Scuola:cronaca di una morte annunciata.

Scuola: cronaca di una morte annunciata

http://www.carmillaonline.com/2014/08/27/scuola-cronaca-morte-annunciata/

keating3di Silvia Di Fresco

Descrivere quanto accaduto a luglio sembra semplice: il 6 luglio il sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi ha dichiarato in un’intervista a Repubblica che nel giro di una decina di giorni sarebbe stata emanata una legge delega “rivoluzionaria”: i professori, in cambio di un salario più alto avrebbero dovuto lavorare di più sostituendo anche i colleghi in malattia ed evitando, così, la chiamata dei supplenti. A tale dichiarazione sono seguite, rimbalzando sulla stampa, proteste immediate dei docenti e indignazione successiva da parte dei sindacati confederali e non. Cinque giorni dopo, il suddetto Reggi al “Cantiere Scuola” del PD a Terrasini e la ministra Giannini a Radio Vaticana, hanno smentito affermando che i docenti solo volontariamente avrebbero potuto lavorare di più ottenendo così un aumento stipendiale che premiava la buona volontà di chi, a scuola, si dà da fare (perché, ribadiscono, «i gatti mica son tutti grigi!» [sic!]1). Hanno inoltre aggiunto che no, non si tratta di una legge delega, ma di una proposta al vaglio del governo da approvare a settembre e che i privati avranno un ruolo importante nel far ripartire la Scuola Pubblica (perché basta coi soliti pregiudizi ideologici)2. A questo punto tutti i soggetti coinvolti hanno tirato un sospiro di sollievo e sono andati in vacanza.
No.
In realtà ad andare in vacanza sono stati solo coloro che si adeguano con estrema duttilità alle proposte governative e alla trasformazione della società in atto. Tutti gli altri sono invece rimasti con la loro rabbia, la loro preoccupazione, la loro frustrazione a pensare quale ulteriore supplizio li attenda a settembre.
1) Gli insegnanti di ruolo hanno iniziato ad immaginare giornate eterne in cui, oltre allo stress sempre maggiore dovuto a classi pollaio in scuole fatiscenti, saranno moralmente costretti a sostituire per 15 giorni i propri colleghi per non essere additati, ancora una volta, come fannulloni; giornate in cui non avranno più tempo per correggere i compiti e preparare degnamente le loro lezioni perché dovranno espletare altri tipi di sevizi per ottenere uno stipendio più alto di cui necessitano e, qualora la scuola venga valutata negativamente, per seguire corsi di formazione obbligatori3; giornate in cui non si sentiranno più insegnanti ma badanti e, per dirla alla Calvino, macchine per vendere fiato. In più la pensione, anche per i Quota 96, è sempre più lontana.
2) Gli insegnanti precari inseriti nelle Graduatorie ad Esaurimento hanno continuato ad aspettare l’uscita delle suddette (compilate a maggio) per comprendere se, visti i molti trasferimenti, dovessero spostarsi in altra Provincia con le Graduatorie d’Istituto.4 Hanno poi avuto modo di continuare a preoccuparsi per il loro presente (mancata monetizzazione delle ferie, attesa della disoccupazione, necessità primarie da espletare comunque), per il loro futuro prossimo (a settembre lavorerò?), per il loro futuro venturo (lo Stato, dopo anni di sfruttamento, mi assumerà o si libererà, risparmiando, di me?). Ovviamente in parallelo hanno immaginato le stesse cose dei colleghi di ruolo, pensione compresa.
3) Gli insegnanti precari inseriti solo nelle Graduatorie d’Istituto stanno ancora aspettando l’uscita delle stesse (sperando che le scuole le pubblichino sul loro sito5) e si stanno chiedendo se la burocrazia che hanno dovuto espletare sia servita a qualcosa visto che da più parti si grida alla loro abolizione. Hanno inoltre condiviso tutte le preoccupazioni e tutto l’immaginario dei colleghi precedenti.
4) Gli aspiranti insegnanti (molti dei quali presenti nella seconda e nella terza categoria di cui sopra) si chiedono poi se hanno speso bene i loro soldi e il loro tempo partecipando a costosi corsi TFA e PAS6, visto che sì il MIUR ha dichiarato che sarà indetto un concorso nel 2015, ma mica è detto che si vinca visti gli esigui posti a disposizione. Oltre a ciò, considerato che il titolo ottenuto non ha valore concorsuale, considerato che vogliono abolire le Graduatorie d’Istituto, considerato che non possono accedere alle Graduatorie ad Esaurimento, sorge loro il dubbio che le proprie speranze siano servite solo a rimpinguare le casse delle Università e la propaganda governativa sul merito.

