Un filo rosso: Rosa Luxemburg e Ulrike Meinhof
di Elisabetta Teghil
“No, non voglio essere una delle vostre donne confezionate col cellophane. Non voglio essere presenza tenera di piccole risate e di sorrisi stupidamente allettanti e dovermi sforzare di essere quel tanto triste e ammiccante e al tempo pazza e imprevedibile e poi sciocca e infantile e poi materna e puttana e poi all’istante ridere pudica in falsetto a una vostra immancabile trivialità.” Ulrike Meinhof
Il libro appena uscito per le Edizioni Gwynplaine “ Ulrike Meinhof, una vita per la rivoluzione-R.A.F. Teoria e prassi della guerriglia urbana” a cura di Giulia Bausano e Emilio Quadrelli su Ulrike Meinhof e sui documenti della RAF, viene a distanza di 37 anni da quando l’editore Bertani pubblicò “La guerriglia nella metropoli-Testi della RAF e ultime lettere di Ulrike Meinhof.”
In quella occasione in una nota, l’editore rammentò un articolo della stampa mainstream che ipotizzava che in un “covo” erano stati ritrovati degli scritti della RAF con un elenco di nomi fra cui un certo “George Bertein”. Era facile fare il collegamento fra questa presunta scoperta e il nome dell’editore Giorgio Bertani. Naturalmente il giornale che si era prestato a diffondere questa notizia era “La Repubblica” che in quella stagione tanta parte ebbe nell’imporre il termine “covo” e sorvolò sul fatto che la maggior parte dei così detti “covi” erano soltanto sedi di radio democratiche, sedi di gruppi politici o addirittura lo studio o la biblioteca di studiosi di problemi politici tedeschi e che fece in Italia quello che in Germania federale fece il gruppo editoriale Springer.
Bertani nell’edizione italiana riportava la prefazione che Jean Genet aveva fatto per l’analogo libro pubblicato in Francia da Maspero, in cui scriveva “ noi dobbiamo ad Andreas Baader, ad Ulrike Meinhof, Holger Meins, Gudrun Ensslin e a Jan-Carl Raspe , alla RAF in generale di averci fatto comprendere non solo con le parole ma con le loro azioni fuori e dentro le prigioni che solo la violenza può porre fine alla brutalità degli uomini, ma mai in ciò che noi conosciamo di essi, i membri della RAF lasciano che la loro violenza diventi pura brutalità poiché essi sanno che sarebbero immediatamente trasformati in quel nemico che combattono ( …) la RAF stabilisce una evidenza politica che in Europa viene tenuta nascosta. E’ per questo che la frazione armata rossa è così poco- malgrado la risonanza dei suoi argomenti politici, risonanza soffocata, è vero, da un’azione violenta chiamata qui “terrorismo” (parentesi: ancora una parola, quella di “terrorismo” che dovrebbe essere applicata anche e prima di tutto alle brutalità di una società borghese)- per questo, dicevamo, è così poco accettata da una certa sinistra?”
La Rote Armee Fraktion nasce nel 1969/70 dalle correnti di base dell’APO (Opposizione Extraparlamentare) che denunciavano la società tardo nazista in cui vivevano, contrassegnata però da un più raffinato meccanismo di eliminazione (Ausschmerze) e di selezione (Auslese) in un contesto sociale gerarchizzato sulla base del rendimento e in cui la distruzione socio-politica della personalità veniva perseguita così come l’avevano immaginata i nazisti ma con strumenti più raffinati e più invasivi. Il tutto con una sovrastruttura pseudo parlamentare.
La RAF nasce da tanti luoghi e situazioni: dai comitati Black Panthers dell’area di Francoforte, dalla Rosa Bianca dell’area di Amburgo e Hannover, al Collettivo Socialista dei Pazienti ad Heidelberg, ai Ribelli dell’Hashish a Berlino ovest. Questi gruppi erano attivi e le loro azioni erano di vario tipo ma tutte connotate dal rifiuto e dalla violazione della legalità classista. La Rosa Bianca aiutava i disertori e procacciava loro i documenti, altre facevano attentati contro edifici e depositi delle forze di occupazione, altri ancora portavano a termine azioni contro le carceri e gli ospedali psichiatrici. Si facevano irruzioni nei Consolati dei regimi quelli sì terroristici e colonialistici.
