La parola è la comunicazione *

di Elisabetta Teghil

*Relazione di presentazione del libro del Collettivo Militant “Il Lato cattivo della Storia” tenuta nell’ambito di “Logos, la festa della parola” al Csoa  eXSnia a Roma il 12 ottobre 2013.

 

L’area della comunicazione sociale è l’area della vita sociale.

Esiste un mondo particolare, il mondo dei segni.

Il campo dell’ideologia coincide con il campo dei segni. Ovunque sia presente un segno, è presente anche l’ideologia. Tutto ciò che è ideologico ha un valore semantico. Ogni segno ideologico non è solamente un riflesso, un’ombra della realtà, ma è anche un segmento materiale di questa realtà. Un segno è un fenomeno del mondo esterno.

La coscienza individuale è alimentata dai segni, trae il suo sviluppo da essi, riflette le loro leggi e la loro logica.

La coscienza è logica della comunicazione ideologica, dell’interazione segnica di un gruppo sociale. La coscienza individuale è un fatto storico ideologico, pertanto i fenomeni ideologici sono legati alle condizioni e alle forme della comunicazione sociale perché il segno è determinato dalla comunicazione sociale stessa. In definitiva, l’esistenza del segno non è altro che la materializzazione di questa comunicazione.

L’ideologia non è altro che una qualità semiotica che si sviluppa compiutamente nella comunicazione e questa si esplicita pienamente nel linguaggio. Pertanto la parola è il primo e più importante fenomeno ideologico.

E’ proprio nel materiale della parola e nella comunicazione segnica che si svelano le forme ideologiche.

E’ questo il ruolo che fa sì che la parola funzioni come componente essenziale che accompagna qualsiasi creatività ideologica . Rinunciare e negare l’ideologia significa rinunciare e negarsi alla parola.

La parola funziona come segno semiotico dell’ideologia.

La parola  è implicata in ogni azione o contratto sociale , la parola è il termometro più sensibile dei mutamenti sociali.

La parola ha la capacità di registrare il momento sociale.

La parola è parte delle forme concrete del rapporto sociale e la comunicazione e le forme della comunicazione si implementano sulle basi materiali.

Sul terreno sociale  l’esistenza di un evento è strettamente legata al suo essere comunicato. Gli avvenimenti esistono quando e in quanto vengono comunicati.

La prima scelta che il capitale fa è di dare o non dare comunicazione di un evento e in questo ci agevola il compito perché ci dice dove quell’evento è collocato.

Successivamente avvelena l’informazione con la manipolazione e con la selezione di tutti i testi, con la conseguente rimozione di quelli che entrano in contraddizione antagonistica con l’ideologia ufficiale.

E la trasformazione dei fatti passa attraverso la declinazione che degli stessi si fa.

In definitiva un far sapere diverso attraverso la falsificazione di un evento, la sua rimozione e/o sostituzione. Si parla di un evento non per rappresentarlo, per raccontarlo, ma per farlo esistere come elemento di legittimazione del potere. In luogo del non far sapere, si sceglie di far sapere ciò che legittima il potere e pertanto funziona come strategia di controllo sociale.

La produzione di falsificazioni passa attraverso eventi sociali reali, ma proponendone una rimodellizzazione falsa. E’ vera e propria controrivoluzione che si svolge e si pratica sul terreno della memoria e dei linguaggi. Le reti della comunicazione sociale si trasformano in un’occasione di scontro e la posta in gioco è la memoria di una classe, di  un popolo di un genere, di un’etnia.

L’esperienza passata condiziona quella futura e, dunque, si configura come codice dell’attività riproduttrice e pertanto la declinazione e la traduzione della memoria collettiva assumono una grande importanza.

Per questo è necessario conquistare una memoria autonoma e collettiva della lotta di classe . Se la produzione semiotica della borghesia si serve dell’ inibizione, della distruzione della memoria e della simulazione e della stravolgimento per controllare la coscienza e i comportamenti di classe, noi non possiamo non rifiutare il carattere feticcio e alienato della memoria dell’ideologia vincente  ed elaborare una memoria collettiva e sociale della nostra identità rivoluzionaria e liberatrice.

