“Una casa per pensare, una casa per lottare”
Da diverso tempo ormai sono state messe in atto operazioni di repressione e controllo contro tutte quelle e tutti quelli che si adoperano e si attivano contro gli sfratti abitativi.
L’ultima operazione di polizia in questo senso è avvenuta qui a Roma ieri mattina con le accuse di resistenza aggravata e lesioni contro chi nella giornata del 18 settembre 2014 si era attivato/a per impedire lo sfratto a Centocelle di Farook e della sua famiglia, sfratto eseguito con grande dispiegamento di forze di polizia , con il lancio di lacrimogeni sparati all’interno della palazzina per disperdere il picchetto.
“Grazie a quella resistenza Farook e la sua famiglia uscirono dalla loro casa sostenuti dalla solidarietà di numerosi amici e compagni e attraversarono il quartiere fino al municipio in corteo, pretendendo una soluzione abitativa. Dopo una prima soluzione in un residence fuori Roma, grazie alla rete di mutuo appoggio decisa a sostenere Farook e la sua famiglia, fu possibile pretendere lo spostamento della famiglia ed impedire così la sua deportazione, lo sradicamento dal proprio tessuto sociale e la distruzione dei legami affettivi che la tengono unita………La resistenza di quella giornata diventa oggi oggetto di intimidazione, e l’operazione messa in atto contro i solidali si configura decisamente come azione preventiva rispetto alle iniziative dei prossimi giorni. Abbiamo già potuto constatare il notevole cambio di passo nella gestione dell’ordine pubblico durante gli accessi dispiegati nei primi giorni di marzo. Chiaramente gli spazi di mediazione sono chiusi, l’amministrazione comunale e le istituzioni non hanno nulla da offrire, e solo la questura di Roma e la magistratura hanno voce in capitolo sugli sfratti e sul governo dei territori. Misure cautelari, denunce, sfratti eseguiti con la forza pubblica, attaccano direttamente un livello di resistenza che si mette in campo da Roma a Palermo, dove oggi è stata eseguita la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di 17 compagni, relativamente alle azioni di lotta portate avanti negli ultimi 5 anni nella città. …..”
così recita il volantino della Rete antisfratto di Roma Est e dei Movimenti per il diritto all’abitare.
Difendere e/o occupare una casa è un atto politico, difendere e/o occupare uno spazio è un atto politico.La creazione e l’agibilità di spazi politici è respiro, è aria per il movimento antagonista e per il movimento femminista.
La loro difesa è un momento importante di consapevolezza e di crescita e spazza via le teorie inconsistenti e false della convivenza civile e della legalità. Due principi che, peraltro, vengono sempre indirizzati alle oppresse/i e alle emarginate/i per far loro accettare condizioni di vita improponibili e ruoli, mentre, chi li propaganda, mercanteggia con le istituzioni promozione sociale personale e del gruppo di appartenenza.
Occupare case, spazi abitativi, sociali è un diritto e chi, a vario titolo, lo nega, indipendentemente dal ruolo che assolve e dai distinguo che fa, accetta e non trova vergognoso che ci siano persone che non hanno un tetto sotto cui vivere o che debbano pagare affitti improponibili o che debbano regalare la loro vita per far fronte ai più elementari bisogni.
Ma non è soltanto questo, la necessità di una casa non è soltanto una questione di vita dignitosa, di diritti imprescindibili di base per un’esistenza che valga le pena di essere vissuta, è anche spazio di autonomia e autodeterminazione, in cui ritirarsi a riflettere e pensare , spazio che permette di organizzarsi la vita anche in funzione della lotta, spazio che libera la mente dall’angoscia di non avere certezze e punti fermi, quella “stanza tutta per sé” di cui parlava Virginia Wolf, quando pensava all’oppressione delle donne che non riuscivano ad avere indipendenza economica e gestione del proprio tempo e del proprio spazio, indispensabili per creare, ma indispensabili anche per pensare e per lottare.
E’ necessario recuperare l’autonomia che è la presa in carico direttamente dei nostri desideri e della possibilità di realizzarli. E’ la riappropriazione di un tempo liberato dal lavoro salariato, dal lavoro di cura, dai ruoli, è coscienza e tessuto di comunicazione e organizzazione sociale, è capacità di esprimere rottura e identità politica, di scardinare il controllo che si manifesta nel dominio culturale e sociale prima ancora che il quello poliziesco e repressivo..
Mentre si infittiscono i queruli richiami alla legalità e alla non violenza, lo Stato supera questi limiti e abbatte le ultime apparenze della sua “democrazia” e intere aree sociali e geografiche si trovano prive di ogni “garanzia”, occupate, rastrellate, perquisite, represse.
E’ necessario porsi fuori e contro la società del capitale, a partire dal rifiuto della sua ideologia al fine di far valere la volontà di riscatto e di liberazione degli oppressi e delle oppresse. Una pratica di riappropriazione e soddisfazione dei propri bisogni, fuori e contro il lavoro salariato, i ruoli, la meritocrazia, le gerarchie…. Sapendo che dovremo fare i conti con il riformismo e la socialdemocrazia che premono per le “riforme”, parola di cui hanno stravolto il significato originale per ridefinire i rapporti lavorativi, lo stato sociale, il sistema giuridico, mentre spetta a noi praticare direttamente i nostri bisogni reali con la consapevolezza della portata liberatoria che questo ha nei confronti dei miti volutamente fallaci e fuorvianti della legalità e della non violenza..