Nell’impossibilità di essere presenti all’incontro “Questioni di genere nella sinistra di classe” organizzato da Coordinamenta Femminista e Lesbica a Roma sabato 14 dicembre, abbiamo pensato un contributo di riflessione e discussione che abbiamo mandato alle Coordinamente proponendo una specie di percorso di lettura in quattro tappe da problematizzare, disarticolare, decostruire insieme a tutte le donne presenti.
Il filo conduttore di questo percorso è la condizione di prigionia ma anche ciò che è possibile sviluppare in questa condizione per resistere alla reificazione, all’annullamento, alla morte in vita e addirittura le forme evolute di relazione, di solidarietà e di condivisione che proprio vivendo questa condizione si possono inventare e praticare (forme spesso più evolute che nella vita “libera” di fuori).
Le protagoniste di questo percorso prevalentemente donne, ma ci sono anche degli uomini che con queste donne sono in relazione.
Partiamo dall’esperienza delle “politiche” detenute nelle carceri franchiste e nei campi nazisti e dai complicati rapporti con le detenute “comuni” in questo contesto; per passare alla riflessione mirabile di Angela Davis sul carcere come forma di perpetuazione del razzismo, del dominio sessista e della repressione della dissidenza politica; poi arriviamo alla sensibile narrazione di Prospero Gallinari del suo matrimonio con Laura Braghetti dentro il carcere di Palmi, situazione nella quale la coralità della solidarietà attiva verso i due amanti è di una potenza straziante ed esemplare; infine diamo voce alle prigioniere della sezione femminile dei nuovi giunti delle Vallette di Torino che pur permanendo in un girone infernale non rinunciano alla lotta.
da “R/esistenze lesbiche nell’Europa nazifascista” a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder, Vincenza Scuderi 2010 Ombre Corte
“Nei campi nazisti, così come nelle carceri franchiste, in base agli accordi tra il regime di Franco e la Germania hitleriana, i detenuti politici furono trattati come delinquenti comuni. I “rossi”, così chiamati, erano considerati,oltrechè dei delinquenti anche dei degenerati, in particolare le “rosse” erano stigmatizzate come depravate e inferme sociali, donne brutali e degenerate.Per poter sopravvivere in queste terribili condizioni, le prigioniere politiche dovevano differenziarsi dalle prigioniere comuni, perchè ne andava della loro vita. La sessualità costituiva uno degli elementi di straniamento (e poteva anche essere un elemento di ricatto all’interno della struttura carceraria).Racconto di Soledad Real a proposito del periodo trascorso in cella con una prigioniera comune:-Era un’invertita e ci provò. Io le dissi di no. Allora lei si arrabbiò perchè disse che io la disprezzavo e non la valorizzavo come persona. Le dissi, guarda, il tuo concetto di vita è distinto dal mio, perchè a te non importa essere una prostituta di strada, né t’importa finire qui dentro e fare la lesbica, mentre io sono stata condannata a trent’anni per aver difeso un ideale, del resto un giorno tu trarrai beneficio dalla mia condanna, mentre io dal tuo comportamento non trarrò alcun vantaggio…Alla fine diventammo amiche. Però questo avvicinamento fu possibile solo stando assieme nella cella di castigo…-A Ventas, nelle celle di isolamento, incontrammo soprattutto prostitute e contrabbandiere, che noi non disprezzavamo, ma non ci sentivamo neanche attratte da loro. Perchè per una sigaretta ti vendevano il pane…Inoltre si picchiavano in continuazione. Io personalmente non capivo. Perchè iniziavano: il mio magnaccia sa che quello che gli do