La memoria di classe è l’occasione per produrre nuove possibilità e dare un senso agli eventi presenti e futuri.

La memoria del movimento di classe ha un carattere decisamente creativo, vive nella dialettica materialista e da questa si alimenta e si espande. Non teme la pluralità dei linguaggi , né il loro proliferare bensì la loro assenza e la  lettura e l’interpretazione che i missionari del verbo borghese fanno riducendo tutto nell’alveo di questa società e della sua conservazione, producendo, in questo modo, un’esclusione a priori, condannando all’oblio tutti quegli aspetti dell’esperienza storica e sociale del movimento antagonista che erano legati a un’ipotesi di superamento della società borghese e capitalista.

Non dobbiamo mai abbandonare la possibilità di comunicare, di dar voce a tutte le lotte de presente come del passato, in questo paese e nel terzo mondo, e di raccontare le loro ragioni.

Questo significa portare fuori ogni lotta dall’ambito corporativistico, vanificare tutti i tentativi di ghettizzarla e di togliergli ogni valenza di classe.

Significa smascherare i codici linguistici del potere che costituiscono la rete essenziale del controllo sociale.

Significa essere capaci di investire tutti gli aspetti della vita  perché il capitalismo è metabolismo sociale.

La parola è un campo di battaglia a cominciare dallo stravolgimento che se ne fa.

 “Riforma” che era legata ad un miglioramento graduale delle condizioni di vita dei cittadini/e, oggi è il veicolo per lo smantellamento dello Stato sociale.

 “Sicurezza” che una volta era legata al diritto di non essere abbandonati/e nei momenti di bisogno, a partire dalla salute, e, soprattutto, all’aspettativa di avere una serena vecchiaia, oggi è diventata il grimaldello per politiche securitarie.

Poi c’è l’uso selettivo delle parole.

Tutti quei governi che ,per un motivo o un altro, si sottraggono alla logica colonialista che consiste nel dettare l’agenda politica e nel  sottrarre le ricchezze, sono etichettati come “regimi”. Altri termini che potrebbero sembrare neutri per l’utilizzo che ne viene fatto prendono un connotato negativo, per esempio “raìs”, sostantivo che viene utilizzato per quei dirigenti del mondo arabo che sono asimmetrici agli interessi occidentali. Per i paesi sudamericani si utilizza il termine “caudillo” e, magari, “populista”.

“Genocidio” e “feroce dittatura” sono un marchio itinerante che viene applicato sempre nei confronti di tutto quello che entra ,in qualche modo in contrasto con gli interessi occidentali. Tra l’altro banalizzando, per l’uso inflazionato e strumentale che se ne fa, il genocidio e le dittature.

 

E, attraverso l’uso delle parole, vengono, di volta in volta, demonizzate categorie sociali…..dipendenti pubblici…pensionati .. piccoli imprenditori… liberi professionisti… evasori fiscali, mettendone alcune contro le altre e la collera dei più viene indirizzata contro la categoria di turno presa di mira.

Anche tutte le forme di resistenza al neoliberismo vengono smontate con la scelta voluta di determinate parole:  la politica è “sporca”, i politici sono una “casta”, gli amministratori pubblici son “corrotti”…. Pertanto si abolisce l’immunità parlamentare, un principio che garantiva la minoranza, si annulla il proporzionale che permetteva ad ogni segmento della società di essere comunque rappresentato. E questo in nome della “governabilità” che diventa un totem, rimuovendo così la risposta che più conta: al servizio di quale politica è la governabilità? La “meritocrazia” viene eletta a valore assoluto, omettendo che i criteri a cui si attiene sono quelli dei valori e interessi della classe dominante. La “legalità” diventa un feticcio annullando secoli di letture che l’hanno legata ai rapporti di forza fra le classi.

 

 

Pertanto è necessario mettere in discussione non solo l’ideologia, la mentalità e la cultura borghese, ma mettere in discussione i meccanismi che la producono, cioè trasformare i rapporti di produzione capitalistici inscritti nei processi di lavoro perché questi riproducono continuamente tutti i ruoli della divisione sociale capitalistica.