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A questo punto, posto che la paura, l’insoddisfazione, il risentimento sono cresciuti esponenzialmente, a settembre tutti i soggetti coinvolti scenderanno in piazza, bloccheranno gli scrutini, forzeranno la legge 146/907 e pretenderanno ciò che spetta loro di diritto. La società civile poi, rendendosi conto dell’importanza capitale della Scuola Pubblica e dell’equazione più diritti/più qualità, si unirà senza indugio – insieme agli studenti – alla protesta; di fronte a tale reazione il governo, obbligato a ricordarsi il significato del lemma democrazia, desideroso di fare la volontà di chi rappresenta e incurante di quanto chiede l’Europa, cede e, dopo aver messo fine al reato del precariato e aver sbloccato le pensioni, finanzia massicciamente la Scuola, abroga la legge che vincola i finanziamenti (statali e privati) al numero di iscritti, abolisce la Riforma Gelmini ed elimina l’Invalsi garantendo così ai futuri cittadini un ambiente educativo sereno, continuità didattica e sviluppo del pensiero critico.
No.
A settembre il governo, in barba alle promesse rivoluzionarie, varerà la sua Riforma in continuità coi progetti di chi l’ha preceduto. Ci sarà un piccolo contentino, d’altronde già prospettato a luglio, sull’aumento delle ore (ad esempio l’aggettivo “volontario”) e saranno poste le basi per la chiamata diretta, oramai sempre più desiderata dalla maggioranza dei precari i quali vedono in essa l’unica e concreta speranza di lavoro. L’opposizione, interna e non, sarà scarsa e solo ad opera di chi possiede ancora un’ideologia. Molte parole, in puro stile nazionale, saranno spese sui social e sulla stampa, saranno arringate le masse mediatiche e, verso la fine di ottobre, calerà il silenzio e prevarrà una triste e tipica rassegnazione.
Facciamo un passo indietro.
Tutto ciò che è stato presentato da Reggi e da Giannini nell’estate, era già stato prospettato dalla ministra sia in alcune interviste, sia nelle linee programmatiche presentate in Parlamento il 27 marzo 2014:

Serve la revisione di un contratto mortificante, non solo perché è pagato poco,
ma anche perché non ha meccanismi premiali, che valorizzino quella larga fascia di docenti che si impegnano e si aggiornano
Giannini, Intervista a Radio 1, 20 marzo 2014

Il terzo principio è quello della VALUTAZIONE, che significa eliminare i colli di
bottiglia, e sostituire i controlli ex ante con la valutazione ex post. Significa
assegnare le risorse sulla base dei meriti e dei demeriti. (p. 4)
Ed ecco che la valutazione – che controlla, misura, certifica questa qualità
– diventa decisiva per fondare la scuola del nuovo secolo (p. 8)
La valutazione è entrata nella cultura e nella prassi della scuola italiana ormai da alcuni anni. Nell’ultimo decennio siamo riusciti ad introdurre – per quanto faticosamente – i test INVALSI e a fare quindi rilevazioni sull’apprendimento, o a garantire la nostra partecipazione alle indagini internazionali (ad es. l’OCSE-PISA). Sono tuttavia legittimamente attesi progressi significativi nei singoli settori: la valutazione delle scuole, dei presidi, dei docenti (p. 8)
Giannini, Linee programmatiche, 27/03/2014

È qui evidente che lo strumento principale individuato dal Governo per attuare l’annunciata rivoluzione della Scuola non è l’aumento orario, bensì la valutazione. Essa consente infatti di fare leva sull’orgoglio ferito dei docenti, di personalizzare il rapporto lavorativo svuotando il Contratto Nazionale, di impedire la solidarietà tra colleghi, di annientare l’opposizione, di immettere la scuola sul mercato. In passato però suddetto sostantivo convinceva poco gli insegnanti, i quali vi leggevano – a ragione – una forma di controllo che andava a ledere la libertà di insegnamento e, gioco forza, di apprendimento. Poi qualcosa è cambiato.
Nella riforma annunciata per settembre in realtà sono molti i punti di contatto con la famigerata e allora tanto contestata Legge Aprea (D.L. 953/2008). Le anticipazioni uscite qualche settimana fa su Orizzonte Scuola parlano chiaro:8