Ognuno nell’ambito della propria sensibilità partecipava alla cultura sovversiva che era largamente consolidata nel movimento e che, per la prima volta, aveva trovato punti di contatto con la gioventù sottoproletaria. In questo ambito si fanno notare anche collettivi femministi che partendo dalla condizione propria della donna partecipano attivamente a questa stagione.
Questo è l’humus in cui nasce la RAF a differenza delle Brigate Rosse che nascono nelle fabbriche. E, checché ne dicano i divulgatori della menzogna storica sia dell’una che dell’altra esperienza, nascono da situazioni reali di lotta di classe. Contro le BR, infatti, sarà necessario cooptare il PCI che, fra schedature, delazioni e dossier parteciperà attivamente alla repressione delle avanguardie di fabbrica.
Ma torniamo alla RAF. Le Unità Speciali che erano allora composte da Sezioni antidroga e Antirocker e dalla polizia politica, attaccavano ogni giorno gli spazi liberi e diffondevano la droga negli spazi sociali.
E’ in questo contesto che gli intellettuali di sinistra dovettero fare una scelta. A fronte di tanti, di troppi, che voltarono lo sguardo altrove, alcuni andarono ad unirsi al cuore del movimento. Ed anche operai, soprattutto lavoratori della metallurgia e della chimica, di fronte alle riforme socialdemocratiche che avevano l’obiettivo di perfezionare le tecniche del controllo sociale in famiglia, in fabbrica, nelle scuole per il trionfo della società del rendimento di nazista memoria, optarono per una rottura definitiva con il modello tardo capitalistico.
La RAF nasce dal principio di una rivoluzione sociale dal basso. Per la RAF il sistema imperialista è un’unità mondiale che supera le frontiere nazionali e che organizza globalmente il saccheggio e l’oppressione dei popoli perciò il limite nazionale della lotta di classe non è che l’espressione della debolezza strutturale del proletariato. Da qui la necessità di un rivoluzione sociale che ponga l’accento sul ruolo degli immigrati, degli emarginati, delle donne e sulla necessità della costruzione di un nucleo armato.
Senza dubbio la lettura politica fatta dalla RAF era corretta e sincera, espressione di una valutazione dello stato di cose realistica e corroborata da integrità morale. E’ in questo contesto che coscientemente il gruppo decise di portare l’azione e l’organizzazione sul piano dell’azione diretta. Questo è il senso della liberazione dal carcere di Baader.
Questa scelta, inoltre, fu rafforzata dalla sensibilità e dall’attenzione che suscitò il massacro dei Palestinesi in Giordania nell’autunno del 1970, nonché il colpo di Stato e relativo genocidio tramite i fantocci locali da parte degli USA in Indocina e dall’opposizione alle leggi di emergenza (Notstandsgesetze) in Germania. Pertanto la RAF aveva l’obiettivo di liberare, a partire dal movimento e mutuando la concezione della guerriglia urbana da Carlos Marighella, la società del “Modello Germania” che andava definendosi.
Fu protagonista di colpi eroici e di una guerriglia antimperialista che si poneva il problema di rivitalizzare una fase della protesta di massa già da tempo sbandata e divisa. Nel maggio del ’72, tanta parte della RAF era in carcere. Il fenomeno RAF fu analizzato e letto dalla socialdemocrazia e da gruppetti di sinistra che si autodefinivano, bontà loro, marxisti-leninisti e magari trotskisti, e che erano invece solo dogmatici, in chiave diffamatoria omettendo la spinta eroica a cui venne sottratta, in modo meschino e vile, la grandezza della sua legittimità.
Tutti costoro hanno chiuso gli occhi su come venivano trattati i detenuti della RAF nelle carceri. In quegli anni, chiunque avesse voluto, avrebbe potuto informarsi, ma tanti troppi rimossero gli spaventosi racconti dei familiari e degli avvocati e preferirono la versione del governo e dei mass media e non vollero riconoscere il carcere politico speciale e il regime carcerario dei bracci speciali come attualizzazione dei campi di concentramento di nazista memoria e abbandonarono i prigionieri della RAF al loro destino.
