Le sconfortanti dichiarazioni delle Malmaritate
Qualche settimana fa mi sono trovata a parlare con l’ennesima donna che si è dichiarata “non femminista”, perché lei è “per tutte le persone”.
Sono sicura che a tant@ è capitato di sentirsi dire dalla propria interlocutrice, spesso una laureata, a volte addirittura una persona “di sinistra”, che lei non è femminista perché …il femminismo è un estremismo/è roba vecchia/non odio gli uomini.
Ho cercato di spiegarle che il femminismo è un movimento a favore di quella parte di persone che subisce una discriminazione (violenza fisica, psicologica, economica) in base al genere. Che il femminismo, oggi, è per molte persone transfemminismo intersezionale. Non era convinta. Ho cercato di dire che prima del femminismo noi due non avremmo potuto fare tante delle cose che facciamo e diamo per scontate e, spesso, ci vengono ancora negate. Mi ha detto che il femminismo è una cosa del passato e non ha più senso. Ho pensato ai femminicidi, agli abusi sessuali e psicologici, alla femminilizzazione del lavoro, alla disparità economica, allo slutshaming, alla legge 194 distrutta, al mammismo senza diritti dell’Italia, all’impossibilità di dirsi serenamente felici di non essere madri, alla difficoltà che le donne continuano a incontrare in ambiti “tradizionalmente” occupati dagli uomini – rubati da molti di essi (mi ha anche detto che lei è per la meritocrazia). “Capisco – le ho detto – Forse tu non hai mai subito nessun tipo di violenza, forse non sei mai stata discriminata”. Si è colorata e ha risposto: “Certo che sono stata discriminata!”. E allora?
Soprattutto dopo il bailamme creato da Women against feminism, il tentativo di capire dov’è che si è sbagliato nella trasmissione dell’idea di lotta femminista ha condotto a numerosissime riflessioni sui movimenti femministi. In Italia, c’è chi dice che è colpa del femminismo della differenza, c’è chi dice che è colpa di SNOQ, c’è chi dice che è colpa del patriarcato, c’è chi accusa la mancata trasmissione generazionale o la scarsa attenzione istituzionale, anche l’eccessiva attenzione istituzionale che tutto ingloba o strumentalizza. La scuola, i media soprattutto. C’è stato anche il tentativo di accogliere ed ascoltare alcune delle critiche mosse. Personalmente non so di chi sia la responsabilità ultima, probabilmente è frammentata. Di certo c’è stato un fraintendimento colossale, derivante spesso dall’ignoranza o dall’adesione a una visione del femminismo figlia delle politiche di delegittimazione delle lotte sociali, specialmente quelle delle donne. Per alcun@ si tratta del rifiuto globale, più o meno consapevole, del più originale e fruttuoso schema di interpretazione della realtà storica passata e contemporanea, che ha messo in discussione una cultura basata su più forme di discriminazione ed esclusione. E’ complesso, indubbiamente, ma il femminismo ha il pregio di essere una forma di lotta che può generarsi anche dove una libro di storia del femminismo non è mai stato aperto. Anche in quel caso, però, è un atto politico, di messa in discussione radicale.
Molte di quelle persone che si dichiarano “non femministe”, poi si dichiarano contrarie a ogni forma di discriminazione.
Ma può esistere un femminismo non pensato e vissuto come tale? Può esistere antiviolenza senza biasimare la violenza? Può esistere antirazzismo senza il rifiuto del razzismo? Per alcune persone sembrerebbe di sì. Alcune persone riescono addirittura a dirsi dalla parte delle donne, a parlare di violenza contro le donne, dichiarandosi assolutamente “non femministe”. Onestamente non credo che possa esistere una lotta contro la discriminazione che non tenga conto della storia di quella lotta, dei suoi strumenti concettuali, a meno di non essere ingrat@ e di usare le questioni di genere per farsi pubblicità.
Per alcune persone si tratta di scarsa consapevolezza, la quale cosa atteaversa la nostra società, abita soggetti di varia estrazione sociale e formazione culturale e professionale. Questa scarsa consapevolezza è molto comoda per chi non ha nessuna intenzione di accogliere le richieste dei femminismi, richieste di diritti fondamentali, richieste economiche e di legittima libertà personale. E’ per questo motivo che ogni personaggio pubblico portatrice o portatore di questa scarsa consapevolezza danneggia tutta la società e, nello specifico, le persone che della discriminazione di genere sono vittime.
Per altre persone si tratta, invece, di depoliticizzare le questioni di genere, per non urtare la sensibilità di nessuno e poter vendere al meglio il proprio prodotto, con un colpo al cerchio e uno alla botte. Anche qui, quindi, non dobbiamo confondere le ipocrite con le ignoranti.
Questo sembra essere proprio il caso, decisamente grave, delle dichiarazioni di un gruppo di musiciste che porta avanti un progetto musicale “a favore delle donne vittime di violenza”, dichiarando a destra e manca che non si tratta di femminismo.
Il progetto si chiama “Le Malmaritate” e, nato in seno all’etichetta discografica di Carmen Consoli, ne fanno parte Gabriella Grasso (voce e chitarra), Valentina Ferraiuolo (voce e tamburi), Emilia Belfiore (violino) e Concetta Sapienza (clarinetto). Un progetto che si pone, addirittura, come luogo di ascolto per donne vittime di violenza. Dichiara Valentina Ferraiuolo, indicata come curatrice di progetti sociali:”Non c’è femminismo in questo (…) ma una grande autostima, reale; dei valori che abbiamo il dovere morale di divulgare”.
Vorrei chiedere alla cantante e tamburellista cosa significa “autostima reale”. Esiste un’autostima irreale? come si configurano e differenziano? Vorrei anche sapere quali sono questi valori, dei quali il femminismo (quale femminismo?) non è portatore, ma che lei sente di dover divulgare, in contrasto con esso.
Ancora, in questo articolo, Gabriella Grasso dichiara che il loro è “Un viaggio nell’universo femminile (…) non uno spettacolo femminista”.
Quando la stessa Grasso fa riferimento ai matrimoni di interesse, ha presente che può mettere in discussione il contratto di matrimonio e il modello di famiglia sul quale si fonda, esclusivamente grazie al femminismo?
Rilasciato il 25 Novembre, la giornata mondiale in cui si celebrano i volti tumefatti e le false soluzioni a problemi purtroppo reali, appare come un’azione di marketing in rosa, in linea con le politiche “femminili” (appunto, non femministe, non radicali, non volte alla soluzione dei problemi) degli ultimi anni.
Il colpo di grazia viene dalla copertina. Una donna velata messa dietro un recinto, una di quelle in nome delle quali si imprigiona, tortura e bombarda secondo politiche di sovradeterminazione proprie della destra e sinistra islamofoba e neocolonialista, politiche che mai e poi mai metteranno in discussione la radice della violenza sulle donne, perché è proprio sulla discriminazione che fondano il proprio potere.
Quando vi dichiarate “non femministe”, delegittimando il movimento politico che ha portato in luce la lotta alla violenza contro le donne, rendetevi conto che danneggiate la società intera, prima di tutto le donne alle quali vi rivolgete.