“Coordinate di fondo.”
Qualche sera fa una ragazzina di 16 anni qui a Roma è stata stuprata da un militare che, spacciandosi per poliziotto e con la scusa di un controllo di documenti l’ha portata in un luogo isolato e l’ha violentata.
Sentiamo la necessità di riprendere le fila di tanti ragionamenti sulla violenza sulle donne che sono stati fatti in questi anni perché abbiamo la sensazione che le coordinate di fondo si siano sfilacciate.
Il maschile e il femminile sono costruzioni sociali funzionali ai modelli economici in cui sono inserite. Il capitalismo ha usato la struttura patriarcale secondo le sue esigenze specializzando estremamente i ruoli perché ha la pretesa di ottenere il massimo sfruttamento dell’individuo messo al lavoro, che sia lavoro di cura e riproduttivo, che sia lavoro produttivo di plusvalore. Tanto è vero che il femminismo da molto tempo dice che nel capitalismo mai come in passato il femminile è stato così femminile e il maschile così maschile.
E’ chiaro che, nel tempo, il capitale ha rimodulato i modelli del maschile e del femminile con spostamenti, accomodamenti, trasformazioni, dovuti alle esigenze del suo impianto economico ed anche come risposta alle lotte di genere e di classe che si sono succedute. Per cui molte donne sono state messe al lavoro produttivo e molte donne sono state cooptate nell’ingranaggio di potere in cambio della loro promozione sociale individuale. Ora la fase neoliberista prevede due percorsi, quello delle donne che sono disposte a perpetuare il dominio mettendosi al servizio del potere e quello delle donne che non servono e che vengono ricacciate pesantemente nel loro ruolo.
Ma questo non riguarda solo le donne, il neoliberismo è un’ideologia che ripropone pesantemente i ruoli nella società: gerarchia, autorità, meritocrazia…..ognuno/a dovrebbe essere contento/a della propria collocazione di classe perché “naturale”.
Questa premessa è importante perché la violenza sulle donne è il risultato della metabolizzazione nel sociale del modello economico-politico e, in questo momento particolare, patriarcale e neoliberista.
Il modello maschile è incentrato sul ruolo guida, all’interno della famiglia e del sociale, e sul possesso, affettivo, materiale, ideologico…..e non deve essere necessariamente una posizione esplicita (la famiglia è cambiata molto e le donne apparentemente hanno un peso che prima non avevano) basta che questo ruolo gli venga riconosciuto in qualche modo e il possesso e il dominio presuppongono gerarchia e riconoscimento dell’autorità per cui se qualcosa non viene “liberamente elargito” si prende, con le buone o con le cattive, perché ne va dell’orgoglio sociale maschile. Mentre per le donne il rifiuto è una delusione, per gli uomini il rifiuto è un’onta.
Ora, è statisticamente documentato che il pericolo maggiore di violenza per le donne viene dagli uomini che sono loro vicini a qualche titolo perché sono questi uomini che vedono venire meno o vogliono esplicitare il possesso affettivo…fisico….o il carisma…o la sicurezza dell’immagine sociale…. e che, quindi, esprimono con la violenza fino al femminicidio la pretesa del loro ruolo.
Quando è un immigrato a esercitare violenza contro una donna, parte la retorica securitaria della caccia al migrante e viene presa la palla al balzo per sfornare leggi forcaiole e di controllo sociale, militarizzazione dei territori e via dicendo..
Ma non è la condizione personale che produce violenza contro le donne bensì il possesso e il dominio che accompagnano la costruzione del ruolo maschile e quindi può essere qualsiasi maschio ad agire queste categorie di dominio…..marito o amante, figlio o fratello, padre o prete, vicino di casa o maestro, migrante o deputato, compagno di scuola o intellettuale…..civile, militare o poliziotto….
Ma quando la violenza su una donna viene esercitata da un uomo in divisa, assume connotati ancora più gravi.
La divisa porta con sé un’ esaltazione del ruolo maschile. Chi la indossa ha fatto una scelta, è uno che crede nell’autorità e nella gerarchia, nell’uso della forza come regolatrice dei rapporti sociali, nel riconoscimento che deve avere come portatore di ordine e di disciplina, nella necessità di assoggettamento delle soggettività ribelli, è uno che viene abituato a prendersi quello che vuole e che il ruolo sociale gli deve, il tutto aggravato dalla situazione di soggezione in cui si trova chi entra in contatto con lui. E questo vale per tutte le varie divise che si muovono in questa società, anzi è proprio nella società neoliberista che il confine tra forze di polizia e forze armate diventa sempre più labile. All’esercito vengono affidati compiti di controllo sociale, le famose “strade sicure”, e la militarizzazione di interi territori nazionali, la Val di Susa e L’Aquila sono solo gli esempi più macroscopici. Impossibile non ricordare lo stupro avvenuto fuori da una discoteca di Pizzoli, proprio vicino a L’Aquila, da parte di un militare addetto alla “sicurezza” del territorio o quello nella caserma del Quadraro a Roma fatto da tre carabinieri e un vigile urbano. Addirittura la “virilizzazione” valeva anche per i militari di leva, quando la leva c’era ancora: quelli che accettavano autoritarismo e gerarchia, vale a dire i valori di quell’ambiente, erano spesso autori di atti e fatti di sopraffazione e di violenza, il così detto “nonnismo”. E’ proprio contro questo e questi che nacquero i Proletari in Divisa, i PID di Lotta Continua.
Ci dobbiamo, però, ricordare sempre che stiamo parlando di questa società, in cui viviamo e che subiamo, della sua impostazione, dei suoi ruoli e degli scopi che il modello patriarcale e capitalista si prefigge ma non intendiamo assolutamente assimilare chi si arma e combatte per la libertà, siano uomini o donne, per l’ autodeterminazione, contro il sopruso e l’ingiustizia, alle divise che circolano in questo contesto sociale. La guerra di Spagna è stata un bell’esempio di lotta in cui le Mujeres Libres sono state trainanti e decisive nello scompaginamento dei ruoli patriarcali.
Molto spesso ci viene detto che i poliziotti, i militari e via dicendo sono gente di estrazione sociale povera e figli di povera gente che finiscono a fare quel mestiere per necessità. Ma questo non li assolve affatto, anzi li condanna doppiamente perché hanno consapevolmente tradito la propria classe di appartenenza e nemmeno li assolve la necessità perché la maggior parte di quelli che sono nelle loro condizioni fanno scelte diverse e antitetiche.
E ci fa venire la pelle d’oca pensare che tutte queste divise sono state allevate da una donna che ha trasmesso loro dei valori contro la classe di appartenenza e contro se stessa. A conferma di quanto siano introiettati i valori patriarcali dalle donne che si fanno catena di trasmissione della loro stessa oppressione. E’ per questo che è imprescindibile la visione di genere anche nei contesti antagonisti e rivoluzionari.
Combattere la violenza contro di noi significa combattere anche il modello socio-economico che la alimenta, combattere i ruoli, la gerarchia, la meritocrazia, l’autoritarismo, lo sfruttamento…portare avanti una lotta di genere e di classe….in una parola uscire da questa società.
le coordinamente