Pertanto la RAF, fin dalla sua nascita, è parte integrante di un processo storico, processo che si sviluppò poi in un’organizzazione clandestina che aveva l’obiettivo, attraverso azioni militari contro i centri nervosi dell’apparato statale e poliziesco, di riconquistare l’essenza della nascita dell’APO. Nel maggio del ’72 venne compiuta un’azione contro il quartier generale USA in Europa ad Heidelberg con la distruzione del computer che coordinava una parte delle campagne di sterminio in Vietnam. Ad Hanoi vennero affissi manifesti con la notizia.
Aveva consapevolezza che il potere avrebbe schiacciato, integrato, fagocitato e digerito tutto e tutti, comprese, e per prime, le componenti riformistiche. Nella migliore tradizione rivoluzionaria i militanti hanno vincolato la loro identità al loro obiettivo politico.
L’attualità della RAF è proprio nella comprensione chiara dello sviluppo che poi in sostanza è avvenuto della nostra società con la vittoria del neoliberismo che si incarna attraverso la realizzazione di tre momenti: il ritorno al medioevo, all’ottocento e al nazismo e nell’aver saputo leggere quello che molti anni dopo viene raccontato come potere delle multinazionali nella dimensione organizzativa di associazioni come Bilderberg e Trilateral.
Troppi sono ancora quelli che si autodefiniscono marxisti perché li aiuta nella carriera nel mondo accademico e magari dà loro un certo tono, ma dimenticano il nodo da cui partiva il pensiero di Marx il cui obiettivo principale era quello di cambiare il mondo. E sono ancora troppi quelli che si autodefiniscono leninisti, che non funziona come viatico per il mondo accademico dato che lì il termine è stato già sufficientemente demonizzato, ma che serve loro, dietro l’alibi della durezza e purezza, per non prendere mai posizione.
I/le militanti della RAF sottolineavano che era impossibile lottare nell’ambito sociale se non si rinnovava il modo di essere, di pensare e di relazionarsi. In questo furono, tenuto conto degli ambiti diversi, molto vicini al femminismo che teorizzerà che il sociale è il privato. La presenza delle donne nella RAF fu importante, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, e parallelamente ci furono collettivi femministi come le Rote Zora che praticarono le azioni armate.
L’impegno della RAF fu caratterizzato in maniera molto forte dalla consapevolezza che il capitalismo nella stagione imperialista è una filiera al cui vertice ci sono gli Stati Uniti, lo Stato del capitale. E che lo stesso utilizza i socialdemocratici per imporre interessi statunitensi negli ambiti nazionali. Sono stati preveggenti, oggi lo sappiamo con certezza: il neoliberismo, scelta fatta negli USA, viene irradiata in Europa proprio tramite i socialdemocratici, comunque si chiamino.
Sulla loro pelle, i militanti della RAF hanno verificato che la socialdemocrazia anche là dove formalmente dice di avere abolito la pena di morte, la applica extra-legem.
In Germania la repressione ha assunto modalità squisitamente naziste che non hanno coinvolto solo i militanti e magari i simpatizzanti, ma tutta la società a partire dall’area diffusa della militanza di sinistra. E si è fatto ricorso all’utilizzo forte e collaborazionista dei media e dei testimoni della corona, nonché del terrore seminato nell’opinione pubblica di presunte e completamente infondate minacce che hanno gettato nella paura la popolazione con un crescendo di falsi allarmi.
In questo l’esperienza tedesca è radicalmente diversa da quella italiana. In Italia sono state utilizzate direttamente le stragi di Stato e, per la natura della lotta armata qui da noi e per il ruolo che il PCI si è dato, si è preferito utilizzare volenterosi Vysinskij secondo la tradizione stalinista. Paradossalmente, per via della presenza di componenti della DC legati all’ispirazione cattolica, nonché a magistrati di scuola liberale non è stata attuata l’eliminazione fisica nelle prigioni dei partecipanti alla lotta armata come è stato fatto in Germania.
In Germania la repressione fu accompagnata da una serie di “riforme” che, così come in Italia, gratificarono con miglioramenti economici e normativi i lavoratori, riforme che avevano l’intento di premiare le scelte riformiste facendole passare per vincenti mentre erano dettate dal timore che l’ipotesi comunista attecchisse e trovasse consenso. L’utilizzo, infatti, fu solo strumentale e, venuta meno per il capitale la paura del comunismo, sconfitta militarmente la lotta di classe e adottata la scelta di fondo neoliberista, le conquiste degli anni ’70 sono state tutte eliminate. Questo conferma una volta di più che le scelte antipopolari degli ultimi trent’anni non sono dettate da una crisi.
