Siamo stufe!
Siamo stufe di assistere sempre alla solita modalità messa in atto dalle componenti neoliberiste e riformiste socialdemocratiche che hanno la pretesa di guidare la politica dell’Impero, ogniqualvolta debbano sovvertire uno Stato, una situazione, un gruppo politico… non gradito alla loro pretesa di dominio. Riescono ad imbastire rivolte, rivoluzioni, sommosse, ribellioni, tutte colorate, tutte improntate a parole tanto nobili quanto strumentali…libertà, democrazia, tutela delle minoranze, rispetto dei diritti umani, lotta alla violenza sulle donne, tutela dell’infanzia….
Ora la socialdemocrazia imperiale lo fa anche a casa sua. Le manifestazioni di piazza contro l’elezione di Donald Trump a presidente degli USA non sono altro che la rappresentazione di una rivolta colorata in casa. Questo meccanismo è talmente oliato da decenni di esperienza sul campo che ormai fomentare una rivolta a comando riesce benissimo. Ognuno ha il suo ruolo quando viene innescato strumentalmente il dissenso. Vengono toccati tutti i tasti: sessismo, razzismo, dittatura, coartazione delle diversità…e poi si punta sulla ridicolizzazione e sulla povertà intellettuale. Questo a prescindere se sia vero o no, ma la spinta unanime e convergente di media, intellettuali, giornalisti, dotti professori ed esperti di turno fanno sì che tutto diventi più vero del vero. Il nuovo presidente è un repubblicano sessista, razzista e conservatore. Ma esemplare è un cartello che i contestatori di Trump sbandierano in piazza. Dice “No War-No Trump”. Ora è evidente la falsità di una simile affermazione, dato che Trump è un isolazionista, ma così si rimescolano le carte e si spinge la gente a dimenticare che è Hillary Clinton ad essere il terminale delle multinazionali del complesso militare securitario, e che ha sempre dichiarato chiaramente quali erano le sue intenzioni rispetto al ruolo degli USA nel panorama internazionale, ma….
Siamo stufe di sentirci dire che la situazione in Medio Oriente è assai complessa, che in Siria c’è una guerra civile, che russi e americani si contendono il territorio, che l’Isis non si sa bene da dove sia venuto fuori…mentre è così lampante che la destabilizzazione del Medio Oriente è una scelta israeliana e americana, che i russi hanno dovuto prendere le contromisure, che la Siria ha sempre difeso i Palestinesi e che l’Isis è un prodotto imperiale. Non ci facciamo irretire in discussioni pretestuose sul fatto che tutto è imperialismo e tanto meno che a noi interessano solo le sorti della classe operaia, perché gli interessi di quest’ ultima passano attraverso la sconfitta dell’imperialismo statunitense. L’antimperialismo va calato nel concreto, non va annullato nell’indistinto magma del “sono tutti imperialisti”. Forse abbiamo dimenticato quello che è successo in Ucraina? La Siria e l’Ucraina passando per l’Iraq e la Libia sono solo gli ultimi tasselli. La Nato, a partire dalla Jugoslavia ha destabilizzato intere aree geografiche.
Siamo stufe di sentir parlare di crisi, di debito, di rilancio dell’economia…un punto in più o un punto in meno? E poi percentuali, dati, grafici, quotazioni…con uno sgomitare tra dotti intellettuali ed economisti, quasi sempre di sinistra, che offrono soluzioni e che si propongono come consiglieri della corona. I soldi ci sono, solo che vengono impiegati da altre parti e servono ad altre cose, solo la Nato ci costa 70 milioni di euro al giorno. Il problema è squisitamente politico. Il neoliberismo è una precisa scelta a tutto campo.
Siamo stufe che la violenza su di noi venga usata da parte delle strutture femminili socialdemocratiche e riformiste per chiamare le donne al collaborazionismo a tutela di interessi economici precisi che sono contro le donne tutte, a sostegno di governi neoliberisti e guerrafondai.
Il patriarcato così come si è innestato nel capitalismo è stato costretto dalle lotte femministe degli anni ’70 ad una mutazione e pertanto il concetto e la pratica del suo dominio si sono trasformati. Questa nuova situazione implica grandi modificazioni sul terreno politico di concettualizzazione sia nella sua teoria che nella sua pratica. Oggi si impone come cooptazione e promozione sociale di quelle componenti del genere storicamente oppresso che si prestano a perpetuare il dominio nei confronti di tutte le donne e degli oppressi tutti. Tanto più grave è questo in quanto le condizioni socio economiche ottocentesche in cui viene ricondotta la società, rendono ancora più penosa la condizione delle donne. Il patriarcato, in questa stagione si è ridefinito accentuando le sue caratteristiche ma mascherandole dietro un emancipazionismo che si risolve in un controllo della vita a tutto campo e in un avvilimento della stessa divenuta merce.
Disoccupazione, povertà, disperazione costituiscono la trama dello sviluppo del modello neoliberista. Il movimento femminista non può più consistere nella semplice denuncia di questa situazione, non ci possiamo più muovere sulla base della percezione e della definizione delle nuove figure che perpetuano il patriarcato, tanto più che in questo momento si accentuano le forme di esclusione delle realtà alternative. Dobbiamo cominciare a delineare e a declinare alcune ipotesi di uscita o almeno a provarci, tanto più necessarie dato che le Patriarche, in cambio della loro intelligenza e della loro anima, hanno dato la capacità e/o possibilità di essere le “infiltrate” nel femminismo e tra le donne tutte.
Siamo, perciò, stufe di vedere che le femministe e le compagne accorrono acriticamente al richiamo interclassista e spoliticizzato delle pifferaie di Hamelin dicendo che devono intersecare, contaminare, portare i loro contenuti… E siccome ci rifiutiamo di credere che le compagne e le femministe siano così superficiali e sprovvedute siamo stufe anche di chiederci perché lo facciano.
Un’azione politica efficace da parte del movimento femminista non può essere pensata se non ci poniamo a diretto contatto con l’esperienza e con un immaginario di uscita da questa società.