di Elisabetta Teghil
La rappresentazione dell’altro da sempre è utilizzata per la costruzione di un nemico che permetta la mobilitazione dei cittadini/e per dimenticare crisi e ingiustizie. Una valvola di sfogo.
Questo impianto rappresentativo una volta costituiva l’armamentario della destra, oggi attraversa l’insieme dei discorsi mediatici anche di quelli/e che, per comodità e tornaconto continuano, a presentarsi come di sinistra. Tutto ciò da quando il PD, con le associazioni satellite e le filiazioni come SNOQ, si è trasformato in destra moderna.
L’ambito per eccellenza in cui si esprime questo impianto è quello che riguarda il popolo Rom, nei cui confronti il discorso politico è ridotto ad un problema di sicurezza.
Questa impostazione discorsiva si proietta non solo nei loro confronti, ma anche nel rapporto con le culture “altre”, verso le quali non c’è rispetto delle peculiarità, ma solo una forma di cannibalismo culturale e un’ossessione all’integrazione intesa come appiattimento sui nostri valori.
Non a caso i due popoli più perseguitati sono, negli Stati Uniti, i nativi, e, nell’Europa occidentale e in Italia, i Rom, perché entrambi a questo progetto di integrazione sono quelli che più si oppongono.
Francesco Rutelli, quando era sindaco di Roma, tuonava “ Via gli zingari dal centro”. Un quotidiano, bontà sua di sinistra, Liberazione, scriveva di una “situazione congestionata” e denunciava l’insostenibilità dell’ ”emergenza Rom” avendo questi ormai raggiunto la “spropositata” quota di ventimila unità a Roma.
Dato che il PD è il teorico del politicamente corretto e più le fa grosse , più si nasconde dietro belle parole tanto vuote quanto false,l’altro sindaco di Roma, quello tanto “buono”, Valter Veltroni, si era inventato due parole magiche “delocalizzare” e “villaggi della solidarietà”. Per i due sindaci di “sinistra” l’imperativo era liberarsi dalla presenza di persone colpevoli solo di essere di una determinata etnia, nella fattispecie Rom, e di non potersi permettere una casa e di vivere nella precarietà. Omettendo tra l’altro che nei Campi non c’erano solo i Rom, ma anche tanti poveri/e provenienti specialmente dal sud e che solo nel Campo Casilino erano il 50% degli/delle abitanti.
Naturalmente pensare che dietro allo sgombero di intere aree urbane ci possano essere speculatori immobiliari sarebbe “pensar male” perché ci dicono che dietro queste scelte ci solo motivi “umanitari”!
I “villaggi della solidarietà”, i cui promotori sono i teorici di “occhio che non vede, cuore che non duole”, sorgono fuori dalla cinta del raccordo anulare, lontano dalla città vetrina, inseriti a ridosso di quei nuovi quartieri che già vivono disagi mai risolti che porteranno gli abitanti locali, aizzati strumentalmente dai media, a scaricare i loro malumori e le loro frustrazioni nei confronti dei Rom, secondo il meccanismo collaudato del suscitare la guerra fra i poveri.
E i Rom sono allo stesso tempo accerchiati e imprigionati nei loro campi, veri e propri ghetti dove la popolazione è monitorata giorno e notte attraverso telecamere, che registrano chi entra e chi esce, e un ossessivo controllo dei documenti. Naturalmente in nome della “sicurezza”, dimenticando che l’aumento dei Rom in Italia è dovuto alla fuga dalla ex Jugoslavia causata dall’aggressione a cui l’Italia ha partecipato nel’99 con il governo D’Alema, dove a quelle popolazioni abbiamo esportato, sempre per motivi “umanitari”, le bombe all’uranio impoverito.
Una manipolazione mediatica per cui l’83% degli italiani/e ritiene che i Rom vivano nei campi per scelta, variante della “scelta di vita” che alcune anime belle attribuirebbero ai barboni, altrimenti detti clochards, che sta tanto bene.
Però i media non raccontano che le percentuali dei bambini/e Rom dati in adozione sono spropositate, frutto di un vero e proprio furto di bambini/e. Altrochè la novellistica dei Rom “ruba bambini” ! Risultato? le donne rom non hanno nessuna fiducia nel nostro Stato (e come potrebbero?) e non denunciano le violenze domestiche
E sono sottoposte ad una triplice oppressione: patriarcale, capitalista e razzista.
E, allora, per il prossimo 25 novembre niente vittimizzazione, ma chiarezza politica, niente dame di san vincenzo, ma collaborazione, vicinanza, smascheramento dei codici linguistici del potere perché la nostra liberazione non ha niente a che spartire con l’ipocrisia, con l’arroganza, con i valori di questa società.