Non c’è nessuna crisi, c’è la vittoria del neoliberismo che ha messo in preventivo le conseguenze negative per la maggior parte della popolazione ed è sicuro di poterle gestire avendo sperimentato con successo che, giocando su repressione e rimozione dei momenti di rappresentanza degli interessi di classe, si può tranquillamente spingere la stragrande maggioranza della popolazione in una situazione di povertà anche estrema, con mancanza di tutele e abbattimento dello Stato sociale.
La RAF è stata preveggente anche nell’intuire la potenzialità come soggetti rivoluzionari di tutti quelli che si oppongono al capitalismo pur non essendo classe operaia, dai sottoproletari ai lavoratori dei servizi, agli emarginati, a quelli che praticano economie marginali di autosussistenza… intuizione che sarà fatta propria in Italia da Lotta Continua. E ha verificato sulla propria pelle che tanti, troppi, che si proclamavano antimperialisti, attenti alle lotte di liberazione e ai movimenti armati dei popoli del terzo mondo, quando poi, queste lotte sono state tradotte e praticate in casa propria, hanno preso velocemente le distanze e si sono dileguati. Tutto ciò è successo anche qui da noi. Si faceva il tifo per i Tupamaros e per qualsiasi altra formazione guerrigliera con manifestazioni e concerti. a Roma tutti i sabati a piazza Farnese, in cui veniva adottato un movimento rivoluzionario, ma quando qualcosa di simile si è affacciato anche qui, allora sono state prese le distanze e la solidarietà rivoluzionaria si è sciolta come neve al sole. O, peggio, si sono levati i cori di condanna sulla lotta armata in Italia. Come al solito, ci si fa belli con le cose del passato o di altri paesi.
Dato che l’accusa più ricorrente nei confronti delle e dei militanti della RAF è quella di “terroristi”, è utile ricordare quello che dissero Andreas, Gudrun, Jan e Ulrike al processo di Stammheim: “Quello che accade è che si crea il concetto di “terrorismo”. Questo concetto è una proiezione. Proiettato sulla guerriglia urbana esso è falso. La definizione del terrorismo, con la quale la strategia reazionaria opera contro la guerriglia, viene da Hacker, che è psichiatra e che, con l’aiuto di un vocabolario pseudo-scientifico, pone la questione della trasformazione/evoluzione della società in termini di conservazione dello status quo sociale, in termini di adattamento violento dell’uomo e dei rapporti inumani. Hacker appartiene alla cricca di quegli scienziati imperialisti che, come l’etologo Lorenz e il behaviorista Skinner (come anche le autorità della Società tedesca di psichiatria), si sono dati come compito di tutta la loro vita quello di mistificare il contenuto materiale della lotta antimperialista, di dare delle giustificazioni scientifiche ai programmi di annientamento dei prigionieri- programmi che mirano ad annientare i rivoluzionari e i ribelli prigionieri. Hacker è consigliere del Pentagono, del FBI e dell’Ufficio federale criminale per la repressione delle rivolte.(…) Dopo che il concetto di “terrorismo” è imposto attraverso i mass-media dalle regole linguistiche del governo come proiezione-in altri termini si proietta la politica dell’ imperialismo contro movimenti di liberazione su questi stessi movimenti- la propaganda controrivoluzionaria come tutta la propaganda imperialista non può essere null’altro che una proiezione che viene poi corredata dalle provocazioni della polizia..”
E’ proprio nell’esecuzione materiale dei processi che si dispiega in tutta la sua continuità il processo penale nazista e socialdemocratico. Non solo le regole scritte non vengono rispettate, non solo si cambiano le regole stesse in corso d’atto, ma come durante il nazismo gli avvocati che difendevano gli imputati accusati dell’attentato fallito a Hitler erano costretti ad andare in udienza senza la cintura, così gli avvocati che difendevano la RAF erano costretti a presentarsi in aula reggendosi i pantaloni e le motivazioni erano le stesse adottate dai giudici nazisti. Naturalmente quei pochi avvocati coraggiosi, come da noi, che accettarono di difendere i/le militanti erano soggetti a pedinamenti, controlli, provocazioni, quando non denunce.
