Per “fare la festa al lavoro” abbiamo pensato di rendere fruibili i materiali che lo scorso anno abbiamo usato per la preparazione di due trasmissioni de “I nomi delle cose” , una su “Il rifiuto del lavoro” del 15/05/2013 e l’altra su “Il rifiuto del non-lavoro, lavoro di cura e lavoro riproduttivo” del 22/05/2013, riportando anche i links delle trasmissioni e i riferimenti degli articoli che legano l’attualità alla storia e alla teoria.
Mai come in questo momento in cui il neoliberismo ha la pretesa di assumere in toto tutto il tempo della nostra vita, di assimilare il tempo del riposo a quello del lavoro, di eliminare ogni barriera tra questi due momenti ed avanza la pretesa di normare il nostro privato, dai desideri alla sessualità, dagli svaghi alla salute….mai come in questo momento, la teoria del rifiuto del lavoro colloca nella sua giusta dimensione la pretesa del capitale e la nostra ribellione.
Il rifiuto del lavoro
I Nomi Delle Cose – Ventinovesima Puntata 15.05.13
“….Il movimento operaio storico aveva finito per impiantarsi sull’ideologia del lavoro. A questo proposito è interessante l’analisi svolta da Maria Turchetto che definisce così l’ideologia del lavoro.
“Quel modo di pensare, largamente introiettato nella nostra società, che fa dell’attività lavorativa continuativa e retribuita il titolo normale e pressochè esclusivo di partecipazione alla vita associata(…)L’idea che sia illavoro a conferire pieno diritto di cittadinanza è in effetti ampiamente trasversale, interclassista, condivisa da etiche laiche e religiose. E’ più di un’ideologia: è senso comune, rappresenta cioè una norma di comportamento e di giudizio completamente assimilata e che dunque funziona proceduralmente, senza passare attraverso un attento esame critico, come dispositivo disciplinare.”
Successivamente precisa però che la “genesi dell’ideologia del lavoro, che alla modernità certamente appartiene” è riconducibile “ai processi di formazione degli stati nazionali che inaugurano le tecniche del biopotere”
M.Turchetto,”Il lavoro senza fine.Riflessioni su “biopotere ” e ideologia del lavoro tra XVII e XX secolo” in Zapruder N° 3, 2004.
“Nella tradizione del movimento operaio, il miglior lavoratore coincide con il miglior rivoluzionario. Per i sindacati e i partiti di sinistra, il lavoro rende liberi e legittima il potere operaio. Sono i apitalisti, in questa visione, a essere assenteisti, parassiti, sciuponi, sfruttatori, profittatori. chi più lavora più deve governare la società, questo in sintesi l’assunto della tradizione operaia”
S.Bianchi, L.Caminiti, Gli autonomi, le storie, le lote. le teorie vol. I, DeriveApprodi 2007
Già nel 1887 Paul Lafargue aveva pubblicato il “Diritto alla pigrizia”-
P.Lafargue, Il diritto alla pigrizia. Confutazione del diritto al lavoro. Spartaco,S.M.Capua Vetere,2004
Secondo Lafargue i “diritti all’ozio” devono essere considerati più importanti dei “diritti dell’uomo”, escogitati “dagli avvocati metafisici della rivoluzione borghese”. Questi “diritti dell’ozio” impongono l’obbligo di non lavorare per più di tre ore al giorno, unico modo per rendere il lavoro veramente piacevole, cioè farlòo diventare da centro a “completamento” della vita umana. Questo obiettivo è reso possibile grazie alla tecnologia,alle macchine moderne e alla loro “illimitata capacità produttiva”.
“Le pratiche trasformative messe in cantiere dal movimento dell’autonomia operaia si producevano in campi dell’esperienza sociale che il movimento del ’68 non aveva profondamente toccato. Questi campi riguardavano, fra l’altro la natura dell’organizzazione politica, i rapporti di produzione e il rifiuto del lavoro, l’appropriazione di reddito e tempo, la reinvenzione della vita. Tutto ciò senza rinnegare la prima rivoluzione, anzi portando a piena maturazione e generalizzando le pratiche libertarie, antigerarchiche e aniautoritarie del ’68. Una rivoluzione, quindi, che estendeva a tutto campo la rivoluzione del ’68.”