La carriera si articolerà, dunque, in tre gradini:
• docente ordinario, il cui compito sarà quello dell’insegnamento,
• docente esperto, che avrà compiti di carattere organizzativo elencati in precedenza
• docente senior, che potrà occuparsi di compiti connessi alla formazione iniziale, e all’aggiornamento dei docenti della scuola.
Mentre per il docente esperto, i compiti dovranno essere svolti al di fuori dell’orario di lavoro in classe, quindi oltre le canoniche 18 ore lavorative, per il docente senior si potrebbe, invece, profilare anche l’esenzione dall’insegnamento.
Lo scopo di questa stratificazione non è certamente quello di creare gerarchie di subordinazione, ma di creare un riconoscimento giuridico ed economico allo svolgimento di attività diverse dall’insegnamento, che volgarmente possiamo definire “carriera”.

Il Disegno di legge 953 “ex Aprea” non diceva cosa diversa:

una carriera, articolata in tre livelli (docente iniziale, ordinario ed esperto), fondata su modalità e su criteri di valutazione basati sul merito professionale (articolo 17), nonché un’articolazione del ruolo che garantisca alle istituzioni scolastiche e formative autonome professionalità e competenze adeguate, certificate, stabili e valutate (articolo 12); un contratto snello, che intervenga sulle materie che gli sono proprie e quindi sui punti che non incidono sulle competenze professionali e sull’organizzazione della carriera: in particolare, orario, retribuzione, mobilità, nonché riconoscimento dell’autonomia contrattuale di una categoria di professionisti (area autonoma) (articolo 22).