Nella furia iconoclasta contro la RAF è stata operata una pesante censura nei confronti della Trilateral e del Bilderberg nonostante che la prima fosse teorizzata già nel 1970 da Zbignew Brzezinski e la seconda iniziasse i suoi lavori già nel maggio del 1954 all’Hotel Bilderberg in Olanda con il tema “La difesa dell’Europa contro il pericolo comunista”.
La RAF aveva già messo in luce nei suoi documenti il ruolo di entrambe nelle campagne anticomuniste e di imposizione di governi “graditi” e di interferenza pesante negli affari interni dei Paesi. E il silenzio fu accompagnato anche da attacchi scomposti nei confronti di chi sollevava il velo su queste operazioni. Ne sa qualche cosa chi denunciò le decisioni prese a proposito dell’Italia sul panfilo Britannia.
In maniera molto tardiva, quando si è visto che i progetti pianificati sul Britannia sono stati realizzati in Italia, uno spiraglio si è aperto e finalmente, sia pure a distanza di tempo, si può parlare di Trilateral e Bilderberg. Il peccato originale era che per primi ne avevano parlato la RAF in Germania e le BR in Italia. Infatti mentre una sinistra sinistrata si adagiava nel silenzio e nelle accuse di complottismo, già il 9 novembre del 1977, dopo l’”esecuzione “ dei detenuti della RAF, la Trilaterale attestava al Cancelliere socialdemocratico Schmidt il pieno appoggio contro l’insurrezione “sul fronte più avanzato”. Erano presenti Brzezinski, Kissinger, D. Rockfeller, Rotschild, Agnelli.
Questa stessa sinistra sinistrata ha dato la colpa alla lotta armata di aver provocato provvedimenti repressivi da parte dell’esecutivo tali da fermare il progetto di miglioramento delle conquiste operaie, perciò in definitiva la responsabilità delle stragi di Stato sarebbe di chi pratica la guerriglia nelle città. Ma non è quello che i così detti benpensanti dicono dell’azione di Via Rasella e dell’eccidio delle Fosse Ardeatine? Ma, quando, a che livello delle conquiste dei lavoratori scatterebbe la repressione? C’è un crinale che verrebbe fatto passare impunemente dal potere? Per quelli che dicono che la repressione provocata dalla lotta armata avrebbe fermato la presa di coscienza rivoluzionaria nei territori, viene spontanea allora una domanda: qual è il crinale oltre il quale questa presa di coscienza non sarebbe stata tollerata?
La verità è che la RAF ha reso immediatamente visibile la natura, il ruolo dell’apparato repressivo da tempo installato nei paesi a capitalismo avanzato e il ruolo, funzione d’ordine, contenuta nel concetto di Stato borghese. E’ come dire che le lotte di classe in fabbrica creano il capetto servo del padrone, la polizia aziendale come tale, il sindacato come struttura fiduciaria e integrativa del padronato. No, la lotta di classe in fabbrica svela soltanto il ruolo di questi apparati.
La maggior parte dei militanti della RAF erano appartenenti ai movimenti studenteschi degli anni ’66/ ‘69. Lo scollamento tra questi movimenti e il nuovo livello espresso dalle lotte di classe dopo gli scioperi del settembre ’69, unito ad una feroce repressione in campo internazionale, fa maturare in alcuni la necessità che non si può scindere la generazione del movimento studentesco dallo sviluppo storico delle lotte di classe nella società moderna. Infatti la RAF è orientata essenzialmente contro istituzioni e persone dell’esercito USA, del complesso Springer e contro le classiche istituzioni repressive dello Stato e contro i garanti privati della legalità del capitalismo in un rinnovato concetto di lotta di classe che si configura come resistenza.
Il capitalismo è l’organizzazione politica delle società produttrici di merci e si svela pertanto come colonizzazione interna, come dominio direttamente vissuto. Lo Stato è visto come garante della pace sociale ovvero come avversario dell’autonomia della classe e, a livello internazionale, come tutore degli interessi delle multinazionali rispetto ai movimenti di liberazione del così detto terzo mondo. La violenza imperialista si manifesta in maniera cruda senza la copertura della civilizzazione, del fardello dell’uomo bianco, attraverso l’ingerenza militare, i colpi di Stato, l’appoggio alle cricche reazionarie latifondistiche locali.
