Carcere femminile de L’Aquila “Le Costarelle”

E’ impossibile tacere su quello che succede al Carcere femminile  de L’Aquila. Si chiama “Le Costarelle” e vi sono rinchiuse nove donne in un regime d’isolamento talmente duro da ricordare Guantanamo o Alcatraz, ci dicono quei pochi e quelle poche che hanno scritto su questo e che tentano di portare alla luce quello che vi accade, ma che a noi fa venire in mente il carcere tedesco di Stammheimer dove la “civile socialdemocrazia” ha “chiuso i conti” con le prigioniere e i prigionieri della RAF.

Riportiamo da Ristretti Orizzonti:

“Ora d’aria in compagnia di una sola detenuta, in una vasca di cemento da tre metri per tre. Massimo due libri e due quaderni: ma tutti tacciono.

Sanno in pochi a quale tipo di asprezze va incontro un detenuto che è sottoposto al 41 bis, regime di carcere duro. E sono ancora meno quelli che conoscono la realtà della sezione femminile del carcere delle Costarelle, L’Aquila, dove le nove recluse vivono in un regime di carcere duro più duro degli altri. Le donne che lo abitano sono seppellite vive da anni. Recluse in un sepolcro entro il quale scalciano. Oltre il quale nessuno può sentirne lo strazio. Vivono in isolamento totale. Non riescono a far sentire la loro voce.

A far sapere all’esterno quale sia la quotidiana umiliazione della loro dignità, in spregio delle stesse norme che regolano il 41 bis. “Un carcere femminile peggiore di Guantánamo e di Alcatraz”, lo definisce l’esponente politico del centrosinistra aquilano, Giulio Petrilli. Un autentico bunker, dove è in vigore l’isolamento totale.

Qui alle Costarelle, dove la sezione femminile speciale fu inaugurata nell’autunno del 2005 da Nadia Lioce, Laura Proietti e Diana Blefari, brigatiste coinvolte nei delitti Biagi e D’Antona, le detenute sono trattate peggio dei boss mafiosi. Le loro celle si trovano alla fine di un lungo tunnel sotterraneo. Sono grandi due metri per due. Si affacciano sul nulla. E ancora peggio di così va per l’ora d’aria. Alla maggior parte dei boss mafiosi è consentito socializzare, scambiare due chiacchiere nell’in gruppi di sei persone.

E in luoghi dove un po’ d’aria, magari la si respira davvero. Non si parla certo dei giardini di Boboli. Ma di spazi che a volte arrivano alle dimensioni di un campo di calcetto. Non alle Costarelle, dove l’ora d’aria la si trascorre in una vasca di cemento grande tre metri per tre. In pratica è un po’ come restare in cella. E del sole neanche l’ombra. Sarà per lo meno l’occasione per scambiare due chiacchiere, si potrebbe immaginare.

Niente affatto. Alle donne delle Costarelle, Lioce compresa, è imposto di poter socializzare al massimo con una sola compagna. Se le due non si piacciono? Pazienza. E se una si ammala? L’ora d’aria te la fai da sola, come una pazza. E accaduto così poco tempo fa proprio alla Lioce. La compagna d’aria si ammalò per un bel po’ di tempo. E così la brigatista che sconta la sua pena all’ergastolo, dovette subire un’inutile e dannosa pena accessoria: la condanna al silenzio totale.

Si sostiene che la socializzazione, in regime di 41 bis, viene limitata per ragioni di sicurezza. Per impedire che mafiosi si parlino e possano scambiarsi informazioni. Con le dovute cautele, però chi è al 41 bis può trascorrere l’ora d’aria in gruppi di sei o sette persone. Non così alle Costarelle, dove tra l’altro, delle nove donne prigioniere, Lioce è l’unica ergastolana condannata per fatti terroristici. Di che cosa dovrebbe parlare con le altre detenute condannate per fatti di associazione mafiosa? E in secondo ordine, perché le donne di questo carcere possono trascorrere l’ora d’aria in coppia, e non in gruppo? Abolita la socialità, il desiderio di dire “come va”, di restare umani nonostante tutto, si potrebbe credere che una detenuta delle Costarelle potrebbe vocarsi per lo meno ai piaceri dello studio e della lettura. Ma anche in questo caso, vince l’accanimento. Un accanimento che va oltre il 41 bis.

Le sgradite ospiti del carcere aquiliano possono avere massimo due libri al mese, e due soli quaderni sui quali scrivere o prendere appunti. Diplomarsi, laurearsi, dedicarsi a uno studio? Pazza idea. I libri sono sottoposti a censura. Alle detenute è vietato scambiarsi libri. E possono averne soltanto se hanno denari da spendere. Un po’ complicato farne a sufficienza, vivendo seppellite vive. Anche ai familiari e ai parenti, è vietato inviarne in regalo. E comunque deve trattarsi di libri nuovi. Vecchie edizioni di libri, che qualcuno si trova in casa, non possono essere consegnati. Immaginate che spasso, per chi magari vuole studiare e ha bisogno di approfondire su testi polverosi di cui non ci sono nuove edizioni. In pratica la norma, per chi sostiene esami universitari. A vivere in condizioni di questo genere, è facile ammalarsi.

E fino a poco tempo fa, in questi casi, la beffa. Le detenute potevano essere visitate, anche per problemi intimi, solo in presenza di una guardia. Quanta intimità. Ma vivere in queste condizioni, significa anche andare via di testa. È già successo. È accaduto a Diana Blefari, prigioniera alle Costarelle. “Era caduta in uno stato di profonda prostrazione e inerzia psicologica. Se ne stava rannicchiata tutto il giorno nel letto, con la coperta fino agli occhi e senza nessun cenno di interesse per il mondo”, racconta Elettra Deiana.

Piegata dal carcere duro, Blefari si suicidò il 31 ottobre del 2009.(…) ”

Questo è quello che abbiamo scritto il primo novembre 2009 quando Diana Blefari si è suicidata

 

“La compagna Diana Blefari è stata uccisa dallo Stato. Dobbiamo piangere
ancora una volta.
La sua colpa è di essersi schierata dalla parte degli oppressi e questo per
lo Stato è un crimine.
Ma per noi che siamo con chi lavora e con chi il lavoro lo ha perso ,con le
donne ricacciate nei ruoli e nella precarietà ,con i ragazzi delle periferie
che muoiono per una scritta sui muri, con quelli che vengono uccisi per un pò di erba, con le donne e gli uomini che subiscono violenza nei CIE, con i
migranti affogati, con chi rovista nelle immondizie e con chi è multato perchè chiede l’elemosina, con chi è senza casa, con chi la occupa, con gli ultras e con chi vuole riprendersi la notte, gli spazi, la vita e la dignità, per noi, tutte e tutti quelli che lottano contro questo mondo ingiusto sono nostre
compagne e compagni.
Non c’è libertà per le donne se non c’è libertà per tutti.
Renderemo giustizia a Diana e a tutte le compagne e i compagni in carcere e
uccisi costruendo un’altra società.”

PERCHE’ NESSUN* DICA NON SAPEVO, NON CREDEVO, NON PENSAVO.

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