io, non glielo dà nessun’altra, sa che io non mi conservo neanche un centesimo, che do tutto a lui…E lo dicevano come se fosse un onore e tu rimanevi a guardarle, non avevi la mentalità per comprendere tutto ciò…il mio magnaccia sa che quando mi picchia io dopo lavoro meglio…ascoltavi senza poter fare nulla, perchè l’unica cosa che avresti potuto fare, se la società fosse cambiata, era la possibilità di trovare un lavoro e di dare un futuro diverso alle loro figlie. Ora, in galera, gli strumenti di aiuto concreti erano molto limitati, e comunque loro preferivano sempre una sigaretta ad un pezzo di pane…Inoltre loro avevano il problema delle picchiatrici, cioè di quelle che si erigevano a capo del gruppo, esercitando una repressione brutale sulle altre donne…date queste condizioni era molto difficile comunicare con loro…”
da Angela Davis “Aboliamo le prigioni? Contro il carcere, la discriminazione, la violenza del capitale” 2009 Minimum fax
“…l’interesse protratto per il sistema carcerario ha letteralmente segnato la mia vita, ma è precedente al mio arresto. Il mio primo incontro con il carcere come oggetto di attivismo e riflessione è rappresentato dalle mia partecipazione, da adolescente, a varie campagne per la liberazione di prigionieri politici. La mia stessa incarcerazione è stata una conseguenza della mia attività volta alla liberazione dei prigionieri politici arrestati alla fine degli anni sessanta e all’inizio degli anni settanta. Mentre ero in prigione, ho iniziato a pensare alla possibilità di un’analisi che spostasse l’accento sull’istituzione del carcere non soltanto come un apparato volto a reprimere gli attivisti politici, ma come un’istituzione profondamente coinvolta nella perpetuazione di un pericoloso intreccio di razzismo, predominio maschile e strategie statali di repressione politica……la punizione degli schiavi era palesemente condizionata dal loro sesso…i rapporti sessuali a cui i padroni costringevano le schiave costituivano una pena inflitta alle donne per il solo fatto di essere schiave…la devianza del padrone era trasferita sulla schiava, da lui vittimizzata. Analogamente, la violenza sessuale da parte dei secondini è tradotta in una eccessiva sessualità delle detenute. L’idea che la devianza femminile abbia sempre una dimensione sessuale persiste nell’era contemporanea…ciò che non viene generalmente riconosciuto è il nesso tra la pena corporale inflitta dallo stato e le violenze domestiche sulle donne. Questa forma di castigo fisico ha continuato ad essere inflitta alle donne nel contesto dei rapporti intimi, ma raramente la si collega alla punizione di stato. La violenza sessuale è subdolamente associata a uno degli aspetti ricorrenti della detenzione femminile, la perquisizione integrale. Come hanno evidenziato tanto gli attivisti quanto le stesse detenute, anche lo stato contribuisce a fare dell’abuso sessuale una routine, sia permettendo quelle condizioni che rendono le donne vulnerabili all’esplicita coercizione sessuale da parte degli agenti di custodia e di altri membri del personale carcerario, sia introducendo nella prassi abituale procedure come la perquisizione integrale e l’esame degli orifizi.La coercizione sessuale è un aspetto fondamentale dei regimi carcerari…se consideriamo le varie forme di violenza legate alla pratica della carcerazione-circuiti di violenza interconnessi-iniziamo a capire che ordinario e straordinario non sono poi così distinti. In seno al movimento radicale in difesa dei diritti delle detenute, la perquisizione integrale e interna è riconosciuta come una forma di abuso sessuale.”