Si è trattato in definitiva di un’esperienza collettiva propria dell’avanguardia dei movimenti studenteschi che quindi in quanto tale differenzia la sua storia di formazione dagli altri gruppi armati europei ed extra europei. La RAF aveva portato in sé il retaggio del travisamento storico e della violenza del racconto secondo il quale sembrava che fossero stati Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg ad uccidere la soldataglia e a gettarla nel canale di Berlino e non viceversa.
Per la RAF il sistema imperialista è un’unità mondiale che supera le frontiere nazionali e che organizza globalmente il saccheggio e l’oppressione dei popoli. E perciò smaschera la miseria di una certa sinistra tedesca che si entusiasma a parole per le lotte rivoluzionarie purché avvengano ad una congrua distanza dalle frontiere della Germania.
L’esperienza della RAF non è l’atto disperato di alcuni intellettuali, l’azione di piccoli borghesi, queste interpretazioni sono date da coloro che rinchiudono il lavoro politico o nella sicurezza di schemi prefabbricati o in qualche cosa che si dovrà realizzare il giorno del poi e l’anno del mai.
La RAF è una scelta concreta derivante dall’analisi della realtà sociale come struttura capitalistica inserita e determinata nel contesto imperialista. La lotta rivoluzionaria non si può esaurire nel chiamare il popolo alla lotta contro la miseria materiale, ma significa individuare nei paesi altamente industrializzati il luogo in cui la lotta di liberazione rivoluzionaria dei popoli dei terzo mondo e la lotta del proletariato delle metropoli si saldano. La vittoria degli uni è insieme la vittoria degli altri.
La RAF ha provato a scardinare il modello tradizionale di lotta, quello della divisione tra lotta politica e lotta economica. Pertanto le forme di lotta in cui si esprime e si sviluppa la coscienza di classe, attraverso gli scioperi spontanei, le assemblee operaie, le lotte contro i ritmi delle linee di montaggio, quelle contro la nocività e la repressione in fabbrica, da subito smascherano il ruolo degli attori di questo scontro. La maggioranza della sinistra, comunque di quella che si autodefinisce sinistra, non si è limitata a non accettare il concetto di guerriglia urbana, non si è limitata nel periodo della repressione più brutale a prendere le distanze e a negare la propria solidarietà ma ha lavorato obiettivamente per il potere capitalistico sino alla diffamazione.
E i media si sono prestati ad essere un braccio del potere esecutivo mitragliando l’opinione pubblica con l’immagine che il potere voleva si desse della RAF: un’accozzaglia di sbandati che ossessionati dal sesso, dall’alcool, dalla droga e da una disordinata lettura dei testi marxisti sono precipitati nell’abisso della “Banda Baader-Meinhof”. Per realizzare questo loro compito i media hanno grufolato nelle biografie di ognuno dei componenti della RAF per rimuovere ogni motivazione politica che potesse comunque far capolino e magari catturare simpatie. Le pagine più inquietanti sono state dedicate a Ulrike Meinhof e Gudrun Ensslin. Alla prima sono stati sciorinati titoli di questo tono “A letto la <capa> c’era per tutti” e ancora “Ulrike fa coraggio ai suoi uomini a letto” e, naturalmente, è plagiata da Andreas Baader e perciò pianta marito e figlie per lui. Ma ce n’è anche per Gudrun Ensslin, che, con riferimento a Baader, viene raccontata come la “sua amante”, “la sua compare”, “la sua ombra” e anche a lei viene rimproverato di aver lasciato il marito e un figlio. Sono emblematiche di questo trattamento le immagini dell’arresto di Ulrike, a cui una mano volgare e disgustosa alza violentemente il volto per darlo in pasto ai fotografi, nonché l’asportazione del suo cervello per studiare i meccanismi del dissenso, cervello che è stato conservato per venticinque anni nei magazzini dell’università di Magdeburgo e che è stato ricongiunto al corpo solo nel 2002.