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Se leggiamo, oltre alle linee programmatiche, le interviste rilasciate dallo staff del PD o da Renzi stesso9 le idee chiave della nuova riforma saranno: valutazione, autonomia, concorsi di rete per il reclutamento. Tradotto: personalizzazione del rapporto di lavoro, perdita dei diritti acquisiti, aziendalizzazione. Tutte idee che – grazie alla legge Bassanini sull’autonomia (L. 59/97) – attraversano, dalla Moratti in poi, il Ministero dell’Istruzione. Ad essere cambiate, dunque, non sono le proposte, bensì la loro accettazione da parte del mondo della scuola. Possiamo infatti affermare che – eccettuato il breve afflato contro l’aumento orario a parità salariale proposto da Monti – l’ultima lotta che ha visto coese tutte le varie componenti della Scuola è stata quella contro la Riforma Gelmini, la quale, malgrado tutto, andò (va) avanti e 87000 persone – dopo anni di precariato permanente – rimasero senza lavoro. Lo shock10 è devastante: oltre ad assistere impotenti alla disperazione di colleghi diventati all’improvviso ex-, i docenti si trovano a dover insegnare in un contesto ostile, in cui le risorse sono ridotte all’osso e la qualità del proprio lavoro peggiora a vista d’occhio, proprio come la loro considerazione sociale. Ma ciò che viene introiettato non è solo la perdita della propria funzione pubblica, ad essa si aggiunge l’inutilità della lotta. Da allora e in maniera massiccia la frase più ricorrente in sala insegnanti (e purtroppo non solo) è «tanto non serve a niente.» Da allora e in maniera massiccia la rabbia avrà come destinatario del proprio sfogo i social network, non come mezzo per organizzare proteste capillari e improvvise, bensì – nella maggior parte dei casi – per condividere i propri sentimenti e le proprie riflessioni. «Il perseguimento di un comune interesse è sacrificato alla ricerca di una comune identità».11 Non solo. L’operato legislativo afferente al “reclutamento” dei nuovi docenti – dalla fine degli anni Novanta in poi –ha teso deliberatamente a separarli secondo la logica del divide et impera12: prima agevolando di volta in volta una categoria rispetto a un’altra, poi ammantando ogni decreto, ogni proposta, ogni intervista con la parola merito. Il merito è stato il vestito con cui è stata venduta sia la perdita progressiva di diritti, sia la tanto evocata flessibilità, ineluttabile strumento di una società migliore in cui solo i meritevoli hanno diritto di esistere.
Non a caso Renzi, Giannini e Reggi hanno fatto largo uso sulla stampa di tali termini, aggiungendo ad essi, però, un’altra parola chiave che ha chiosato la baraonda estiva: volontario. Già nel 2001 Moratti, attraverso la legge finanziaria del 28 dicembre 2001 articolo 22 comma 4, dava la possibilità ai docenti di fare, “prioritariamente e con il loro consenso”, fino a 24 ore, ovvero sei in più rispetto a quelle previste dal contratto. I sindacati confederali lo permisero proprio perché – a detta loro – era un atto volontario che avrebbe aiutato i singoli ad avere uno stipendio più alto.13 In realtà, oltre ad aver aiutato molti precari a non lavorare, ha implicitamente dichiarato che le ore previste nel CCNL sono poche, se ne possono fare di più, gli insegnanti sono sfaticati (e privilegiati). Tale norma non verrà più toccata e, una volta passato il tornado Gelmini, sarà compito di Monti e dei suoi tecnici riprendere il tema, forte di tutti quei docenti – precari e non – che negli anni avevano svolto le ore aggiuntive. Quello che allora lasciò basiti fu aver proposto un aumento di orario lavorativo – 24 ore obbligatorie – senza alcun aumento stipendiale. In tempi di crisi economica, personale e politica questo era ciò che sconvolgeva, non l’ulteriore taglio sotteso, non l’incremento della valutazione annunciato, non l’impoverimento della scuola bene comune. Gli scudi che si levarono nel 2012, nonostante le belle parole spese, si abbassarono subito dopo che l’incremento orario era stato scongiurato. Sebbene apparisse quella una lotta vinta, in realtà non lo fu: i politici capirono quale fosse il tema su cui giocare, il resto – valutazione, merito, maggior autonomia – erano terreni invece già pronti. Per aiutare ad arrivare all’obiettivo della chiamata diretta – ultima tranche dell’aziendalizzazione della Scuola Pubblica – Profumo indisse un concorso che sembrò ai più insensato, a maggior ragione avendo dichiarato a voce alta di voler “conseguire la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie” attraverso la costituzione di reti di scuole mediante un organico dell’autonomia della durata di almeno tre anni (D.L. 5/ 2012, art 50) Incoerenza? Idee confuse? L’opposto. La funzione di quel bando, infatti, aveva due obiettivi. Il primo quello di svalutare le Gae e i suoi iscritti mediante il filtro del merito («Non viene bandito un concorso dal 1999, stanno lì senza aver alcuna professionalità, è colpa loro lo scatafascio della scuola pubblica», echeggiava la stampa); il secondo di riportare in auge un metodo abbandonato da più di un decennio dimostrandone la fallibilità per ricorrere, in seconda battuta, ai concorsi di rete, proposti per la prima volta dalla Commissione d’Amore ai tempi di Berlinguer14 e poi continuamente ripresi fino ad oggi. Ma cosa sono? chiederete voi. Funziona così: scuola A, scuola B, scuola C, tutti Istituti Superiori, formiamo una rete e bandiamo un concorso per 4 posti sulla A05015. Ad esso potranno partecipare tutti coloro in possesso di un’abilitazione. La commissione sarà formata – probabilmente – da un Comitato di valutazione composto a maggioranza da docenti interni. La vittoria consisterà non in una cattedra, bensì in un contratto orario diviso a seconda dei bisogni delle scuole della rete. Non si parlerà più di tempo indeterminato, ma di un contratto pluriennale sottoposto alla valutazione degli esperti capeggiati dal dirigente di cui si diceva in precedenza. Tra l’altro, visto l’ampio proliferare delle reggenze, la rete in questione potrebbe avere un solo dirigente. D’altronde solo così i docenti migliori, i quali si distinguono per la flessibilità oraria e per il contributo spesso volontario che apportano alla scuola, potranno essere valutati e vedere riconosciuti – anche a livello stipendiale – i propri meriti. E difatti la proposta estiva di Reggi lì è andata a parare: ha di nuovo sottointeso che a scuola non si fa nulla, poi ha ritrattato, poi ha detto che ci sono i buoni e i cattivi, poi ha detto che bisogna valutare e ancora che ad assumere i meritevoli ci penseranno loro. L’orario? Chi vuole – solo i bravi vogliono, è chiaro – può lavorare di più ed essere pagato. Non solo. Renzi potrebbe addirittura rilanciare in modo diretto la chiamata del dirigente, così da far levare gli scudi e far credere, in seconda battuta, di aver fatto un passo indietro cedendo alla pressione dei sindacati. Le reti (cioè la chiamata diretta a costo ridotto) a quel punto diventeranno anche il simbolo della democraticità del premier. Il cerchio si chiude. Il circo invece rimane aperto, ope legis.

 

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