Da “Un contadino nella metropoli” di Prospero Gallinari 2008 Bompiani
“Con Camilla … c’è qualcosa di più. Una storia d’amore. Abbiamo vissuto insieme durante la maggior parte della mia latitanza. L’ho conosciuta a causa del lavoro che dovevamo svolgere nella casa del sequestro Moro, ma ben presto ci siamo incontrati anche sul piano sentimentale (…) Il suo carattere, il valore che sa dare alle persone e alle cose, la sua modestia, il suo altruismo e la sua dolcezza, tutto questo mi ha portato a volerle molto bene. Il mio arresto ha troncato il rapporto, ma non ciò che provo per lei. Adesso siamo in carcere tutti e due. (…)E arriviamo alla decisione di sposarci. Non certo per il valore del matrimonio e menate simili, ma semplicemente perché sappiamo benissimo che quell’atto burocratico è il lasciapassare obbligato per poterci vedere e riabbracciare.Ci vuole quasi un anno perché la cosa vada in porto. Matrimonio civile, il 24 agosto del 1981. Possono assistere solo i famigliari più stretti, più i testimoni, che sono Renato Curcio e una compagna detenuta al femminile di Palmi per Laura, Bruno e il Nero per me. Laura giunge a Palmi da Rovigo, dove al momento è ristretta, la sera prima dell’evento. Le urla del femminile annunciano l’arrivo e si inizia un lungo scambio di tenerezze per interposta persona, perché i lati del carcere impediscono la comunicazione diretta. (…) Matrimonio veloce, la mattina dopo. (….) Subito dopo, due ore di colloquio straordinario concessi ai nuovi marito e moglie (…) Siamo soli, con una guardia dietro il vetro che controlla, ma non sembrano interessargli molto le nostre effusioni. Laura ha cambiato il vestito che portava alla cerimonia. Indossa un camicione larghissimo e sotto niente.Ovviamente, il pranzo e i festeggiamenti sono separati perché, dopo il colloquio, ognuno rientra nella propria sezione. A tavola ho i compagni più intimi. Ci hanno concesso di stare in cella in sei per l’occasione. Gamberoni comprati con domandina alla spesa, linguine con sugo di vongole tritate fatto arrivare da Clara, la mamma di Bruno.(…) Io sono abbastanza rintronato dal colloquio, e partecipo al pranzo volando alto. Si beve abbondante e provo anche una nuova esperienza: il primo spinello della mia vita. Alla fine mi getto sulla branda con le cuffie in testa, abbandonandomi ai Pink Floyd. Forse si deve all’incontro con Laura, forse al vino o al fumo, sta di fatto che Another Brick in the Wall la riascolterò mille altre volte negli anni a venire e mi piacerà sempre moltissimo, ma l’effetto di quel pomeriggio non lo proverò più.Alla mattina, subito dopo la conta, mi chiamano agitati dalla cella di fronte. Dal femminile gridano che stanno trasferendo Laura. Ci mettiamo a battere i cancelli, a fare casino, dobbiamo impedire che parta. Il brigadiere giura che loro non c’entrano: sono i carabinieri a essersi presentati con l’ordine di traduzione immediata del Ministero. Pretendiamo di vedere subito il comandante. Le guardie capiscono benissimo che l’aria che tira è pesante. Arriva il maresciallo, gli parla Curcio. In questi casi bisogna rispettare le regole del gioco. Renato è il capo, ma ancor più, un uomo molto controllato, uno che non usa gridare o sbraitare. E con molta calma gli dice: “maresciallo, lei ha presente come è fatto questo carcere? Lo guardi bene perché questa sera, se la Braghetti parte prima di aver fatto colloquio con Gallinari, non se lo troverà più. Lo radiamo al suolo.” Parole grosse, ma non certo dette a vanvera.(…)Così, il maresciallo chiede tempo. (…) Noi abbiamo tre detenuti fuori, nel corridoio e nei passaggi, impegnati nelle pulizie. Diciamo loro di non farsi chiudere.(…)Passa un’oretta e torna il brigadiere con alcune guardie: “Gallinari, a colloquio”.Riusciremo a parlarci, a guardarci, ad accarezzarci per due ore abbondanti, ma non è più il colloquio del giorno prima. Lei è in partenza, la tensione si taglia con il coltello. È difficile ridere e scherzare, ma non si può neppure piangere: mai davanti al nemico.”
Stralci di una lettera dalle Vallette.
04/11/2013
(…)Mi trovo tutt’oggi ancora ai Nuovi Giunti. Sono stata trasferita il 22 luglio. Io come altre detenute, siamo al livello di non ritorno dalla quasi pazzia. In teoria nei Nuovi Giunti puoi starci massimo 15 giorni.
