Invariant

di Alessandra Daniele

Ve lo ricordate il capodanno del 2000?
Era così atteso.
È arrivato.
Ed è passato
Da quindici anni.
C’è una una sola delle legittime speranze che avevamo per il 2000 che non sia stata delusa?
Non parlo di macchine volanti e colonie marziane, ma almeno di opportunità di lavoro migliori, diritti civili non condizionati dal Vaticano, un governo che non sia un monocolore democristiano che scardina e svuota la Costituzione nottetempo come un topo d’appartamento, una politica estera che non sembri una versione steampunk del colonialismo giolittiano-fascista, con le sue guerre per la Tripolitania.
Che cazzo di fine ha fatto il futuro?
Mi torna in mente il racconto “You See But You Do Not Observe” (1995) di Robert J. Sawyer, che descrive il nostro mondo come un sub-universo senza vita, un binario morto dimensionale nel quale una riscrittura del passato ha cancellato il futuro.
Niente di quello che sarebbe dovuto succedere è successo, e non solo, sono state deluse anche le aspettative più modeste.
Non credevo che saremmo stati pronti ad accogliere visitatori alieni, ma nemmeno ad annegare migranti umani pur di respingerli.
Non m’aspettavo che dal web sorgesse un’intelligenza artificiale sovrumana, ma nemmeno il twitter di Gasparri.
C’è da chiedersi se questi ultimi trent’anni siano passati davvero.
L’Ucraina dimostra come anche la celebrata fine della Guerra Fredda sia stata solo un’illusione.
Persino Philip K. Dick, col suo pessimismo profetico, se potesse vederci adesso ci direbbe “ancora così state?”
Siamo (apparentemente) da quindici anni nel terzo millennio, e la cosa più moderna che abbiamo era già stata immaginata nel 1943:
«Tirai fuori il mio comunicatore portatile, e glielo porsi. Lo osservò con crescente meraviglia, e fu deliziato quando gli mostrai il proiettore, lo stereo, e i biauricolari incorporati. Non propriamente semplice, comunque esattamente il tipo di evoluzione nel campo dell’elettronica che uno scienziato dell’epoca avrebbe associato al futuro.» Dal racconto breve di John R. Pierce ”Invariant” del 1943.
Lo scienziato in questione non sa d’essere in realtà rinchiuso in un museo, perché ha reso il suo cervello invariabile, cioè indistruttibile, ma anche incapace di registrare nuove memorie.
Incapace di ricordare il futuro.
A noi è andata anche peggio, siamo invariabili senza nemmeno essere indistruttibili. Sepolti vivi in un museo, e tenuti buoni con dei giocattoli mentre ci decomponiamo.
Dovremo incazzarci per questo, non per i lavavetri ai semafori.
Ma forse non siamo più abbastanza vivi per farlo.

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