiedere una spiegazione e che trova davanti a sé solo personale distaccato e insensibile che diminuisce la nostra autostima non si sa traendone cosa in cambio, forse solo l’idea di essere importante e potersi vantare con le colleghe/ghi facendo le espertone/i in materia. Ho visto e sentito neo mamme rovinate durante i loro primi giorni di maternità da dementi egocentriche che sarebbe meglio cambiassero quantomeno reparto se non lavoro. Perché in quel momento siamo esseri molto fragili, siamo sole e allo sbando in preda alle emozioni più forti del mondo negative o positive che siano e sinceramente non mi sta bene che in quel momento qualcuno/a frustrato/a per il suo lavoro o la sua misera esistenza possa causare qualche crepa nel mio mondo. Le crepe dovrebbero cercare di farle al sistema che depaupera ogni momento e respiro delle nostre vite, si dovrebbero dare da fare contro il padrone, il patriarcato e il capitalismo tutto non contro chi è più debole e nelle loro mani perché in questo caso passano da sfruttati a servi del potere, striscianti servi dell’oppressore che per salvare la loro vita grama provano a primeggiare sul debole accanto. Certo spesso banalmente compiono il loro lavoro come altri d’altronde per subire il minor fastidio e il minor gravo sulle proprie mansioni; ovvio capisco pure che lo stato dei lavori nella sanità sia ridotto proprio male: persone mal pagate esternalizzate e che fanno lavori che non vengono nemmeno considerati in base al loro livello di fatica e preparazione. Non sono nemmeno una purista della laurea per ogni mestiere, ritengo che in alcuni ambiti l’esperienza e lo studio anche individuale siano sufficienti per svolgere bene un lavoro; concordo che le condizioni lavorative siano pessime quindi che la crisi strutturale e l’avanzata del neoliberismo abbia mangiato davvero l’anima che muove ogni cosa ma come spesso abbiamo detto anche su altri fronti come collettivo femminista, e io lo voglio ribadire, noi possiamo compiere scelte e se ogni volta decidiamo di sottomettere al capitale la nostra vita senza mai trovare una minima alternativa per creare un minimo conflitto allora diventiamo collaborazioniste. Se il capitale impone la medicalizzazione e l’asservimento ai prodotti farmaceutici quali il latte artificiale noi sia come madri che come lavoratrici dovremmo opporci perché in questo caso non si tratta della nostra scelta in merito di nutrimento ma semplicemente di assumere la posizione che ci viene data come quella più giusta attraverso l’uso di un metodo venduto come il migliore. Qui non è importante se si voglia o no per esempio allattare ma solo il fatto che questa scelta sia nostra e completamente libera, ciò oggi non è possibile non si viene aiutate nel momento del bisogno, nella nostra prima notte da madri dove la stanchezza ci logora il cervello ma si viene accusate di non nutrire il-la proprio figlio-a, di non esserne in grado. Se la società, in quanto donne e prima della scelta della maternità, non ci aveva già frustato e giudicato abbastanza ora sappiate che come madri siete alla mercé di chiunque, ognuno-a avrà diritto a dire la propria sul vostro modo di comportarvi. A questo punto trovo sovversivo anche solo ribellarsi al giudizio ed essere estremamente critiche rispetto ai consigli (beh non tutti ovvio, ma credo che sia facile distinguere chi ci consiglia da chi impartisce lezioncine) e comunque credo che sia lecito sbagliare e farsi davvero le ossa come meglio si crede. È necessario rimanere serene. Serena nel mio essere insicura, paurosa, ansiosa e spesso sola forte di tutto ciò, sono consapevole che sarà dura ma sopravvivrò anche alla maternità.
Non è tempo per le soluzioni di comodo ma è necessario ragionare. Come riprendersi la maternità? come eliminare lo sfruttamento economico che si è creato intorno ad essa? come contrastare la violenza ospedaliera? Come uscire da questa delega senza ricreare dipendenze di servizio? Forse dovremmo resettare tutto il nostro modo di assorbire informazioni, dovremmo smettere di essere addomesticate e poi chissà forse davvero un giorno faremo la rivoluzione e sarà possibile avere sanità gratuita, lavoro non sfruttato e maternità libera.
Noemi Fuscà