Il Femminismo non è semplicemente Emancipazione.
di Maria Silvia Marini
Il Femminismo non è semplicemente Emancipazione, ed emerge con chiarezza manifesta in questi giorni in cui l’ennesima donna si è ammazzata perché diventata, ancora, oggetto del dileggio, dell’insulto e del sollazzo del basso ventre maschilista del nostro paese. Un rigurgito di odio, volgarità e deficienza che purtroppo non stupisce, ma che proprio per questa sua banalità non si capisce perché non venga combattuto da tutte nello stesso modo, con la stessa forza e determinazione.
Non ci possiamo stupire di ciò che abbiamo sempre subito: la gogna, la messa alla berlina.
Ci dicono sia il web.
Non uccide il web.
Il web è solo una cassa di risonanza facile da usare.
Ad uccidere sono state le stesse cose che hanno sempre ucciso le donne in questi tristissimamente noti e reiterati casi. Il web ha amplificato tutto, ma prima c’erano i video in cassetta passati di viscida mano in viscida mano; o che venivano proiettati per la gioia di trogloditi con la bava alla bocca. E prima ancora c’era, a gonfiare il sordido rutto del patriarcato, la pubblica piazza, il linciaggio preventivo, qualche Maddalena da sacrificare, da scarnificare viva. E prima, prima ancora qualcosa d’altro, a scelta: ci sono state le sfilate in città delle donne al guinzaglio, in museruola, perché bisbetiche; le condanne a morte per le ribelli; l’accusa di stregoneria per tutte le donne che non erano allineate, che non ubbidivano alle regole di sottomissione che volevano imporci. Lo stigma, si è sempre trovata la maniera di metterlo. Se non fosse percepito come possibile motivo di dileggio e insulto, un video, una diceria, non verrebbero proprio diffusi, ma pare che su questo molti (e purtroppo anche molte) non ci arrivino proprio.
Ma la faccenda più avvilente è stata leggere commenti su quanto sono sveglie certe di noi… che loro no, loro fiducia a quello sbagliato non l’hanno data mai. Loro che fanno le medesime cose ma sono più furbe, e allora la vittima va giudicata, non una ma due volte. Vilipesa da tutti, considerata come una sciocca da chi dovrebbe difenderla a spada tratta.
È a questa categoria di donne che appartengono le stesse che si fregiano del titolo di virgulte impegnate sul fronte dei diritti “al femminile” (i diritti sono gli stessi per tutti, non si tingono magicamente di rosa, come le orride quote, contentino inutile e ridicolo e pensato solo per chi già di potere ne ha), promotrici di questa o talaltra associazione, e che parimenti sono le prime ad illazionare, comari livorose che sbavano dietro lo spioncino a ciacolare veleno, a mettersi in cattedra per dettare cosa è giusto e cosa non lo è, beneficiando della propria posizione sociale.
La vittima che dunque non solo è stupida ma anche essenzialmente inferiore e sostanzialmente “da educare”, quando da educare non c’è nessuno se non in un senso, eventualmente, politico. E comunque non sarebbe la vittima. E come se fosse questo il punto, e soprattutto come se contasse realmente qualcosa questo presunto intuito aggiunto, quando basta una scempiaggine, e proprio con una persona di cui ci si fida (e si pecca sempre di scarsa fantasia, dato che nove volte su dieci è l’uomo che condivide le proprie lenzuola), per ritrovarsi in una situazione compromettente (in mille declinazioni e sfumature possibili) solo per la donna, marchiata di default, perché è la donna in quanto tale ad essere compromettente, il suo corpo, sia esso nudo o bardato, a priori. Ci sono le “emancipate” adesso, che le altre vanno educate – perché troppo arretrate o perché troppo sprovvedute o perché troppo liberine – e loro sono fuori per sempre da queste dinamiche perchè sono più intelligenti e strutturate ed economicamente e culturalmente parate…questo è classismo, un altro nome non ce l’ha, ed è inutile far finta che non esista il problema: questo è, piuttosto, il PRIMO problema per la lotta femminista.
Si parla di educazione al web, e di per sé è qualcosa di valido…ma le donne che vedono in questo la soluzione si illudono, e le più consapevoli barano sapendo di barare, mantenendo saldo lo status quo. Tutto il contrario di ciò che chiede la lotta, di ciò che serve al Femminismo se non vuole morire.
È una MENTALITÀ e un SISTEMA ECONOMICO E SOCIALE che vanno scardinati alle fondamenta. Se davvero si vuol “prevenire” – parola senza senso, qui bisogna piuttosto rivoluzionare – servono l’autocoscienza, l’autodifesa e la lotta politica…fatte dalle donne e per le donne. E le donne devono essere solidali in questi frangenti. Noi siamo sulle barricate, voi dove siete?
Voi, donne emancipate che gridate alla Responsabilità Individuale di queste donne che per colpa o per destino hanno contravvenuto a regole che vanno solo contro di loro, dove eravate? Dove? Se esiste una responsabilità, guardiamoci in faccia onestamente, è solo la vostra, non la loro. Perché siamo noi che per prime dovremmo sostenerle sempre, senza alcun tipo di giudizio, e farlo tra donne e per le donne, senza slegare mai questa lotta dallo scardinamento di una società classista e imperniata sulla logica del possesso e della prevaricazione, ad ogni livello: politico, economico, sociale. E se Responsabilità Individuale esiste, perché la negate trattando le vostre presunte sorelle come incapaci, ma sempre e solo a posteriori, senza minimamente preoccuparvi di ciò che determina l’impossibilità di una condotta realmente autonoma e libera da condizionamenti?
La lotta femminista non può essere identificata in una semplice vertenza; non può ridursi ad interpretare la particina tipo da Amica delle Donne; non può essere vilipesa usandone solo ciò che ci fa comodo per autopromuoverci individualmente nello stesso sistema che lede e declassa le donne ad oggetti sessuali e sessuati.
Questa è vigliaccheria, meschinità, doppiogiochismo, e non c’entra nulla col femminismo.
Non vi riconosciamo come femministe perché non lo siete, e la vostra è solo vile mistificazione.
Continuate per la vostra strada.
La vostra strada, che non è e non sarà mai la nostra.