Disoccupazione, inquinamento, controllo, lavoro sempre più monotono, noioso, sempre più disumano, qualsiasi condizione, situazione, fisica, mentale, affettiva, trasformata in occasione di profitto….e tutto questo ha le radici dentro le condizioni sociali, cioè nella natura della società.

La lotta di classe , la liberazione, non è un programma per il futuro, ma l’inventario del presente, l’insieme delle potenzialità incorporate nel sapere sociale.

Nell’inventario del presente bisogna scrivere la possibilità/necessità di una grande trasformazione nei rapporti di produzione e di scambio fra gli esseri umani e questo a dispetto di tutte le culture che danno per scontata e inevitabile questa società sia che lo facciano per interesse sia che lo facciano per ignoranza perché l’uno e l’altra non comportano innocenza. Infatti hanno ripudiato, oltre al materialismo storico e a quello dialettico, anche la lotta di classe che è diventata monopolio dell’ideologia neoliberista che è una spietata apologia del darwinismo politico-sociale e, attraverso questo,santificano lo stato delle cose presenti passando attraverso la criminalizzazione  e la demonizzazione delle parole.

Una generazione per anni si è riconosciuta chiamandosi compagno/a e la parola suggellava un patto di appartenenza e solidarietà, qualcosa ben oltre i gruppi politici e i loro programmi, qualcosa di difficilmente verbalizzabile proprio per la ricchezza della sua estensibilità. Compagna/o ancora ieri provocavano vibrazioni che penetravano fin dentro gli abissi del disagio e della solitudine che pure c’erano anche allora.

Ma se sono le parole che fanno le cose , disfare quelle parole che sono allo stesso tempo categorie di rappresentazione e strumenti di mobilitazione ha contribuito alla smobilitazione di quello che un tempo si chiamava movimento di classe.

Il potere è la guerra, la guerra continuata con altri mezzi è inscrivere e riscrivere le disuguaglianze economiche, etniche e di genere fin nei corpi.

Da qui la distruzione dello Stato sociale, la pauperizzazione dei lavoratori cognitivi e dei liberi professionisti, l’introduzione della pena di morte extra-legem e il tentativo, purtroppo riuscito, della riproduzione amico-nemico costruito artificialmente attraverso il richiamo ad un gruppo sociale: pensionati, dipendenti pubblici, immigrati, valsusini….di volta in volta criminalizzati che permette di veicolare il concetto che siamo in guerra e, quando si è in guerra, il fine giustifica i mezzi. Tutto questo si appoggia sulla pretesa avallata e ripetuta, come un mantra, che da questa società non si può uscire ed è per questo che lo Stato è in guerra contro i cittadini/e e chiama continuamente alla mobilitazione ed è disposto a cooptare, sia pure in un ruolo di servizio, chi si presta a concorrere all’oppressione

dei /delle più.

Si afferma, così, uno Stato che colonizza il territorio e amministrativamente la vita privata, l’esperienza individuale e collettiva.

Il neoliberismo non riguarda più la conquista al mercato di tutti i territori, ma fagocita nell’universo mercantile tutto, il lavoro, la natura, la sostanza vivente e pertanto anche l’immaginario e la mente. L’essere umano è incarcerato tra sbarre di segni ideologici e culturali della società borghese ed inizia ad essere programmato sin dalla nascita facendosi riproduttore di merci e,quindi, anche di se stesso come merce. Ogni persona realizza inconsapevolmente un programma che le è stato introdotto. La sua “normalità” è così il dramma sociale dell’esecuzione automatica, inconscia, della propria programmazione fabbricata per lei dal capitale.

L’essere umano-merce è senza coscienza per sé, è coscienza del capitale che opera per il suo tramite. Dominio reale del capitale significa assoggettamento della coscienza individuale ai programmi di comportamento borghesi. E’ il trionfo della coscienza illusoria di sé.

Il capitalismo è metabolismo sociale e investe tutti i rapporti sociali e, pertanto, l’alienazione della coscienza sociale individuale  è generale e la si recupera con la rimozione di quei rapporti sociali di produzione che l’hanno generata.

