Lettera aperta al Movimento dall’Assemblea antisessista di Torino
dalla mailing list femminista Sommosse
Nel corso dell’anno come assemblea antisessista ci siamo trovate/i a ragionare sul tema della violenza di genere nelle sue più svariate forme, a partire da episodi concreti che accadono con frequenza quotidiana nei diversi contesti in cui viviamo: famiglia, lavoro, scuola, le relazioni sessuali e/o affettive, i luoghi pubblici in generale. La discriminazione delle donne e la conseguente scia di violenza che ne deriva attraversa la società senza distinzioni di provenienza, estrazione sociale o appartenenza politica. Il fatto che la violenza di genere si manifesti anche in contesti politici militanti è la dimostrazione che nessuna realtà è esente da questo tipo di problematiche. Tutte e tutti siamo fortemente contaminate/i dalle dinamiche sociali e culturali in merito alla violenza contro le donne. E purtroppo nei posti occupati come nel movimento, spesso si riproducono gli stessi atteggiamenti sessisti e machisti del resto della società.
Da qui siamo partite/i per ragionare sullo stupro di gruppo di Parma, sulla violenza sessuale all’ExMoi di Torino e al Presidio no Borders di Ventimiglia.
Tre storie, diverse tra loro, che ci interrogano sui meccanismi di giudizio, colpevolizzazione e rimozione nella gestione e comunicazione dei fatti.
“NON ERA UNA DI NOI!”
Identificare la donna che ha subito la violenza, come soggetto estraneo al gruppo politico in cui la violenza è accaduta, come a dire che se fosse stata realmente ” una di noi” questo non sarebbe successo. Colpevolizzare la donna nella ricerca di “sue” responsabilità che possano “giustificare” e/o sminuire la violenza subita.
Era ubriaca? Era sotto l’effetto di qualche sostanza ? Era in condizioni di fragilità psichica o fisica? Era sola? Ha avuto atteggiamenti ambigui che in qualche modo possono aver provocato la violenza?
E se anche la risposta a queste domande fosse affermativa, non sono certo delle aggravanti per chi la violenza l’ha subita, ma per chi l’ha compiuta poiché si è approfittato di uno stato di abbassamento delle difese della donna.
LA NEGAZIONE E LA RIMOZIONE
Il fatto che uno stupro (tanto quanto una violenza, una molestia o un atteggiamento sessista) possa accadere all’interno dei contesti politici in cui lottiamo, è una realtà che viene spesso negata, anche perchè ci pone di fronte a serie contraddizioni. Questa indesiderata e possibile realtà, inoltre, mette in discussione le relazioni amicali e politiche che abbiamo, magari da anni, e sappiamo che è molto doloroso e difficile, per tutte/i. Pur di non riconoscere quanto successo, in alcuni comunicati scritti in merito ai fatti accaduti, si invita addirittura ad attendere il giudizio della magistratura per poter accertare “la verità”.
La stessa magistratura costantemente vilipesa e derisa!
LA RICERCA DELLA “VERITA'”
Si parte quasi sempre dall’ipotesi che quanto raccontato dalla donna non sia vero ed abbia bisogno di essere dimostrato con prove concrete, come se l’imputata fosse lei. Si dà più peso e legittimità ai pettegolezzi e alle testimonianze di persone più o meno coinvolte che alla parola della donna che ha subito la violenza.
Frequentemente non si è nemmeno in grado di ascoltare e accogliere la testimonianza della donna rispettandone il vissuto, senza vivisezionarlo con mille domande. E perchè le domande non vengono invece rivolte a chi la violenza l’ha agita?
Accade anche che si consigli alla donna di sporgere denuncia formale indipendentemente dalla sua volontà, come se questo atto di per sé avvalorasse la veridicità di quanto subito.
STRUMENTALIZZAZIONE
Una volta che l’episodio di violenza è di dominio pubblico e non si può più tacere, i mass media non si lasciano sfuggire l’occasione per strumentalizzarlo e gettare fango in modo generalizzato su centri sociali, occupazioni , collettivi politici, migranti, rifugiati, rom, etc…Questo non dovrebbe però distogliere l’attenzione dal problema della violenza per occuparsi invece solo della propria immagine.
Spesso si richiede l’intervento di gruppi femministi o di reti di donne per affrontare a posteriori la gestione degli avvenimenti. Ciò significa delegare ad altrE riflessioni e pratiche che dovrebbero essere invece collettive e condivise. La priorità è ancora una volta la pulizia della propria immagine e “l’autoconservazione”, piuttosto che la critica (de)costruttiva di dinamiche ben presenti all’interno del nostro movimento.
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La riflessione che stiamo portando avanti su questi temi non vuol essere una critica sterile e distruttiva al movimento, ma mira ad aprire una discussione collettiva su sessismo e violenza maschile contro le donne, per costruire pratiche quotidiane consolidate e per non affannarsi ad intervenire sull’emergenza, sempre in modo confuso ed ottuso.
Il confronto sulla violenza di genere e sulle relazioni che costruiamo nei nostri spazi è, a nostro giudizio, prioritario per un movimento che dice di lottare per una società differente, anticapitalista e rivoluzionaria.
Se non partiamo da noi stesse/i e dalle contraddizioni che ci pervadono, come possiamo pensare di trasformare ciò che ci circonda e di sovvertire l’ordine imposto da questo sistema?
Non assumersi tutte/i questa responsabilità significa essere complici e agire in prima persona sessismo e violenza
Pensiamo l’antisessismo come una pratica militante al pari dell’antifascismo o dell’antirazzismo. Essere compagne e compagni significa prima di tutto essere antisessisti
Tollerare o non riconoscere atteggiamenti sessisti significa concimare con tanta merda il terreno su cui la violenza può nascere e proliferare.
Elaboriamo strategie di prevenzione e gestione rispetto alle violenze e alle discriminazioni che si verificano nei nostri ambiti, apriamo discussioni collettive e rriconosciamo legittimità a questi temi.
Mettiamoci in gioco, confrontiamoci, creiamo cultura e reti di solidarietà per sostenere le donne che fanno emergere le storie di violenze vissute, condividiamo pensieri, pratiche e strumenti.
Assemblea Antisessista di Torino