Dopo svariati mesi da una petizione siamo riuscite a ottenere uno sgabello per cella, poter fare l’aria a uno stesso orario, e non come pecore da pascolo, o tappa-buchi quando le altre sezioni non scendono. Questo era un disagio non da poco. Una mattina alle 9, il giorno dopo alle 11 come veniva comodo a loro e quell’ora d’aria diventava una corsa per poter essere pronte all’improvviso. Questa situazione è da sempre insostenibile. Due ore d’aria e ventidue chiuse senza la possibilità di fare un’attività ricreativa. C’è una bellissima palestra inagibile. Abbiamo ottenuto di poter usufruire della doccia dalle 9 alle 11, orario in cui devi essere già pronta per la così sospirata ora d’aria. Alle 11 passa il vitto. Bene noi al nostro ritorno dall’aria alle 12 abbiamo nei piatti qualcosa di commestibile, di cui non si capisce la fattispecie, messa a giacere per un’ora fino al nostro ritorno in cella. Prima cosa non mi sembra molto corretto e igienico che io debba avere il vitto per un’ora dentro la cella senza neppur vedere cosa mi ci si mette dentro. Io personalmente ho un piccolo aiuto dall’esterno e vado avanti da più di tre mesi a yogurt e frutta. Ma chi non ha la possibilità di fare quel minimo di spesa si fa coraggio chiude gli occhi e butta giù. Le mie compagne mangiano degli alimenti con corpi estranei all’interno!
Poi c’è il lusso della doccia dalle 13 alle 15. Alle 15 bisogna essere pronte per l’aria. Quindi in una sezione dove ora siamo 25, ma spesso si è in 50, con 2 docce funzionanti e un lavabo bisogna fare coincidere tutto. Voglio puntualizzare che nelle celle non c’è proprio la predisposizione per l’acqua calda a differenza delle docce dove c’è un termostato per la temperatura a piacimento loro. Quello che potrebbe essere un piccolo ritaglio di relax diventa una vera e propria tortura per molte, direi quasi tutte. La temperatura priva di calore rende insostenibile il nostro livello di stabilità. Io personalmente faccio comunque la doccia seppur con la speranza che non mi si geli il cervello. Ma le mie compagne sono tutte comunque di un’età sulla cinquantina anche oltre puoi capire il loro disagio e impossibilità di lavarsi dignitosamente: si prendono a secchiate a vicenda prendendo l’acqua dal lavabo della doccia che è per lo meno tiepida. Potrebbero chiamarsi problematiche sorvolabili invece queste condizioni imposte rendono la nostra permanenza e sopravvivenza insostenibili a un minimo tenore dignitoso. Ho deciso di scrivere questa parte di lettera di sfogo perché vedo crollare la stabilità delle compagne sotto ai miei occhi! E mi sto quasi sentendo impotente a poter solo tendergli la mano.
Ci sono detenute che andrebbero spostate in centri che possano aiutarle e non essere imbottite di terapia per non disturbare la quiete delle lavoranti “agenti-assistenti” con il continuo urlo straziante per il loro malessere psicologico con “invalidità al 100% neurologica”. Sono già state in diverse strutture OPG ma ora giacciono qui nei Nuovi Giunti. Io non mi permetto di chiudere la bocca a nessuno. Così per non sentire queste urla assordanti ho praticamente un trapianto di cuffie alle orecchie.
Ho preso realmente coscienza che bisogna fare uscire al di fuori da queste mura la realtà vera, cruda delle carceri italiane. Perché lottando sole facciamo solo numero. Così da questa sera a un mese ognuna di noi farà da passaparola per fare girare la voce nelle carceri italiane. Il 4|12 alle ore 16 faremo una battitura. Nel giro di un mese credo che il passaparola sarà arrivato in tutte le carcere e chi ha la possibilità di mandarci giornalisti al di fuori di queste strutture da degrado, aiuterà a fare uscire oltre queste infinite sbarre il nostro grido di aiuto. Se una persona lotta da sola, resta solo un sogno, quando si lotta assieme la realtà cambia. Qualcuno dovrà pure darci ascolto!
Siamo ancora prive di un contatto con il mondo esterno, prive di tv che potrebbe aiutare a distogliere la mente dai nostri pensieri. La posta potrebbe essere un po’ di zucchero per i nostri cuori ma anche lì abbiamo il lusso che ci venga consegnata “dal martedì al venerdì”, forse non avendo contatti con il mondo esterno non siamo a conoscenza che le poste italiane ora lavorano solo quei giorni. Ma non credo sia così. Dopo un mese dal mio trasferimento a questo penitenziario nuova disposizione: tutta la posta deve essere registrata al computer “quando ne hanno tempo”. Altrimenti come oggi seppur lunedì la posta vista da altre detenute non c’è stata consegnata. In prima sezione hanno fatto la battitura, noi nuovi giunti all’aria ci mettiamo sul piede di guerra: minacciamo di non risalire dall’aria. Così per azzittirci la nostra dignitosa ispettrice ci viene a dire che stanno registrando la posta. A chiacchiere: niente posta. Io personalmente una raccomandata l’ho firmata dopo 9 giorni dal suo arrivo!
