La#carnerossa siamo noi.
di Maria Silvia Marini
“I dolori, le incazzature;
le snervanti attese, interminabili, a spezzare giornate di corse inutili;
la frustrazione di vivere l’ossimoro di una precarietà diventata più stabile della stabilità;
la malinconia di rapporti un tanto al minuto, evanescenti come l’utilità di quello che facciamo;
la fragilità di certi amori a cui è rimasto solo il nome, tutti con la data di scadenza sulla confezione;
la fatica nei gesti, diventati schiamazzi, esistenze che si sbracciano di fronte a platee sorde e cieche;
l’affanno di raggiungere orizzonti senza sapere perchè, tutti fittizi e inventati, ma mai da noi;
questa genuflessione collettiva e patetica sull’altare di aspettative costruite a tavolino vendute quasi sempre a mezzo slogan;
l’incapacità di accettare che il dolore fa parte della vita, così come la gioia che dura un momento, così come la morte;
l’analfabetismo di ritorno nei sentimenti;
la medicalizzazione oscena di ogni atto umano, sia esso etico, sessuale, o alimentare;
l’ansia di dover controllare e definire tutto, di esteriorizzare e rendere intelligibile perfino il silenzio;
la follia di questo nostro progresso cieco, forte con le sciocchezze e molledi fronte alle domande che si ostinano ad accompagnarci, come un fastidioso, ostinato rumore di fondo;
l’inferno della convivenza forzata in un mondo che non capiamo più, che non sappiamo sentire più;
l’incapacità di scegliere i nostri compagni di viaggio, perché ci hanno insegnato che scegliere in fondo non serve, che possiamo avere tutto, rinnovare sempre tutto, riarredare l’esistenza come fosse un salotto radical chic, come se ci riguardasse la stessa eternità di una poltrona;
il ritrovarsi alla fine ineluttabilmente stanchi e soli, in mezzo a una folla di formiche ugualmente stanche e sole, invisibili a loro, invisibili a noi; accontentarsi, giunta la resa, di ciò che passa il convento, perché non sapevamo cosa volere, perché alla fine le cose hanno scelto noi;
il soffocamento a cui ci condanna una rete di doveri e condizionamenti di cui ci sfuggono le ragioni, persino il loro primo perché;
la sconfitta quotidiana di fronte alla forza delle cose, il prenderne atto a cadenza regolare e martellante;
questa vita in apnea, col naso e le orecchie tappati, per non sentire l’aria puzzolente di veleni, di rumori, di scemenze e cattiverie.
Di quanto sia cancerogeno e terribilmente triste tutto questo, l’OMS, una prova scientifica, non ce la darà mai.”