La Parentesi di Elisabetta del 31/05/2017

“Sottovalutazione”

Tutti i giorni ci sono cariche e fermi contro chi lotta per la casa, contro chi si oppone ai licenziamenti, contro chi lotta in difesa dei territori…qualche giorno fa c’è stata la manifestazione contro il G7 a Taormina…

Chi si espone e si batte per una vita che valga la pena di essere vissuta paga un prezzo molto alto anche per espressioni di dissenso che possono essere catalogate di minima come entrare con i cartelli in un ufficio pubblico, sedersi per terra in mezzo alla strada e fermare il traffico, salire a dare i volantini sull’autobus, scrivere slogan sui muri o attacchinare fuori dagli “spazi consentiti”, interrompere un comizio o tentare di parlare ad un convegno…

Se fino a pochi anni fa chi manifestava poteva succedere che pagasse con il fermo, con le denunce, con l’arresto fino a farsi anni di carcere, ora tutta questa impalcatura è rimasta ma si è rafforzata nelle modalità, ha istituito dei meccanismi repressivi di nuovo conio e ha allargato a macchia d’olio la platea dei destinatari/e. Tra i nuovi e svariati meccanismi di controllo del dissenso, il sistema neoliberista ha messo in atto una modalità molto subdola e pericolosa di repressione e di contrasto che i recenti decreti Minniti hanno ulteriormente accentuato Sono le così dette “sanzioni economiche”.

Le sanzioni economiche possono consistere nella condanna ad un pagamento in denaro comminato in via amministrativa, senza il passaggio per un iter processuale e quindi velocissimo e/o possono essere inflitte come risultato di un procedimento giudiziario. E sono destinate sempre più, con un’accelerazione esponenziale nei confronti del dissenso politico. Possono essere inflitte per svariatissimi motivi: dall’ interruzione di pubblico servizio ai “danni” alla cittadinanza, dall’ addebito di spese per ripulire muri o manufatti distrutti durante le manifestazioni al risarcimento di danni d’immagine… fino al così detto “mancato ricavo” tanto che le ditte o le istituzioni che si ritengono “danneggiate” si possono costituire parte civile in eventuali procedimenti giudiziari.

Ci si rende subito conto che le azioni che vengono colpite da questi provvedimenti sono parte evidente di ogni manifestazione politica, anche la più innocua, a meno di non fare processioni cantando peana allo Stato a cui si chiedono grazie. Subdolamente lo Stato tra l’altro coinvolge i così detti cittadini “per bene” nella condanna delle azioni di protesta con il mantra della legalità, della protezione della proprietà privata, con il diritto dei cittadini ad una città “tranquilla e pulita”, spoliticizzando le lotte e presentando il dissenso come delinquenziale e violento. Così i cittadini/e non si accorgono che quello che viene messo in atto contro i manifestanti è lo stesso meccanismo che verrà usato contro di loro ogni volta che oseranno protestare contro le gabelle di Equitalia o lo sfratto o il pignoramento dei loro beni o le vessazioni sul posto di lavoro o il licenziamento. Tutte situazioni attualmente diffusissime.

Il problema della sanzione economica è che incide direttamente sulla condizione di vita di chi la subisce ed è un deterrente molto forte soprattutto in un momento come quello che stiamo attraversando di grande difficoltà per la maggior parte delle persone.

Questo meccanismo è un prodotto diretto delle politiche socialdemocratiche del politicamente corretto e della legalità testate già nella Bologna di Cofferati che aveva teorizzato il pagamento dei danni delle manifestazioni da imputare direttamente a chi aveva fatto comunicazione dell’iniziativa, della ripulitura delle scritte sui muri e dei murales, salvo poi la “civile” Bologna fare una mostra, non molto tempo fa, della Street Art, mostra a cui, giustamente, alcuni writers hanno risposto con indignazione cancellando le loro opere. Anche la costituzione parte civile di associazioni e parti terze nei procedimenti penali che è stata salutata da parte del movimento, comprese quello femminista socialdemocratico, come una grande conquista, ha aperto alla costituzione parte civile di Ditte che si ritengono danneggiate, un esempio per tutti, dal movimento NoTav, e di Comuni che richiedono i danni d’immagine.

C’è una sottovalutazione di tutto questo sia per quanto riguarda chi, di questo, è stato ed è l’artefice, vale a dire la socialdemocrazia riformista e quindi il PD, sia per quanto riguarda l’impatto sulle lotte.

Da una parte il movimento si sta difendendo con azioni collettive di pagamento delle sanzioni, com’è pratica della lotta NoTav, in modo che i militanti non vengano lasciati soli, dall’altra i militanti si difendono non intestandosi nulla e quindi rendendo impossibile la riscossione e i pignoramenti. Ma la prima soluzione è fattibile quando il contesto di lotta è di un certo peso e spessore, mentre sempre più le sanzioni cadono come mannaie su manifestanti isolati e soprattutto su scioperanti e studenti. In quest’ ultimo caso poi, trattandosi spesso di minorenni, sono colpite le famiglie e sono queste stesse ad esercitare controllo preventivo e dissuasivo sull’operato del figlio/a richiamandolo/a all’ordine e al senso di responsabilità riguardo alle sorti di tutto il nucleo familiare.

Per quanto riguarda la seconda soluzione, non si può pensare che le lotte siano fatte da militanti, chiamiamoli così, di professione che avendo fatto questa scelta di vita si coprono le spalle. Si spera, invece, che la partecipazione possa allargarsi e siano portate a partecipare anche occasionalmente persone che si sentono coinvolte. Ma se il rischio è quello di perdere lo stipendio o la casa…

La questione delle sanzioni amministrative andrebbe affrontata con urgenza. Non è di facile soluzione, ma potrebbe essere inserita in quel tentativo di far passare nel comune sentire che il patto sociale è rotto, che è stato rotto in maniera unilaterale dal neoliberismo e che quindi nessuno deve niente a questo Stato sotto nessun punto di vista. Questo potrebbe essere un elemento unificante di tutti gli strati sociali oppressi, impoveriti e attaccati dal neoliberismo. Il fatto che nulla sia più dovuto a questa organizzazione statale potrebbe essere una risposta collettiva generalizzata del rifiuto di pagare e potrebbe comprendere quindi sia chi è in difficoltà economica sia chi ha ricevuto sanzioni per la militanza politica.

Ma qui si innesta un’altra sottovalutazione che rende problematico mettere in atto questa risposta generalizzata, vale a dire la sottovalutazione di quello che concerne il principio di legalità. Il concetto di legalità è entrato così profondamente nel comune sentire da informare continuamente il discorso pubblico e privato. La socialdemocrazia riformista, sfruttando percorsi e linguaggi di sinistra, è riuscita a far dimenticare che cosa sia lo Stato, di chi sia rappresentazione e momento organizzativo, che cosa siano le leggi, da chi siano fatte e a chi siano indirizzate.

E quanto l’idea di legalità abbia invaso le coscienze e sia cartina di tornasole dell’egemonia culturale del sistema ce lo dicono alcune parole che sono circolate ultimamente in alcune manifestazioni per i migranti “Nessuna persona è illegale” e “Nessuna donna è illegale”, mentre noi dovremmo essere proprio le prime a gridare ai quattro venti “Siamo tutte illegali”, noi che abbiamo sperimentato sulla nostra pelle quanto dolore il feticcio della legalità ha portato nella vita delle donne.

Scardinare il principio di legalità è una necessità del femminismo e del movimento tutto.

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