Gli autonomi, le storie, le lotte, le teorie, vol.I
Soprattutto tra il 1974 e il 1975 le pratiche anti-lavoriste e anti-produttiviste, le pratiche di appropriazione e anti-istituzionali, usciranno dalle fabbriche per incontrare nuovi soggetti sociali, come il proletariato giovanile o le donne, che si stavano organizzando anch’essi in maniera autonoma. Con le giornate insurrezionali dell’aprile 1975 l’autonomia e il rifiuto del lavoro rompono qualsiasi argine tra fabbrica e territorio e siespandono velocemente nel sociale
“….la rivoluzione operaia non può significare un nuovo nome perlo sfruttamento del lavoro vivo, può intendersi soltanto come possibilità concreta,materiale, di liberazione del lavoro vivo dall’intero apparato produttivo organizzato dal lavoro morto, come distruzione dei rapporti capitalistici in ogni loro specificazione. Rifiuto del lavoro come punto più alto e generale dello scontro politico con il capitale(…) E il rifiuto del lavoro, del lavoro fatica, del lavoro espropriazione, significa in positivo richiesta perentoria di conquista di tutto il potere, di appropriazione di tutta la ricchezza sociale”
La Classe n° 6 , 14 giugno 1969
“Una volta che si legga la società capitalista non più come il luogo del comando incontrastato dell’interesse di parte del capitale,della gerarchia che si esprime nel rapporto di lavoro salariato, ma come luogo dello scontro tra lavoro e rifiuto del lavoro, una volta che si riconosca che come lotta si organizzano quelle medesime risorse che sono sostanza dello sviluppo del capitale e che i bosogni sociali possiedono un’autonomia dal comando sul lavoro, che alla gerarchia costruita attorno al tempo di lavoro se ne contrappone un’altra costruita attorno al tempo della lotta, al tempo liberato dal lavoro, e che anch’essa detiene conoscenza, è tessuto di comunicazione e organizzazione sociale, è forza produttiva:riconosciuto tutto ciò il problema diventa quello della crescita e dell’arricchimento delle risorse che si presentano come “non capitale”, quello del blocco della sintesi socialedi parte capitalista, della possibilità di una sintesi diversa sul terreno non tanto dell’organizzazione del potere politico quanto su quello della struttura delle forze produttive”
L.Castellano, “Operai contro la metropoli. Autonomia operaia: la storiua, i documenti,da Potere Operaio all’autonomia organizzata“, Savelli, Milano 1980
“….il tempo libero deve cessare di essere tempo subalterno della riproduzione della forza lavoro, per diventare tempo ricco (scambi, relazioni sociali,elaborazione, comunicazione, conoscenza) forza produttiva non uguale al lavoro, ma attivamente abitata dalla lotta contro il lavoro.”
“L’odio nei confronti dei padroni e l’impegno nella lotta non sono il frutto della miseria e della disperazione, ma del desiderio e del godimento.
I libri del rogo–DeriveApprodi 2006
http://nuvola.corriere.it/2013/05/21/quando-il-corpo-del-dipendente-diventa-spot-per-lazienda/
e un’aggiunta recente:
“…Come faceva notare Karl Marx, il capitalismo, cioè il lavoro salariato, è prendere in ostaggio la vita stessa! In un’economia monetaria fondata sulla divisione del lavoro, non c’è altra possibilità di riprodurre la vita se non con il denaro del salario…cioè ubbidendo al datore di lavoro. E, se non ci fosse stata la conquista importante dei sistemi di protezione sociale, non si vede cosa distinguerebbe il lavoro sotto il capitalismo da un puro e semplice “o così o crepa”.
Il capitale non prende in ostaggio solo la vita degli individui, una per una, ma anche ( di fatto, nello stesso modo) la loro vita collettiva, che è l’oggetto della politica. Questa cattura risponde al principio di fondo secondo il quale l’intera riproduzione materiale, individuale e collettiva, è ormai entrata nella logica dell’accumulazione del capitale-la produzione dei beni e servizi che riproducono la vita è ormai realizzata solo da entità economiche dichiaratamente capitaliste e ben decise ad operare unicamente con la logica della mercificazione per profitto.
(…..)E’ vero che, nel quadro del programma delle conversioni simboliche necessarie, occorre abbandonare l’abitudine automatica di considerare di sinistra il Partito Socialista e identificare ( in modo davvero sconsiderato) la sinistra con il Partito Socialista. Quando, invece, il Partito socialista-che del resto ricordiamolo, si sforza abbastanza di smontare questo luogo comune-è la destra, ma una destra complessata.E, a proposito della destra, visto come vanno le cose, presto ci si dovrà chiedere quali complessi le rimangano esattamente….”
” Non passa giorno sernza che il governo francese dichiari fedeltà alle strategie economiche più liberiste: “politica dell’offerta”, tagli alla spesa pubblica, stigmatizzazione degli “sprechi” e degli “abusi” nella previdenza sociale. Tanto che il padronato esita sulla condotta da tenere. E la destra confessa il proprio imbarazzo davanti a un tale livello di plagio….”
Frederic Lordon da “Le monde diplomatique” marzo 2014 -L’inane “Patto di responsabilità”-Le imprese non creano lavoro.