di Denis
allora, credo che per svariati motivi l’unica posizione anarchica
possibile sulla prostituzione è la ricerca dell’autodeterminazione. può
sembrare banale, ma non lo è manco per niente, se pensi che le posizioni
più in voga sulla prostituzione vanno dal regolamentarismo “buono” per
così dire (cioè chi predica diritti per sex workers + regolarizzazione
fiscale ecc ecc) e il regolamentarismo accattone (quello del
populistissimo pensiero “le mignotte devono pagà le tasse” che però è a
tutti gli effetti papponaggine di stato perché non da’ nemmeno i diritti
fondamentali che dovrebbero essere garantiti o quantomeno non riflette
in merito) passando per il proibizionismo e l’abolizionismo. questi
ultimi possono essere considerati simili a livello pratico, ma sono
mossi da motivazioni leggermente differenti: un* proibizionista potrebbe
vedere la prostituzione come immorale e volerla proibire per quello, un*
abolizionista fa un’analisi politica di tipo femminista (in senso
lato..i femminismi sono tanti, e non tutti sono buoni. mi riferisco a
femminismo come alla politica di donne sulle donne fatta da donne,
almeno in questo contesto) che non vede la prostituzione direttamente
come immorale (anche se ovviamente puoi immaginare che molte finiscano
per pensarlo cmq visto lo stigma che c’è sulla prostituzione e chi la
pratica).
[….]
ora, da una prospettiva anarchica a mio avviso possiamo escludere
totalmente dal nostro orizzonte analisi di tipo proibizionista,
semplicemente perché da anarchic* dovremmo capire bene che
l’universalizzazione della propria morale è un atto autoritario, a
maggior ragione se fatto tramite legge dello stato; sarebbe autoritario
lo stato stesso, nell’imposizione di detta legge.
il regolamentarismo ha alcuni limiti, ad esempio la mancanza di una
prospettiva politica specifica che porta per esempio a parlare di
generica riapertura delle case chiuse ignorando le problematiche
esistenti in questo tipo di strutture e facendo finta che basti
“delocalizzare” la prostituzione dalla strada è quantomeno idiota e
dannoso, ad esempio. non basta spostare la prostituzione “indoor” (cioè
al chiuso) per eliminare alcune problematicità, che non sono di per sé
legate al luogo dove si esercita la professione (papponi, forme di
schiavismo varie, per dire).
[….]
l’abolizionismo. dunque, l’abolizionismo ha origine in un’analisi che
possiamo definire femminista. ma è un’analisi che non tiene conto
praticamente mai delle autonarrazioni de* sex workers. in pratica se la
cantano e se la suonano…e se l’esperienza di qualcun* li contraddice,
fanno finta di niente. e se si presentano dati, dicono che sono falsi, o
falsati, e altre cose del genere. A MENO CHE… non siano narrazioni
strumentali alla loro visione del sex work, cioè schiavismo-e-basta.
nonostante esistano femministe & comuniste che sono anche
proibizioniste, un analisi materialista SERIA non può essere
proibizionista. questo perché un* materialista riconoscerebbe un paio di
cose, almeno: innanzitutto che anche il matrimonio/coppia è una
configurazione nel quale troviamo lavoro e sesso (dove il lavoro è
quello di cura domestico, e il sesso è “da contratto” parte della
relazione eterosessuale e monogama, sia essa sancita con unione formale
dinanzi alla legge o meno) ma il matrimonio/coppia non viene osteggiato
come la prostituzione, anzi. poi perché un* materialista riconosce che
TUTTO il lavoro è sfruttamento, e considerare la prostituzione qualcosa
di “diverso” da abolire e non da migliorare (e un giorno abolire
in-quanto-lavoro, non in-quanto-lavoro-sessuale) con rivendicazioni solo
perché vi è di mezzo attività di natura sessuale, è antimaterialista e
stupido. sempre per quanto riguarda un’analisi materialista, suddetta
analisi NON PUO’ basarsi su casi borderline (per quanto frequenti) come
tratta e affini per una valutazione di tutto il lavoro sessuale: sarebbe
come parlare di capitale e lavoro basandosi UNICAMENTE sugli immigrati
che colgono le arance con 5 euro al giorno a frustate sulla schiena. per
quanto questi esistano, ne convieni con me che non rappresentano certo
la condizione di chiunque abbia a che fare col lavoro salariato, no?
