“L’ennemi principal”
Christine Delphy, femminista materialista francese, dichiarava in un famoso articolo degli anni’70, che la questione più importante era l’individuazione del nemico e, nel caso in questione, si riferiva al sistema di espropriazione e di dominazione patriarcale.
Ma, al di là dello specifico di quell’intervento, la dichiarazione è fondamentale perché senza l’individuazione del nemico e lo smascheramento di come questo agisce, le lotte diventano inutili, fuorvianti e costituiscono un notevole spreco di energie. Oltre ad avere il dannosissimo risultato, proprio per il fatto che sono fuorvianti, di demoralizzare le militanti e i militanti e allontanarle/i dall’agire politico.
Il discredito da cui ora è colpita la sinistra, infatti viene da lontano, viene dalla mancata individuazione e denuncia con fermezza e determinazione del ruolo, negli anni ’60 e ’70, del PCI e della socialdemocrazia, cosa che ha permesso l’annientamento delle lotte di quegli anni e che ha trascinato fino ad ora l’equivoco su queste entità politiche nelle svariate configurazioni che hanno assunto, permettendo il massacro del concetto stesso di sinistra, la demonizzazione del termine compagno/a per arrivare fino alle dichiarazioni che non esisterebbero più destra e sinistra e che la politica è sporca.
Ora, leggendo la chiamata per le manifestazioni contro la guerra del prossimo 12 marzo salta agli occhi la mancanza assoluta del nome, neanche pronunciato per sbaglio, degli Stati Uniti.
Il neoliberismo, con tutti i suoi corollari, non rappresenta altro che la fase attuale del capitalismo nella sua autoespansione. Le delocalizzazioni industriali, le crescenti e disumane disuguaglianze, la povertà cronica e diffusa non sono il frutto della crisi o la fatale conseguenza dello sviluppo sociale, ma il risultato di decisioni che riflettono il forte spostamento dei rapporti di classe in favore del capitale. Il modello non è da inventare, non si costruisce a tentoni, ma è quello statunitense. L’America riplasma il mondo a sua immagine. Ma, tutto ciò ,passa attraverso la colonizzazione semiotica e ideologica che si opera con la diffusione di questi metaconcetti. Disimpegno dallo Stato sociale, rafforzamento delle componenti poliziesche e penali, riduzione delle tutele del mercato del lavoro e delle tutele sociali e, attraverso la celebrazione moraleggiante della “responsabilità individuale” si approda alle guerre “umanitarie”. Il tutto va di pari passo con la sistematica dissoluzione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, con la precarietà, con carichi di lavoro disumani, con il controllo/vigilanza sul luogo di lavoro , con la caccia ai sindacati non allineati, con la rimessa in discussione del diritto di sciopero, con la totale flessibilità dell’orario di lavoro. E’ un progetto insieme ideologico ed economico. La fase attuale del capitalismo ha la sua principale caratteristica nell’offensiva degli Stati Uniti tesi ad assoggettare con ogni mezzo a disposizione tutte le potenze amiche e/o rivali. Ottenere, a tutti i costi, il dominio egemonico, è, per gli USA, un imperativo imposto dalle condizioni oggettive al fine di superare la spaccatura strutturale tra capitale transnazionale e Stati nazionali. Da qui, l’attacco all’Europa che ha le radici profonde nel disprezzo della democrazia e dello Stato sociale inscritti negli Stati europei e che, oggi, si basa sulla necessità di impedire la coesione dell’Europa, di sgretolarne la moneta ed il mercato unico. Infatti , Henry Kissinger, in un discorso intitolato “L’anno dell’Europa”, consigliava agli europei di esercitare le loro “responsabilità regionali” nel quadro globale di un “ordine mondiale” determinato dagli Stati Uniti. Ogni soluzione indipendente era, dunque, già condannata.
Strumento principe della politica di espansione militare è la Nato, trasformata in esercito di aggressione sotto comando USA . Legare l’Unione Europea alla Nato senza nominare gli Stati Uniti è fare un’operazione di pericolosa mistificazione, dato che l’Europa è sotto il dominio militare e culturale degli Usa. La Germania è piena di basi militari e l’Italia è una portaerei americana. E il TTIP sarà il colpo di grazia a qualsiasi tentativo di autonomia da parte dell’Unione Europea.
E, allo stesso tempo, dire che quello in atto è uno scontro tra varie potenze imperialiste, significa confondere l’aggressore con l’aggredito, dimenticare che l’accerchiamento alla Russia è opera statunitense e noi sappiamo che quando si mette sullo stesso piano chi aggredisce e chi è aggredito significa stare dalla parte del più forte.
E pensare che il governo Renzi abbia un’autonomia decisionale rispetto agli Stati Uniti è altrettanto pericolosamente mistificante perché è proprio il PD a rappresentare e a naturalizzare il neoliberismo nel nostro paese e ad essere portatore del modello americano. L’aggressione alla Libia del 2011 è stata fortemente voluta dal PD e dall’allora presidente della repubblica Giorgio Napolitano benché fosse chiaro che era assolutamente contro gli interessi italiani.
Renzi non è altro che un governatore incaricato dagli USA di una colonia che si chiama Italia.
Il neoliberismo, questa nuova società che si proclama “moderna” si basa su una serie di opposizioni e di equivalenze che si sostengono e si rispondono a vicenda per descrivere le trasformazioni della società “avanzata”, attraverso una “retorica” a cui i governi ricorrono per giustificare la loro volontaria sottomissione ai mercati finanziari. In questo modo, gli Stati Uniti impongono al resto del mondo categorie di percezione analoghe alle loro strutture sociali, rafforzando, così, le pretese universalistiche. Attraverso il ragionamento binario, costruito compiutamente, l’ alternativa è fra essere individui, partiti, Stati “democratici” e “capitalistici” nella versione “americana” oppure “comunisti”, “terroristi”, “islamici”.
Per questo non nominare nelle mobilitazioni contro la guerra il ruolo, l’essenza, la strategia statunitense significa non riconoscere chi è il nemico principale e paradossalmente consegnarsi mani e piedi proprio alla guerra.