Scappare dalle riserve.
Elisabetta Teghil
“Tra poco sarà troppo tardi per conoscere la mia cultura, poiché l’integrazione ci sovrasta e presto non avremo valori se non i vostri. Già molti fra i nostri giovani hanno dimenticato le antiche usanze, anche perché sono stati presi in giro con disprezzo e ironia e indotti a vergognarsi dei loro modi indiani.”
(Il mio spirito si innalza- Capo indiano Dan George)
La rappresentazione dell’”Altro” da sempre è utilizzata per la costruzione di un nemico che permetta la mobilitazione dei cittadini/e per dimenticare crisi e ingiustizie. Una valvola di sfogo.
Nelle correlazioni tradizionali c’erano queste classiche equazioni: comunismo-dittatura, lotta armata-terrorismo, autonomia-violenza, lesbiche-immorali, omosessuali-corruttori, anarchici-senza dio, femministe-rovina famiglie…. Alcune di queste sono venute meno, qualcuna è rimasta e molte altre si sono aggiunte: poveri-delinquenti, disoccupati-falliti, lavoratori pubblici-fannulloni, operai-scansafatiche, insegnanti-rubastipendio, pensionati- parassiti, politica-sporca, partiti-corruzione, collettivi e centri sociali-covi di estremisti e terroristi, resistenti della val di Susa-irragionevoli e violenti, solidali contro i Cie-fomentatori di rivolte….. Queste correlazioni, una volta costituivano l’armamentario dell’estrema destra, oggi attraversano l’insieme dei discorsi mediatici dell’intero arco partitico.
Ma chi le porta avanti con ricchezza di argomentazioni , utilizzando un lessico formalmente di sinistra e politicamente corretto sono i partiti e le organizzazioni socialdemocratiche, da quando, votandosi ai valori neoliberisti, si sono trasformate in destra moderna.
Uno dei temi più ricorrenti in cui si esercita il dualismo “noi e gli altri” è quello riferito agli immigrati.
Immigrato-disoccupato, immigrato-rubalavoro, immigrato-rubacasa, immigrato-sfruttatore del servizio sanitario e sociale, immigrata dell’est-rubamarito, immigrate-prostitute, immigrato-che qui pretende quello che a casa sua non oserebbe mai chiedere, immigrato-coniglio che si moltiplica a dismisura, immigrato-spacciatore, immigrato-stupratore….
Queste immagini acquistano ufficialità quando vengono veicolate dai media e dai partiti, dove gli immigrati vengono presentati come quelli che minacciano l’identità, l’integrità, la sicurezza della popolazione e la sovranità del territorio italiano.
Il discorso politico sull’immigrazione viene ridotto ad un problema di sicurezza.
Questo è l’impianto, ma c’è una tecnica discorsiva che definisce ,per contrasto, colui che si è integrato. Un’immagine che produce il messaggio che chi vuole davvero integrarsi lo può fare, quindi, gli altri, hanno scelto o si sono accontentati di non farlo. Così si rovescia la responsabilità delle discriminazioni sugli stessi che le subiscono e, per trascinamento, il discorso vale per tutti i poveri di casa nostra.
L’integrato, segue un percorso che lo porta a somigliare all’italiano della rappresentazione mediatica e, pertanto, si appiccica una maschera bianca alla sua figura.
L’immigrato integrato deve essere, necessariamente, devoto ai valori di questa società, servile e, soprattutto, deve “avercela fatta”. E deve, inoltre, acquistare la fiducia e, pertanto, essere in prima fila nella condanna della stragrande maggioranza degli immigrati che, invece, non ce l’hanno fatta e nella richiesta di pene severe nei loro confronti e di una legislazione imperniata sui respingimenti, giustificando e, addirittura nobilitando, l’uso dei Cie.
Il successo e l’adesione sono i due termini cardine su cui si impernia il concetto di integrazione.
Così presentata, l’integrazione rimanda, inevitabilmente, ad una situazione di inferiorità di partenza, rinnovando i principi del razzismo.
La mediatizzazione del tema e i discorsi dei partiti sono costruiti attraverso un rinvio sistematico a figure di immigrati che si oppongono a politiche di apertura, di tolleranza e di rispetto verso la cultura dell”altro”. Queste immagini sono legittimate da una forma di sdoganamento delle politiche securitarie e perpetuatrici dell’oppressione attraverso il “bene per loro” di cui si è impossessata la sinistra socialdemocratica.
Si ondeggia tra una lettura paternalistica del lavoratore immigrato, docile e subalterno, ma suscettibile di ricadere nella criminalità e nel terrorismo, e una neocolonialista che vede nell’immigrato integrato la prova della superiorità del nostro sistema, immigrato a cui si chiede continuamente che dia prova di adesione e di partecipazione. Pertanto, l’immigrato che si è integrato, che ce l’ha fatta, ingiunge a se stesso di essere il più vicino possibile, il più somigliante, a quello che si aspettano da lui i borghesi bianchi benpensanti. Svolge la funzione di giustificazione e di diffusione di un messaggio di sicurezza, di legittimazione condotta contro l’immigrazione, i poveri e gli oppressi tutti.
Il neoliberismo che è la forma compiuta ed attuale del capitalismo nella sua necessità autoespansiva non può che distruggere le economie altre. Questo si proietta nel rapporto con le altre culture, nei cui confronti non c’è rispetto delle peculiarità, ma solo una forma di cannibalismo culturale, a conferma che il capitalismo è anche metabolismo sociale.
Non a caso i due popoli più perseguitati sono , negli Stati Uniti, i nativi e nell’Europa occidentale, i Rom, perché, entrambi , a questo progetto di integrazione, sono quelli che più si oppongono.
Questa è l’operazione in atto anche nei confronti di noi donne , è questo che intendono per emancipazione/integrazione, l’adesione ai valori della società patriarcale e alla sua strutturazione sessista, classista, razzista.
Questo comporterà, necessariamente, sempre , un gran numero di donne, la stragrande maggioranza, emarginate e oppresse in diverso grado a seconda del dato biologico, censorio, etnico. Il paradiso è promesso e non raggiungibile per tutte, solo per quelle che si prestano a tenere nell’inferno la stragrande maggioranza delle altre.
Ma quelle che sgomitano e si danno tanto da fare per ottenere promozioni individuali non si facciano illusioni, alcune saranno promosse, molte faranno le piazziste del verbo neoliberista, ma nessuna entrerà a far parte dell’iper-borghesia. Lì si entra per nascita. A conferma che quest’ultima è l’aristocrazia dei nostri tempi .
Noi non ci metteremo mai la maschera del maschio, non ci faremo mai omologare ed integrare, e scapperemo sempre dalle riserve.