Impero e aristocrazia
di Elisabetta Teghil
E’ evidente che ci sono tensioni fortissime nel mondo occidentale che scaturiscono dal tentativo, per molti versi riuscito, di costituire un’aristocrazia multinazionale che si propone di imporsi come soggetto contrattuale con la super potenza statunitense. In Europa l’iperborghesia annidata nelle multinazionali sta smantellando le forze sindacali e partitiche che si oppongono al neoliberismo e, quest’ultimo, significa disoccupazione, povertà, annullamento dello Stato sociale, venuta meno della sanità pubblica, del pensionamento generalizzato, della contrattualizzazione del salario. Tutto questo passa anche, necessariamente, attraverso la repressione e una cultura securitaria che colpiscono particolarmente i gruppi politici e le forze sociali che più contrastano il neoliberismo. La repressione, in tutte le sue articolazioni, sottolinea e caratterizza questo momento storico dell’autoespansione del capitale. E la repressione si colloca nello squilibrio fra strutture nazionali statuali e la ricomposizione capitalistica di fondo che è permeata dallo scontro fra multinazionali e Stati per la ricollocazione delle gerarchie capitalistiche che vedono gli Stati Uniti con il loro alleato inglese, all’offensiva e l’unico interlocutore è l’aristocrazia sovranazionale, l’iperborghesia, che vuole portare in dote al matrimonio la “testa” del mondo del lavoro. Il programma di classe oggi passa, oltre che su obiettivi e scadenze di lotta, anche su una valutazione degli equilibri, degli scontri, dei rapporti di forza che lo sviluppo globale presenta. Questa attenzione non è secondaria perché ne scaturisce la possibilità di porre qualche ostacolo alla voracità con cui l’iperborghesia si serve della socialdemocrazia come arma politica. Oggi, ci troviamo di fronte ad una situazione che non è più il lavoro in fabbrica a determinare i rapporti sociali bensì la messa al lavoro della società e, quindi, lo sfruttamento di tutti coloro che nella società sono attivi.
La classe operaia non ha mai amato il lavoro salariato in fabbrica, lavorare in fabbrica era ed è una terribile oppressione, un’esasperazione della sofferenza e dello sfruttamento della vita. Oggi, questo si è dilatato ed è uscito dalla fabbrica e si è generalizzato nella società tutta. Il blocco sociale che ha dominato l’Italia e i paesi occidentali finora si è rotto per scelta unilaterale dell’iperborghesia. Il capitalismo nella stagione neoliberista e la sovranità imperiale nella sua accezione più compiuta, cioè gli Usa come Stato del capitale, hanno bisogno di controllare la nostra intera esistenza a tutto campo anche con riferimento ai desideri e ai modi di vita e questo si sviluppa attraverso determinazioni gerarchizzanti sempre più forti. Pertanto, le guerre umanitarie sono sempre più insistenti e pesanti e non sono altro che modalità di intervento politico.
C’è una diretta correlazione tra la sottomissione dei lavoratori all’interno dei singoli paesi occidentali, tra le politiche di ristrutturazione interna e l’imposizione e la transizione nei paesi del terzo mondo da regimi “totalitari” a regimi così detti “democratici”.
Paradossalmente, ma purtroppo è così, lo scontro è solo nell’ambito del capitale. Si tratta di sapere chi sarà alla guida dell’Impero, se saranno gli americani in quanto nazione o l’aristocrazia sovranazionale. Pertanto, viviamo all’interno di un interregno capitalistico nel quale si svolge una guerra per comprendere chi dovrà governare, quali sono le trasformazioni delle filiere del comando e di ridefinizione delle classi sociali.
Dobbiamo nuovamente dire e riconoscere che cosa sia il potere e che cosa sia lo sfruttamento e su questo versante, possiamo capire chi è il nostro nemico e chi il nostro compagno.
Dobbiamo leggere che cosa sono divenuti i concetti di guerra e pace, di Stato-Nazione, di cittadinanza e diritti, di privato e di pubblico, ed ancora Nazioni Unite e diritto internazionale. E intorno alla consapevolezza di questi nodi, da come prendiamo posizione all’interno del passaggio storico nel quale viviamo, noi siamo in grado di scegliere amici e compagni/e di lotta, noi per i quali la libertà politica, l’amore per l’uguaglianza sociale, la resistenza contro il potere e il rifiuto della povertà camminano insieme.