Già nel 1968, sula rivista Konkret, Ulrike Meinhof scriveva “Il conflitto reso pubblico a Francoforte (dove si era riunita la Weiberrat-ossia la Commissione femminile del SDS-lega tedesca degli studenti-dove le compagne avevano lanciato pomodori e altri ortaggi contro i compagni per costringerli a discutere del ‘privato’) lo conoscono bene tutti quelli che hanno famiglia, soltanto che in quella sede per la prima volta si è messo in evidenza che questa faccenda privata non è una faccenda privata(…) Queste donne non vogliono più stare al gioco, perché su loro grava tutto il peso dell’educazione dei figli(…)hanno chiarito che l’incompatibilità tra l’educazione dei figli e il lavoro fuori casa non è una loro carenza personale, ma è compito dell’intera società che ha fatto sorgere questa incompatibilità(…) (Le donne) non si sono lamentate e non si sono presentate quali vittime chiedendo compassione, comprensione, una lavastoviglie, parità di diritti tra uomini e donne, e quant’altro. Hanno invece cominciato ad analizzare la sfera privata, l’ambiente maggiormente vissuto, i cui carichi sono i loro carichi, e sono arrivate alla conclusione che gli uomini sono oggettivamente gli agenti della società capitalista per la repressione delle donne, anche quando soggettivamente non vogliono esserlo(…)Il solo seguito dell’incontro di Francoforte può essere che un numero maggiore di donne rifletta sui propri problemi, che si organizzi e impari a esprimersi, in un primo momento non pretendendo dai loro uomini nient’altro che di essere lasciate in pace in queste cose e che si lavino da sé le loro camicie macchiate di pomodoro.”
Invece, funziona sempre così con le scelte delle donne, non sono mai autodeterminate, ma sarebbero sempre dettate dall’amore, dalle frustrazioni sentimentali e, comunque, uterine.
“…Nella sua esposizione, il signor procuratore ha dedicato molta attenzione specialmente alla mia piccola persona. Mi ha descritta come un grande pericolo per la sicurezza dell’ordine statale, non ha nemmeno disdegnato di scendere a un livello volgare e mi ha chiamata “Rosa rossa”. Ha anche osato insinuare sospetti nei riguardi del mio onore personale…” Questo uno stralcio della dichiarazione fatta da Rosa Luxemburg al processo intentatole nel 1914 per attività antimilitarista. Ogni volta che una donna viene stuprata è “consenziente”, ogni volta che fa delle scelte non gradite al sistema è “sovradeterminata “ dal marito, dall’amante, dal convivente, dal compagno….oppure è pazza.
Non c’è nessuna differenza tra la stampa tedesca e italiana. L’unica differenza dagli anni della RAF e da quelli della lotta armata in Italia ad ora è che adesso la stampa da braccio del potere è diventata una componente del potere stesso.
I socialdemocratici degli anni ’70 con il Cancelliere Helmut Schmidt, stanno ai socialdemocratici degli anni ’20 con il Cancelliere Friedrich Ebert, come la RAF sta alla lega di Spartaco e Ulrike Meinhof sta a Rosa Luxemburg. Non dobbiamo permettere che Ulrike sia calunniata e poi fra quarant’anni riletta e manipolata così come è stato fatto con Rosa Luxemburg, magari dagli accademici di scuola socialdemocratica.
Questo scritto è dedicato con affetto a Petra Schelm .
Relazione tenuta a Roma, il 17 giugno 2016 in occasione della presentazione del libro “Ulrike Meinhof, una vita per la rivoluzione. R.A.F. Teoria e prassi della guerriglia urbana” a cura di Giulia Bausano e Emilio Quadrelli, Ed. Gwynplaine 2016, organizzata da <Achtung Banditen>.
“o sei parte del problema o sei parte della soluzione. in mezzo non c’è niente” HOLGER MEINS
analisi perfetta e molto documentata sulla lotta armata come atto definitivo della lotta di classe e anti imperialista. alla guerra scatenata dall’imperialismo contro il popolo / i popoli l’unica risposta plausibile è la lotta armata. d’altronde come ammoniva il compagno Holger Meins “o sei parte del problema o sei parte della soluzione, in mezzo non c’è niente”. mi sia consentito onorare la memoria di tutti i compagni caduti in battaglia nella guerra contro la bestia capitalista e per la liberazione dell’intera umanità.
p.s. chi scrive è giunto ormai alla soglia dei 60 anni, ha militato in Lotta Continua e, nonostante gli anni che passano, continua a sostenere la lotta senza tregua contro il sistema. consiglio di leggere il libro del quale si parla nello scritto / relazione di presentazione, soprattutto a tutti i compagni che, per ragioni anagrafiche, non hanno potuto consultare i libri pubblicati dall’editore Bertani negli anni ’70.