Non veniamo rifornite di niente: generi di prima necessità per l’igiene persona e quant’altro. Solo al nostro arrivo un rotolo di carta igienica, due piatti e due posate di plastica, uno spazzolino e un dentifricio con saponetta. Poi dopo aver dormito senza lenzuola coperte e cuscino se sei fortunato entro un paio di giorni dal tuo arrivo puoi ottenerle e poi niente più. E, mi ripeto, chi non ha un piccolo aiuto dall’esterno economico è privo di tutto. Non viene rifornito neppure dalla carta igienica. Ma per fortuna c’è la domenica di mezzo. Ci viene data gentilmente in regalo Famiglia Cristiana e molti giornali. E molte hanno trovato rimedio a scopo carta.
Scrivo terra-terra sdrammatizzando ma siamo nel tunnel degli orrori. Prendendo atto di ciò che è accaduto il 31 ottobre ora do il libero sfogo. Abbiamo sollecitato più volte le assistenti di sezione di tenere sotto osservazione una nostra compagna da giorni in uno stato confusionale e, preoccupate per questa visibile instabilità, abbiamo solo richiesto che venisse applicato il loro ruolo: controllarci. Bene se questo fosse stato fatto con i tempi giusti oggi non ci si troverebbe in questa condizione. Bene siamo scese all’aria alle 15 e al nostro ritorno dopo più di un’ora che eravamo rientrate notiamo un’allarmante via vai di assistenti nella cella di questa nostra compagna. L’hanno trovata priva di sensi con entrambe le braccia tagliate da ferite importanti tanto da procurarsi la sutura di 19 punti al braccio sinistro e 24 al quella destro. Ovviamente mentre era in infermeria viene fatto il cambio cella per essere poi piantonata. “Ovviamente”. Tutto ciò poteva essere evitato ascoltando le sue ragioni. Non volevano consegnarle la spesa della sua concellina uscita liberamente, che aveva fatto tanto di domandina per lasciare la sua spesa a lei. Domandina vista da vari assistenti e poi credo cestinata. Questa è stata la goccia che ha interrotto quel filo sottile della sua stabilità già offuscata. Anche qui sarebbe bastato ascoltare e controllare prima che succedesse l’accaduto. Malgrado piantonata, la stessa notte per la seconda volta ci è andata troppo vicina: si stava soffocando con la sua maglia, e per ritardare l’accesso alla sua cella di piantonamento ha tirato su la branda facendola incastrare nelle sbarre del blindo. Allora tiriamo fuori la realtà, la verità. Non credo che bisogna aspettare che uno sia sottoterra. Questo va ben oltre. Ieri è andata bene, se così si può dire, facciamo qualcosa. Aiutateci. Aiutiamo queste donne, figlie, madri.
Per finire in bellezza la stessa notte una compagna si sente male. Soffre di gastrite nervosa. Mi dirai che non è una patologia così allarmante, sì se solo non soffrisse di problemi cardiocircolatori. Ha già avuto un arresto cardiaco provocato da questi attacchi. Continuano a farle flebo e punture di “Contramal” per alleviare il suo dolore. Ma in sostanza con i problemi che ha aggrava solo le sue condizioni. Portandola tra le mie braccia di peso sino in infermeria è passata più di un’ora e mezza per fare intervenire la guardia medica.
Bene. Io sono allibita da tutto ciò. Ma non smetterò di combattere per me e le mie compagne, il nostro grido di dolore è assordante ma non ci sente nessuno. La guardasigilli Cancellieri si sta muovendo per noi? Per la popolazione carceraria? Ma deve aiutare noi tutte, detenute dal degrado.
Un grido di aiuto e un affettuoso saluto le detenute seconda sezione Nuovi Giunti.
M.
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