La guerra che oggi ci è imposta investe la vita di tutti/e e di questo dobbiamo prendere coscienza, passaggio ineludibile per sperare di trasformarla in un movimento di lotta per la liberazione. Non c’è alternativa a questo obiettivo, non è possibile pensare la rivoluzione senza tutti i soggetti che possono contribuire alla sua realizzazione. Dobbiamo rimuovere con forza quella che è una delle caratteristiche del neoliberismo, cioè il concetto che povertà, gerarchia sociale, colonialismo siano una sorta di darwinismo economico-politico che, in definitiva, non è altro che un ritorno all’ottocento. Tanto più in una stagione in cui la guerra è divenuta la base stessa della politica, guerra interna ed esterna.
Da qui la necessità di riprendere le fila dell’analisi di classe a partire dai temi della teoria, della linea, del programma. In definitiva del progetto della rivoluzione.
Non c’è separazione tra economia, mercato mondiale, temi internazionali e rapporti interni agli Stati nazione e, quindi, con le stesse regole dei rapporti sociali di cittadinanza e, in definitiva, di classe.
Nell’impero e intendiamo quello a guida statunitense, aree di mercato organizzate sono auspicabili, ma gerarchizzate dentro e sotto lo sviluppo del comando imperiale. E questo vale anche per l’Europa che è la più importante fra le varie potenze continentali.
Siamo di fronte a una storia di amore e odio fra gli Stati Uniti e l’Europa e quando diciamo Europa è chiaro che l’Inghilterra non ne fa parte. In questa situazione l’iperborghesia europea si scontra con lo Stato del capitale dentro un equilibrio instabile. Questo è il senso della lettura diversa delle sanzioni alla Russia e degli attacchi all’economia tedesca, ammantati da nobili motivazioni.
Da un lato lo Stato del capitale presenta una proposta imperiale unilaterale nel suo progetto di dominio del mondo, dall’altro le iperborghesie europee multinazionali tentano di costruire una relativa indipendenza. Quindi l’Europa si trova oggettivamente collocata su di un terreno che non sempre coincide con gli interessi imperiali statunitensi. E’ su un terreno così pregnante che si può leggere l’attacco americano ai tentativi di quegli Stati europei che tentano di tutelare gli interessi delle loro iperborghesie. L’indipendenza europea all’imperialismo americano non è possibile a livello militare, ma cerca di realizzarsi nel differenziarsi rispetto alle scelte settoriali, ma anche questo è reso difficile dalla minaccia non solo militare, ma anche dalle ritorsioni economiche mascherate da provvedimenti a tutela dell’ambiente, dello sport, del diritto internazionale.
Ad oggi, lo scontro è impari perché la struttura imperiale statunitense non è semplicemente uno spazio geografico, ma costituisce un’unità di potere che si irradia in tutte le sfere e in tutti i paesi e pertanto non è soltanto un ritorno all’ottocento, ma è anche un nuovo feudalesimo fondato sull’azione unilaterale americana che auspica ed è organizzata per ridurre gli stati nazionali a feudi da dare in gestione alle aristocrazie multinazionali locali il cui compito principale è configurare la legittimità imperiale. In pratica gli Stati Uniti accettano le aristocrazie nazionali, le iperborghesie locali, ma nell’ambito di una organizzazione piramidale.
Il primo passo è la rimozione del personale politico locale-nazionale e la sua sostituzione con funzionari politici che accettano in toto il neoliberismo nell’accezione e versione statunitense.
Questi, a loro volta, a cascata, rimuoveranno dai vertici delle grandi aziende statali e parastatali il personale tecnico dirigenziale già selezionato con i criteri che facevano riferimento al vecchio e sconfitto blocco sociale, con funzionari che tradurranno nel loro ambito le direttive governative che, a loro volta, naturalizzano gli interessi statunitensi nei rispettivi paesi. Non sono immuni da questo tornado le grandi aziende private e le organizzazioni internazionali di qualunque tipo, comprese quelle sportive. Nei loro confronti si sparerà con inchieste, denunce, multe, che ne piegheranno ogni velleità autonoma, rimuovendole o consegnandole a personale dirigente ossequioso e servile agli interessi della “casa madre”, cioè degli Stati Uniti. E’ con questa lente che dobbiamo leggere tanti avvenimenti perché il filo nero che li collega è molto più facile da rilevare di quanto tanti/e non propriamente in buona fede non facciano.
Essere attenti/e alla lettura non è soltanto un momento teorico-intellettuale, ma è un’esigenza di sopravvivenza per il mondo tutto visto che gli Usa, che spingono per un dominio unilaterale del mondo, sono guidati dalle multinazionali anglo-americane e queste ultime non hanno nessun tipo di remora, davanti a niente.