senza contare tutte le falle retoriche, come “vendere il proprio corpo”,
ignorando che non parliamo di pezzi staccati dal proprio corpo e
venduti, come pezzi di carne animale, bensì della vendita di servizi di
natura sessuale. la vendita di beni/merci e la vendita di servizi
differiscono proprio in questo: quando vendi una merce, vendi un
oggetto, quando vendi un servizio vendi una prestazione (di qualsiasi
tipo) offerta da un soggetto (non oggetto). è comunque oltremodo
curioso notare come l’abolizionismo veda la prostituzione come
“oggettificazione” del corpo della donna ma non si faccia scrupoli a
renderla oggetto nel linguaggio….
oltretutto, noi “ci vendiamo” in continuazione. in catena di montaggio
vendi le tue braccia, la tua coordinazione psicomotoria. in ufficio e
nel lavoro culturale, vendiamo la testa, e l’immaterialità che la nostra
testa produce (idee… per esempio). perché è possibile sfruttare una
persona in TUTTO ma non nei genitali? la motivazione potrebbe essere
“perché la sessualità è una cosa personale” – ma questa affermazione
può rientrare nel moralismo proibizionista, che schifiamo
aprioristicamente. il vedere la sessualità in una certa maniera è una
propria morale, imporla a tutt* è moralismo – ed è inoltre una posizione
ingenua, perché ANCHE il nostro desiderio, la nostra sessualità è
politica – e ricoprono un ruolo specifico nell’attuarsi di alcuni
dispositivi specifici della nostra società.
ma dire che la prostituzione a qualche titolo perpetua o sancisce
oggettificazione, è esattamente come dire che il lavoro salariato in
generale si perpetua tramite il lavoro della classe lavoratrice.
ad ogni modo mi pare importante ribadire anche dell’altro, e cioè che
abolizionismo e proibizionismo sono pericolosi anche per altri motivi.
nel momento in cui questi vengono “passati al setaccio” e tradotti nella
creazione di prodotti legislativi, quello che si afferma implicitamente
è che una questione sociale è una questione di ordine pubblico, da
gestire esclusivamente tramite ordinanze e forze dell’ordine; ciò
colpisce in primis le/i sex workers e in seguito chiunque attacchi
l’esistente, e si afferma implicitamente anche un’altra cosa, cioè
l’esistenza di un’esperienza di lavoro sessuale universale e
universalizzata (che evidentemente non esiste, perché assi come genere,
razza e quant’altro la diversificano: l’esperienza di una donna
immigrata trans che si prostituisce sulla circonvallazione è differente
da quella della donna cis bianca che fa la escort ad alti livelli)
altrimenti oltre la generica miope abolizione/proibizione si
attuerebbero provvedimenti specifici per tutte le nuances presenti
nell’ambito del sex work.
Finalmente, caro Denis, un intervento, il tuo, in cui trovo qualcosa che mi risuona e, direi, mi corrisponde anche. Mi riferisco, nello specifico, al passaggio sull’ABOLIZIONE DEL LAVORO.
Sono arcistufa che il dibattito sia da anni impantanato in inutili dicotomie quali prostituzione sì/no, prostituzione bella/brutta, ecc. senza andare al nodo della questione.
Sono d’accordissimo che, nel MONDO DEL LAVORO si tratti di autodeterminare quanto più possibile quale parte di sé vendere, ma non mi basta – oltre al fatto che poter scegliere non è nemmeno così facile né scontato.
In questo dibattito percepisco l’eterna mancanza di un’analisi che metta in discussione la categoria di “lavoro” in sé anziché dire semplicemente che la prostituzione è un lavoro come un altro e quindi inutile starne a discutere.
Perché invece di lavoro – o, meglio, della COERCIZIONE al lavoro – sarebbe davvero ora di parlarne. Siamo tutte/i costrette/i a (s)venderci – e poco conta quale parte di sé si (s)venda.
E’ questa COERCIZIONE che andrebbe sviscerata, e non solo perché veicola un perbenismo orrendo – buono/a è chi lavora, se pure strasfruttato/a; cattivo/a è che vive di espedienti e di pratiche illegali.
Dobbiamo rompere questa dicotomia una volta per tutte, se vogliamo agire pratiche di liberazione.
Se no diventa come la questione dell’aborto: ci si cristallizza nell’eterno scazzo aborto sì/no, senza mai mettere in discussione l’eteronormatività riproduttiva che mette le donne in condizione di dover abortire. La differenza tra sessualità e riproduzione corrisponde alla differenza tra attività e lavoro, in termini marxiani – ossia tra LIBERA attività e lavoro ALIENATO.
O partiamo da qui o non ci libereremo mai né dal lavoro, né dall’eteronormatività che ne è un corollario necessario (produzione&riproduzione fan felice il Kapitale!).