La cultura è il movimento dell’informazione, è il processo di memoria dei collettivi umani, classe, genere, etnia….Il processo sociale di informazione è un processo semiotico e ideologico, semiotico perché si avvale di segni, è produzione e scambio di segni, ideologico perché l’informazione è un micro testo che cristallizza la dialettica vivente nei rapporti sociali che lo hanno prodotto. E’,quindi, una traduzione ideologica.

Quindi nella formazione sociale borghese codici, funzioni e canali della comunicazione sono controllati dalla classe dominante.

Affermare il carattere storicamente contestualizzato e segnico di tutte le zone della coscienza e della cultura tutta, significa ricordarne il carattere ideologico.

Pertanto si rivela l’inconsistenza di tutte le teorie innatiste e idealiste , anche l’inconscio esiste come realtà materiale nella società e nella memoria collettiva.

Da qui l’importanza della produzione della memoria sociale di fronte alla pretesa del capitale di avere il monopolio della circolazione dei meccanismi di funzionamento della memoria collettiva.

L’uso borghese della memoria sociale produce un’informazione avvelenata che passa dalla selezione dei fatti stessi, all’oblio, alla censura ,alla simulazione. Il monopolio della lettura della memoria collettiva è una strategia di controllo sociale e, a questo scopo ,risulta importante per il capitale  la funzione della socialdemocrazia che , nelle reti dellla comunicazione quotidiana, fa guerra semiotica alla memoria e all’identità del movimento di classe.

La socialdemocrazia attua forme di dissimulazione per giungere attraverso l’intossicazione e la manipolazione della memoria collettiva al controllo preventivo dei comportamenti potenzialmente antagonistici.

Poiché l’esperienza passata condiziona quella futura , si configura come codice dell’attività riproduttrice dei rapporti sociali e perciò si capisce perché la declinazione della memoria  assuma una così grande importanza per la borghesia neoliberista.

Da qui la necessità per il movimento antagonista di conquistare una memoria autonoma e collettiva della lotta di classe . La socialdemocrazia è incardinata sul principio di ricordare per conservare, mentre noi  ricordiamo per trasformare.

Principi che erano nel DNA del popolo di sinistra sono stati annullati.

L’avviso di garanzia che, come dice il termine, era uno strumento di tutela per l’indagato, si è trasformato in un marchio che  permette la rimozione dalla candidatura per cui  le liste elettorali non le fa più il partito ma la magistratura

La presunzione di innocenza , fino al giudizio definitivo,  viene completamente annullata.

Una volta i nostri compagni di strada erano i pacifisti , adesso dovrebbero essere i militari e gli eserciti “umanitari” e la sinistra arruolata nelle guerre neocoloniali.

Asse portante di tutto questo sono le strutture di condizionamento e di elaborazione delle coscienze come i Think Tank, le Fondazioni, le Associazioni, le Ong, le Onlus…….

Il linguaggio è colto, forbito e, magari, di sinistra, ma l’obiettivo è chiaro e facilmente smascherabile.

 

Attraverso dei meta-concetti tutto si annulla , tutto si confonde, un polverone che impedisce di prendere posizione e che, in definitiva , si risolve nella propaganda e nella tutela degli interessi dominanti.

Coloro che in buona fede, a sinistra, sposano la causa della legalità, della meritocrazia, delle riforme, delle guerre umanitarie non si diano tante arie, non è il frutto della loro elaborazione, ma del condizionamento delle coscienze operato dai Think Tank al servizio del neoliberismo. Il loro è solo il compito di fare da megafono a quelle teorie e di essere missionari in partibus infidelibus del verbo neoliberista.

 

Le informazioni, la cultura non sono affatto neutre, buone per tutte le classi, i generi, le etnie. Da qui la necessità di rigettare i codici linguistici del potere che costituiscono la rete essenziale del controllo sociale, di costruire un nostro linguaggio, una nostra prassi che investa tutti gli aspetti della vita.

 

In breve e insieme, rivoluzione sociale e culturale, rivoluzione totale, fuori e dentro di noi.

Questa voce è stata pubblicata in Capitalismo/ Neoliberismo, Comunicazione, Iniziative ed Eventi e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.