22 settembre/Strutture di Stato, catena di trasmissione dei valori dominanti/ Riflessioni a margine del Fertility Day
di Elisabetta Teghil
Il lancio della campagna Fertility Day del 22 settembre, e le relative dichiarazioni della ministra Lorenzin hanno provocato un’alzata di scudi generalizzata. Chi ne ha stigmatizzato le caratteristiche fasciste e la connotazione dio/patria/famiglia, chi ne ha letto la regressione ad un modello di donna che pensavamo morto e sepolto, chi ne ha visto le caratteristiche razziste e coloniali nel lamentare la crescita del numero dei figli delle immigrate e la carenza di bambini bianchi e occidentali… Insomma giustamente di tutto e di più.
Ma l’idea del Fertility Day non rappresenta uno scivolone della ministra o una scelta infelice sopra le righe, bensì è tutta interna al progetto neoliberista che va avanti da diverso tempo e che si sta imponendo passo dopo passo in maniera silente e perfida e di cui questo tipo di campagne sono solo la manifestazione eclatante, perfino ridicola.
Da diversi anni ormai si assiste ad una forte riproposizione dei ruoli sessuati in concomitanza con una forte riproposizione dei ruoli gerarchici e di comando nella società tutta. D’altra parte il controllo del corpo delle donne è una parte importante del controllo sociale.
Le figure maschili e femminili sembrano uscite dagli anni ’50: il rosa va di gran moda tra le bambine, le mamme della pubblicità, non so se l’avete notato, sono sempre molto giovani, vengono sbandierate positivamente le storie di studentesse che si tengono il figlio sui banchi di scuola, si spinge all’allattamento al seno con una campagna estenuante accompagnata da una sottile colpevolizzazione per chi è contraria. Chiaramente dato che il lavoro per la stragrande maggioranza delle donne, quando c’è, è quello che è, cioè senza riposo, di pesante sfruttamento e malpagato, molte vengono spinte al “ritorno tra le mura domestiche” nel ruolo santificato di moglie e madre. Le altre, quelle in carriera, possono mettere da parte gli ovuli congelandoli, come propone la Silicon Valley, e diventare madri quando alla “Ditta” non servono più. Due percorsi, uno di serie A e uno di serie B, fortemente attraversati dalla classe. Chiaramente stiamo parlando delle donne bianche occidentali, perché le altre, come si deduce dallo spirito della campagna, sono “pericolosamente fertili” a meno che non si vendano al modello occidentale e cerchino di “integrarsi”.
L’egemonia del sistema è fortissima.
C’è un elemento fondante nella Campagna Fertility Day che è passato sotto silenzio e che invece ci ha colpito in maniera particolare e che merita una grande attenzione perché ne va delle nostre lotte e del nostro percorso di liberazione
I modi e le strutture attraverso le quali i principi del Fertility Day dovrebbero essere veicolati e propagandati sono espressi più che chiaramente nel Piano Nazionale per la Fertilità.
Leggiamo testualmente (…) E’ necessario, quindi, un progetto nel quale le redini della informazione e della formazione siano tenute da esperti che veicolino concetti riproduttivi di base semplici, comprensibili, memorizzabili ed interiorizzabili per le scelte personali di pianificazione familiare. L’erogazione di queste nozioni dovrebbe essere fatta da personale medico con specifica preparazione, in attività sul territorio cittadino, come ad esempio i medici di medicina generale, i medici e operatori consultoriali, i pediatri, i ginecologi in collaborazione con le Università e le Aziende sanitarie.
Lo Stato elenca con chiarezza quali sono le principali strutture a cui è destinato il compito precipuo di essere catena di trasmissione dei valori dominanti: i media e la pubblicità, la scuola e l’università, i servizi sociali, i medici di base e i Consultori come luoghi che devono occuparsi principalmente di veicolare il messaggio.
In particolare con riferimento ai Consultori: (…) Il ruolo del Consultorio, in particolare come previsto dal Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) del 2000, e così ribadito con l’Accordo Stato Regioni del 16.12.2010, risulta strategico nel perseguimento di una più diretta politica in favore delle persone che tenga conto dei profondi mutamenti nella realtà socio- culturale occorsi negli ultimi decenni Attualmente la caratteristica fondamentale dei Consultori familiari, oltre alla ramificazione territoriale che li rende dei veri e propri servizi di prossimità, consiste nell’approccio multidisciplinare che si esprime con la compresenza di diverse figure professionali: ginecologo/a, ostetrica/o, psicologo/a, assistente sociale, pediatra. E ’questo approccio che conferisce al Consultorio la sua peculiarità di visione globale della salute della donna e della coppia, e lo distingue da un semplice ambulatorio. Il Consultorio familiare rappresenta la porta di accesso principale alla gravidanza (…).
Che i Consultori siano luoghi politici del potere e non luoghi di donne è stato palese ed eclatante fin dalla loro costituzione e sotto gli occhi di tutte e tutti. Questo non ha niente a che fare con la necessità che lo Stato fornisca le prestazioni sanitarie che sono fondamentali e che noi chiaramente pretendiamo, ma noi dobbiamo usare soltanto i servizi sanitari che devono essere tutti gratuiti, dalla visita per un mal di gola, per un aborto o quella per un’appendicite, ma non dobbiamo consultarci sicuramente con lo Stato!
I luoghi politici devono essere nostri, costruiti in autonomia, autofinanziati, al di fuori di ogni contributo statale e fuori da ogni rapporto con questo sistema.
E’ normale che attraverso i consultori di Stato passino le direttive di Stato. Qualcuna pensa ancora che le strutture di Stato si possano cambiare dall’interno? Storia e memoria non sono servite e non servono a niente?
Il 21 giugno 1978 alcuni collettivi femministi occuparono un reparto della Clinica Ostetrica del Policlinico di Roma per aprire uno spazio in cui le donne potessero mettere in atto le pratiche di autodeterminazione relative alla neonata legge 194 e alla gestione del proprio corpo contro il boicottaggio delle direzioni sanitarie. L’occupazione durò tre mesi. Il 25 settembre il Prof. Marcelli chiese l’intervento della polizia che sgomberò la struttura.
Altri collettivi nello stesso periodo avevano fatto una scelta diversa creando strutture autogestite e autofinanziate al di fuori delle strutture pubbliche, nella convinzione che lo Stato è costretto ad adeguarsi solo in presenza di un rapporto di forza determinato dalla capacità di organizzarsi autonomamente.
Lo Stato operò una strategia di supporto a quel femminismo che si era prestato, in parte in buona fede e in parte in cattiva, a propagandare l’ingresso delle donne nelle Istituzioni così da isolare e demonizzare tutte quelle che lavoravano in autonomia. Queste scelte ci hanno portato qui, alla deriva attuale, ad un femminismo senza femminismo che ha dimenticato che l’obiettivo della nostra lotta è la liberazione e che quando si mettono in atto percorsi di collusione con lo stesso sistema che è responsabile della nostra oppressione, si diventa inevitabilmente altro.
Assistiamo ancora alla richiesta allo Stato di tutela, di attenzione, di fondi e finanziamenti, alla glorificazione dei Consultori come luoghi di donne e al collaborazionismo al Piano nazionale Contro la Violenza sulle donne. Questi quarant’anni sono passati invano?
Piano Nazionale per la Fertilità? Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza? Piano Nazionale Salute e Sicurezza sul lavoro? Siamo al delirio collaborazionista e poi ci meravigliamo del Fertilty Day?